mercoledì 20 dicembre 2017

Lettera a Bert



Caro Bert,
ti scrive uno di quelli che son venuti dopo,
un Nachgeborene, insomma,

rigorosamente qualsiasi,
anonimamente qualsiasi.



1.



Davvero, viviamo in tempi bui!
Solo che, e non so, caro Bert, dirti bene,
sembra essere cambiato il buio.



I tuoi tempi bui, Bert, erano bui sul serio,
un'oscurità definita e, perdonami il bisticcio,
un'oscurità decisamente chiara.



C'erano gli uomini neri, le loro teorie,
le masse di pecore zitte e il chiarissimo
sterminio, il nero che si spandeva



Come ombra di morte. Chi si opponeva,
chi non taceva, sapeva, vedeva
e sperava di dissipare le tenebre.



Comunicava nei modi che gli erano allora
possibili, a suo rischio, dovendo
fuggire, un sigaro, un'acquavite, un uomo



O una donna, amori spezzati, trame
intessute con voci dissonanti, ferme,
con voci di idee, di progetti, in un tempo



In cui la parola “futuro” poteva e doveva
avere un senso da contrapporre
alla parola “morte”.



Era un buio, e tutti lo sapevano,
che si gettava a capofitto nella Guerra
totale; c'era persino chi, da tempo,



La proclamava “Unica igiene del mondo”;
e l'igiene stava per compiersi
mentre tra i reticolati gemeva e moriva



Un'umanità già morta tra le rovine 
e tra gli slanci del Secolo Breve;
quest'altro sarà ancor più breve.



Ci hai raccontato, Bert, in quella tua
famosa composizione, come si viveva
nei tuoi finstere Zeiten,



E qui si dovrebbe considerare bene
se tu abbia voluto o meno fissare
una sorta di memoria ammonitrice:



“Guardate, voi che verrete, quel che accade,
e quando tutto sarà finito, non lo scordate.
La memoria comincia dal presente;



E questo è il presente.” Ma la memoria,
caro Bert, non ha lunga durata.
Può essere, certo, sentita, fissata



Per qualche tempo; poi termina
tra le risurrezioni delle oscurità,
tra il rumore di ciò che vorrei



Ancora poter chiamare “cannone”,
ma, francamente, il cannone è obsoleto
perché la tecnologia è assai progredita.



Per qualche tempo; poi termina,
e, quando termina, il buio si prende
la scena, di nuovo la scena, con la guerra.



2.



Sembra, però, essere cambiato il buio.
Innanzitutto, non ci sono più gli uomini neri
e Charlie Chaplin non saprebbe più, ora,



Chi far giocare a palla col mappamondo.
Potrebbe essere controproducente, persino,
avere un nemico così catalizzatore.



Può essere che le sue idee siano restate,
e dire che tutto doveva essere finito,
cancellato, scomparso, sepolto;



Ma il buio di adesso è scintillante,
è pieno di luce, sfavillante,
è un buio che non ha niente di quella cupezza



Terrificante, Bert, che trasmettevi
quando essere beccato a leggere le tue parole
nel posto sbagliato, poteva condurre



Subito al mattatoio. Ora siamo liberi e bui,
possiamo leggere liberi quel che vogliamo
per finire liberi al solito, caro, vecchio



Mattatoio. Ho come l'idea, purtroppo,
di averti dato, Bert, una definizione succinta
della “democrazia”. 



Tutto risplende,
la fuga è riservata a masse di disgraziati
oppure a chi fugge da se stesso



Girando in tondo come una trottola
impazzita. Possiamo comunicare ogni cosa
restando chiusi in una stanzetta



Di periferia, o all'aperto, su un tram,
su un'automobile, una nave, un treno,
una foresta o un'isola deserta;



Ma te lo immagini, Bert? Se tu avessi
potuto prendere le tue poesie senza doverle
inviare clandestinamente a un editore,



A un giornale, in plichi sigillati, le tue canzoni,
i tuoi drammi. Poterti fare un account,
#bertbrecht, herrpuntila.de, bertolt@blogspot.de



O quello che ti pare; a proposito, per caso hai visto
quante canzoni ti abbiamo messo qua dentro,
senza passare per la Suhrkamp Verlag?



Beh, Bert, lo vedi che razza di tempi bui
stiamo, anche buffamente, vivendo;
eppure l'essenza, è quella stessa.



