lunedì 19 febbraio 2018
Tanto va lo schiavo all'urna che si sente cittadino
Anche
se non si andrà a votare, è chiaro, un governo
(prima o poi) lo faranno lo stesso. Più o meno. Ci avranno le loro
“intese”, strette o larghe che siano, ci avranno le loro manovre,
i loro fascismi o i loro “antifascismi” che, non so come,
somigliano sempre di più ai peggiori fascismi (Minniti docet).
Saremo travolti da possenti ondate di responsabilità; e, quindi,
come si dice sempre in giro, non andare a votare è inutile. Un
sessanta per cento di infilatori di schede nell'urna cineraria,
ancorché bianche o nulle, si trova sempre; anzi, gli analisti
dicono persino che un grosso
astensionismo sia oramai “fisiologico” nelle democrazie.
E'
anche più che chiaro che quell'astensionismo “fisiologico” è
quanto di più variegato si possa immaginare. Ci sono i delusi, i
militanti, gli indifferenti, quelli che vanno al mare (beh, quando le
elezioni sono in inverno, magari un po' meno; andranno in montagna),
le vecchiette, i decerebrati, e chi più ne ha, più ne metta. E' da
tenere presente in modo preciso; altrimenti si rischia di fare come
il PMLI, che alla fine di ogni tornata elettorale festeggia la
propria grande vittoria. Il 40% al PMLI che ha detto di non andare a
votare!
Per
chi sostiene le ragioni di un astensionismo militante o, comunque,
cosciente e motivato politicamente, a dire il vero la vita è
abbastanza grama. In realtà, molto astensionismo (tocca qui citare
“La democrazia in America” di Tocqueville...) deriva dal bisogno
e dal desiderio del “cittadino” di essere estromesso in modo
coatto dalla vita pubblica, in modo da avere una tranquillità
privata che lo liberi da qualunque peso psicologico. In pratica, la
rinuncia alla condizione di cittadino attivo.
Si
potrebbe dire: d'accordo, ma questo ai tempi di Tocqueville
(1805-1859). In realtà, adesso sono le stesse democrazie
che estromettono totalmente e di per sé dalla vita pubblica e
attiva. Oggigiorno lo stanno facendo in un modo persino più smaccato
e, si potrebbe dire, totalitario delle
dittature classiche, novecentesche. Il totalitarismo capitalista non
ha più bisogno degli “uomini forti”, che ricordano tra l'altro
le ideologie che sono state dichiarate defunte e sostituite con una
zuppa di telefonini, pallone, “futuro”, eccellenze, terrorismi
telecomandati, securitarismo, decoro, famiglia, macellerie sociali,
ammòre e quant'altro.
Il totalitarismo capitalista ha bisogno che tu, caro “cittadino”,
te ne stia buono buono e che tu lasci fare a loro. La tua funzione,
“cittadino”, non è più quella di partecipare (se mai sia
esistita realmente): è quella di essere sondato,
quella di essere un produttore di umori che, peraltro, ti hanno
instillato artificialmente. Un fabbricante di paure varie e di
“tendenze” che vengono poi raccolte e trasformate in
politicàcchia, affari, corruzioni, mafie, manganelli.
Ogni
tanto ti chiamano quindi a “votare”, le “destre”, le
“sinistre”, i “centri” che si formano, si riformano, si
sciolgono e si alleano senza che questo significhi alcunché. Dire
questo non è qualunquismo: è, o quantomeno dovrebbe essere, una
semplice presa di coscienza della realtà dei fatti. Il totalitarismo
capitalista necessita del tuo “voto”, della tua delega, della tua
rappresentanza; così, “cittadino”, tu potrai startene tranquillo
e indisturbato nella tua famigliuola, nel tuo buchetto, nel tuo
ufficio, nella tua fabbrica e nel tuo nulla. Ci penseranno loro a
esaudire i tuoi desideri, l'immigrato cacciato via o sparato dal
neanderthaliano di Macerata, le telecamere, l'esercito per le strade,
la tua indignazione, il tuo lavoretto, la tua disoccupazioncina, e
magari pure il tuo sentirti intimamente “contro” perché il
totalitarismo capitalista prevede pure questo. Fornisce anche una
certa dose, un certo quantitativo di “opposizione”. Basta che tu
non faccia troppa confusione e che rispetti le regole, la “legalità”.
Altrimenti, ti aspettano lo stigma e la sociopatia.