Brillando e sfavillando si comunica morte
e ancora si va dietro a chi predica morte
e ancora si pregano dèi di morte



Cliccandoli (si dice così). Concordo, certo,
che la morte nera ha assunto facce ridicole,
e mi dirai che anche nei tuoi tempi bui



Non eran meno ridicole, perdìo, 
l'ometto col monobaffo, il panzone italiano
alto un metro e sessanta, e le folle



In delirio. Però, se per caso tu potessi vedere
un imbecille col ciuffetto che twitta bombe atomiche
o una specie di bambolotto grasso in una



Penisola asiatica, o i capetti europei,
non di rado giovincelli lindi incravattati,
o tronfie donne che puzzano di cadavere



O ragazzotti rasati, o milanesi col pizzetto,
O comunicazioni di forche e capestri
(ché nient'altro sappiamo, in definitiva



Comunicare), o la Guerra che si è come slabbrata,
spappolata in mille e mille stupidi rivoli,
la Guerra dei Missili e la Guerra dei Camion,



La Guerra delle Razze e la Guerra delle Scritture,
la Guerra dei Ricchi e la Guerra dei Poveri,
la Guerra dei Continenti, la Guerra dei Quartieri.



Nei tuoi tempi bui, pensa, la Guerra
veniva ancora dichiarata; ora viene oscurata,
dilatata, resa ancor più buia con una luce



Accecante che copre ogni cosa, e che quindi
Si è fatta perfetto strumento del buio.
Ma, forse, era prevedibile.



3.



Caro Bert, non è stato, nemmeno per un momento,
spezzato il filo. Il buio ha soltanto subito
un'evoluzione tecnica. Nelle facce stranite,



Negli sguardi persi, nel razzismo senza tregua,
nel razzismo condiviso, nel razzismo normalizzato
e standardizzato, nel razzismo della vecchietta



E del ragazzino, nei fascismi della porta accanto,
nei fascismi ormai codificati e resi di nuovo
Unsere letzte Hoffnung, nei fascismi



Di crisi strutturali, nelle crisi di fascismi
strutturali, nell' “uomo nuovo” sempre più vecchio,
nella memoria inutile e inutilizzata



Scintilla questo nostro buio pesto. Mi spiace,
e, ti prego di credermi, non indirizzo
questa missiva a nessun “postero”.



Non potrei. Non ho posteri e non mi chiamo neppure
Bertolt Brecht. Non è stato tagliato il filo,
perché tagliare il filo avrebbe dovuto significare



Tagliare il denaro. Tagliare il capitale.
Dicono ora, sai, che il capitalismo
Si stia “autodistruggendo”; può darsi.



Solo che, intanto, sta distruggendo noialtri,
e noialtri siamo oramai del tutto impotenti
e ce ne stiamo generalmente buoni buoni;



E se fra tre giorni ci dicessero:
“Ehi, domani il capitalismo finisce!”, correremmo
di filata, sgomitando e calpestandoci



A ritirare tutto al bancomat, o a ammazzare
il prossimo nostro per un'ultima overdose
di soldi. Oppure ci recheremmo al lavoro



Per un'ultima giornata di fulgida schiavitù,
oppure ancora a lagnarci
di non avere un futuro. Intanto,



Come da copione, la guerra spampanata,
smandrappata, nera e giojosa ci sommerge
e ne siamo talmente presi sul nostro smartphone



Da essere ormai diventati un tutt'uno.
E siamo pure, non ridere Bert, gentilissimi,
educati, rispettosi, concilianti come carogne.



Tu che dicevi, al plurale, di volere
approntare il mondo alla gentilezza
ma di non aver potuto essere gentile.



Noi abbiamo fatto della gentilezza
l'ennesima arma, e delle più micidiali;
l'arma del sonno della coscienza.



Caro Bert, ti chiedo scusa per questa
lunga e noiosa lettera; buttala via.
Ritenevo soltanto che, prima o poi,



Uno di coloro che sarebbero venuti
ti dovesse pur rispondere; e i poeti di adesso
sperimentano e sbavano di intimi



Viluppi, di liricismi dialettali, di cose
per le quali vorrei trovare una definizione
che non fosse una plebea “massa di stronzate”,



Però non mi riesce trovarne altra;
Insomma, caro Bert, questa è una risposta,
e sento già provenire dal passato



Un sommesso ma fermo: “Ma tu, amico
che sei venuto dopo, caro il mio Nachgeborene,
chi diavolo sei? E chi ti vuole?”



Vero. E mi becco il mio buio, e tutto il resto
in questa mattina assolata di dicembre.
Mi congedo e comunque vorrei



In ultimo dire che non potrei mai riprodurre
la tua famosa chiusa. Nessun aiuto all'uomo
da parte dell'uomo; quel tempo si è allontanato.



Lontano, forse impossibile, ridotto
a un esercizio retorico o di stile;
e non pensate a noi con indulgenza.

domenica 17 dicembre 2017

Decidetevi



L'umorismo involontario di Repubblica è ben noto, condito non di rado con strafalcioni ortografici e sintattici che sarebbero degni, prima o poi, d'antologia. Così, in attesa di gustare le prossime puntate del recente antifascismo in  salsa di campagnelettoràle da parte di questi sinceri democràtici che hanno sdoganato ogni sorta di fascismo, di securitarismo, di paüra, di razzismo (ve la ricordate la famosa lettera del "sig. Poverini"...?), di sgombero e di ambiguità, non resta che goderci la qui presente orgia di diàcci e disgeli a cura dell'edizione online toscana del quotidiano fondato da Sant'Eugenio Scalfari (che, oramai, dialoga direttamente con Dio). Che si decidano, una buona volta!

martedì 14 novembre 2017

lunedì 9 ottobre 2017

Dialogo di un venditore d'almanacchi e d'un passeggere, a proposito de' recenti accadimenti di Catalagna



Venditore – Almanacchi, almanacchi nuovi; gazzette d'oggi. Bisognano, signore, almanacchi o gazzette?
Passeggere – Avete le gazzette d'ogg'istesso?
Venditore – Sì signore; eccovi il Gazzettino delle Venezie, il Monitore di Forlimpopoli, l' Avvisatore di Lucca...
Passeggere – E, ditemi, riportano codeste gazzette e codesti avvisatori l'ultime nuove a proposito della Catalagna...?
Venditore – Certamente che sì, mio signore, e con grande dovizia. Esse contengono le dichiarazioni di Sua Maestà il re d'Ispagna, de' suoi ministri, le grandi sfilate di folle in Barcellona e le trascrizioni dell'assemblee del Parlamento di Catalagna.
Passeggere – E contengono esse eziandio i numeri del plebiscito per l'indipendenza...?
Venditore – Mio signore, senza meno.
Passeggere – Credete voi dunque che l'indipendenza della Catalagna si farà...?
Venditore – Signore, io son persona poco istruita...mi chiedete forse voi un parere sovra accadimenti di cotanta importanza in una contrada sì distante...?
Passeggere – Sì, e le vostre opinioni le m'interessano; d'altro canto, a voialtri che vendete le gazzette, non capita mai di leggerne alcunché...?
Venditore – Invero non lo disdegno, e mi compiaccio di tenermi al giorno delle cose.
Passeggere – Orbene, vi sarete quindi fabbricato un' opinione.
Venditore – Sia pur vaga, signore; ma, secondo il mio parere, una contrada la non puote distaccarsi facilmente da un regno antico, potente e illustre come quello d'Ispagna. Le son tutte chimeruole senza senso alcuno.
Passeggere – Credete voi dunque che 'l popolo della Catalagna non debba avere il desiderio, e anche il diritto, di reclamare la propria indipendenza da un antico e illustre regno? Pensate alla nostra Patria, all'Italia, e a' suoi sforzi acciocché tante terre si distaccassero dall'Impero Austriaco...credete voi che sia fatto a buon diritto?
Venditore – Invero che sì, mio signore. Io sono buon patriota e mi son battuto per l'Italia a Curtatone e Montanara.
Passeggere – E come fate allora a sostenere che 'l popolo di Catalagna non abbia eguale diritto? Anche la nostra era una chimeruola?
Venditore – Affé mia, no di certo! Ma noialtri, mio signore, siamo ben differenti da' todeschi, dagli slavi e da' barbari d'Ongarìa. I catalagni 'e sono spagnuoli come quelli di Madrile, di Toledo e di Siviglia...
Passeggere – Ignorate voi dunque che la Catalagna possiede un proprio idioma diverso dallo spagnuolo, e che gli spagnuoli non intendono, una sua letteratura, una sua cultura? Ignorate voi che la Catalagna 'e fue lungamente sovrana, e che essa fa parte dell'Ispagna soltanto dall'undici di settembre dell'anno mille e settecento quattordici...?
Venditore – Ohibò, mio signore, lo ignoravo. Le gazzette, sapete, scrivono che son tutti spagnuoli. Con ciò, non veggo perché la si dovrebbe distaccare da un regno sì eccelso che le diede fama e ricchezza.
Passeggere – Le diede ricchezza ma se l'è pur presa; e le gazzette riporteranno per certo le minacce che 'l Borbone di Spagna ha profferito alla Catalagna, di ruinarle i commerci, gli scambi e la riputazione or che le nazioni d'Europa si son raunate in un comune mercato.
Venditore – Ne parlano, e credo che 'l re d'Ispagna non sia nel torto. E aggiungo che un gran numero di catalagni desidera restare a far parte dell'Ispagna...
Passeggere – Codesto gli è pur vero; come sapete, a tale riguardo era stato infatti chiamato il popolo di Catalagna a plebiscito, acciocché s'esprimesse. Ma il re d'Ispagna e il primo ministro don Mariano lo impedirono, inviando la truppa a schiacciare quella consultazione, assaltando e fedendo.
Venditore – Questo non fu ben fatto.
Passeggere – Anche voi quindi siete d'accordo su che si dovesse fare.
Venditore – E' si doveva fare, ma con tutto questo credo che non si puote intaccare l'unitade dell'Ispagna, signore mio. Ella esiste da secoli. I regni e gli stati 'e non si fanno e disfano a piacimento.
Passeggere – Però nell'istoria, sapete quanti stati, regni e pur anco imperii 'e si son fatti e disfatti. Pensate all'Imperio Romano. Esso era assai più potente del Regno d'Ispagna, non credete? O per andar più vicini a noi nel tempo, pensate al dismembramento del regno de' Croatti, de' Servi e de' Cragnolini (*), che tanti lutti e ruine addusse or sono anni alcuni...
Venditore – Ma quel regno vivea sotto una dura tirannia. L'Ispagna è un regno ove 'l popolo ha la voce.
Passeggere – L'Ispagna è rimasta lungamente sotto eguale e durissima tirannia per mano del dittatore don Francisco Franco e Bacamondi, che si ribellò ottant'anni or sono e mosse assieme a' Mori una orrenda guerra intestina; egli poi ebbe a opprimere per quarant'anni il suo stesso popolo, e ancor più duramente i catalagni e i baschi.
Venditore – Ma don Francisco ubbidiva al re e alla Santa Religione; nel regno' degli Slavi erano de' senza Dio.
Passeggere – E credete dunque che pur li catalagni sieno de' senza Dio?
Venditore – Per quanto ne so, credettero fortemente in de' malfattori che proclamarono l'abolizione della Fede, distrussero e saccheggiarono i templi et arrivarono a sovvertire tutti gli ordinamenti.
Passeggere – Li catalagni le son teste calde, gli è pur vero. Non ostante ciò, non credete che essi avrebbero 'l diritto di governarsi da soli se lo desiderano?
Venditore – Può darsi che sì, mio signore; eppure non mi convincono i loro pensieri e le loro azioni. Meglio far parte d'un'Ispagna potente e forte, che ridursi a un picciol regno di niuna importanza, o -Iddio ne scampi- a una repubblica.
Passeggere – Sapete voi che anche il nostro grand'eroe, Giuseppe Garibaldi, era fautore di una repubblica.
Venditore – Sì, ma poi ubbidì a' sovrani savoiardi e ben fece.
Passeggere – Come vedete voi dunque l'avvenire della Catalagna?
Venditore – Anderanno avanti ma saranno duramente schiacciati e puniti; l'avvenire gli è questo. Non mi rende felice, ma non veggo come puote essere altramente.
Passeggere – Pur troppo, qui debbo dichiararmi d'accordo con voi. I plebisciti son doverosi, ma se un popolo desidera distaccarsi da un regno di cui e' non si sente parte, la sola azione da intraprendere 'e gli è la formazione di un'armata di popolo guidata da buoni generali e uffiziali, che sappia confrontarsi bravamente con forze soverchie.
Venditore – Si vedrebbe così davvero se desiderano l'indipendenza, o se le son solo chiacchiere e cicalecci di qualche agitatore. Le non esistono strade diverse; i plebisciti e le illusioni le si somiglian come fratelli gemelli.
Passeggere – Così è. E ricordate che ogni autorità di questo mondo, i regni, gli imperii e le repubbliche, hanno sempre un principio, ma anche una fine.
Venditore – E fia che, in un remoto avvenire, la Catalagna poterebbe di nuovo desiderare di riunirsi all'Ispagna.
Passeggere – All'Ispagna, alla Francia o al Mondo della Luna. E chi lo puote sapere, signore. Per l'intanto, staremo noi a vedere; fortunatamente, da noialtri non esistono tali perigli. L'Italia è una e indivisibile.
Venditore – E così penso anch'io; in fondo, le son cose di paesi lontani.
Passeggere – Lontanissimi e rimoti. Ditemi, vendete voi anche lo Starnazzatore della Padania...?
Venditore – Dolente di deludervi, signore mio, ma quel gazzettino cessò d'esser pubblicato alcun tempo or fa.
Passeggere – Lo ignoravo.
Venditore – Posso darvi, se lo desiderate, un esemplare della Gazzetta del Diporto con le ultime e interessanti nuove su' tornei di pallacorda, di tamburello e di pugilazione.
Passeggere – Mi chiedevo invero se la nostra fazione la si fosse qualificata per il torneo terraqueo di pallacorda che ha d'aver luogo nell'Impero Russo, impero sancito da Dio e che non avrà mai fine. Datemi una copia della Gazzetta del Diporto.
Venditore – Eccovela, signore; costa un bajocco e venti crazie. Grazie illustrissimo, e a rivedervi. Almanacchi, almanacchi nuovi; gazzette d'oggi !

(*) Antica italica denominazione degli Sloveni.