Non
si vada troppo oltre, però. Come detto, caro “cittadino”, magari
sei già tra quelli che non andranno a votare. Mettiamo in conto
anche un po' di fatica: e che noia dovere andare al seggio, perdere
mezz'ora, il rituale della matita copiativa, il presidente che ti
dice “cabina n° 1”. Come vedi, caro “cittadino”, le tue
ragioni sono comprese con onestà e cognizione; e anche se non sono
così militanti o così motivate da precisi ragionamenti, sono pur
sempre ragioni non disprezzabili. E magari sarai festeggiato anche tu
dal PMLI che ha tanto caro uno che di certo non amava le elezioni,
tale Heng Samrin (più noto come Pol Pot).
Una
piccola parentesi sull'Anarchia.
C'era una volta uno che diceva che gli anarchici non saranno l'uno
per cento, ma esistono. Ora come ora sarebbe grassa se gli anarchici
fossero lo zero virgola uno. Gli anarchici sono pochi e non contano
niente, nonostante la strabiliante quantità di libri che ancora
producono. Nonostante questo, non hanno cessato di essere divisi,
litigiosi, non esiste praticamente anarchico che non ne odi almeno un
altro, e non esiste anarchico che non si senta intimamente più
anarchico degli altri. Gli anarchici sembrano essere d'accordo su
poche cose: una di queste è non andare a votare per precisa scelta,
ed invitare a non andarci. L'astensionismo, insomma. Uno di loro che
suonava e cantava (si chiamava Léo Ferré, l'unico anarchico del
Principato di Monaco; per inciso è anche quello che diceva che gli
anarchici non saranno l'uno per cento), disse una volta che
l'Anarchia era la formulazione politica della disperazione. Un'altra
volta ancora scrisse una canzone, intitolata Ils ont voté
(“Hanno votato”), un feroce manifesto dell'astensionismo. Vattela
pure a vedere, “cittadino”, è stata tradotta anche in italiano e
poiché avrai tutti i tuoi google, i tuoi facebook e i tuoi
smartphone ti sarà facilissimo con due click.
Vita
grama, vita sempre più sotterranea, vita comunque da “governati”,
vita da illusi, da sognatori, da utopisti. E vita da astensionisti.
Vita da chi non ha rinunciato a dire, o a provare a dire, che con il
tuo “voto”, che ti gabellano come “espressione di libertà”,
in realtà non fai altro che stringerti ancora un po' di più le
catene della tua schiavitù e del tuo asservimento al sistema
totalitario travestito (ma travestito sempre peggio, da guitto di
terz'ordine) da “democrazia”. Bella fine, la tua “cittadinanza”,
dover scegliere tra Renzi, Salvini e Di Maio, senza contare i
condimenti (un pizzico di casapound, una spruzzatina di liberi e
uguali, una spolverata di podere al pollo...)!
Prova
a chiudere gli occhi per un attimo, caro “cittadino”, e a tornare
ad esercitare per un minuto la nobile e feconda arte dell'utopia.
Che, peraltro, è già stata scritta: ci ha pensato uno scrittore
portoghese, José Saramago, che in un suo Saggio sulla
Lucidità (Ensaio sobre a
Lucidez) immaginava una grande città nella quale, il giorno delle
importantissime elezioni generali, nessuno va a votare. Astensionismo
al 100%. Prova a immaginarlo, tu che ti lamenti di “non arrivare
alla fine del mese”, tu che insorgi contro il sacchettino del
supermercato a 1 centesimo e poi vai a comprarti un telefono da 1300
euro, tu che non sei razzista però, tu che vuoi più “sicurezza”,
tu che trovi tanta realizzazione nella famiglia e nel lavoro, tu che
lotti per il futuro e magari muori domani e non lo sai.
Non
ci andare, a “votare”. Non è che “votare” non serva a nulla:
tu non voti un bel niente. Non scegli niente e nessuno; hanno già
scelto per te. Sei grande, come minimo hai compiuto 18 anni ed è ora
che tu te ne renda conto. La parola scegliere ha
un altro significato, ben più profondo. Tra le altre cose, per
derivazione popolare, ha la stessa origine etimologica di “eleggere”:
ex-legere. E allora,
scegli, eleggi di non starci più. Sempre, naturalmente, che tu lo
voglia: il piacere sottile di essere schiavo, è tragicamente vero,
non ha prezzo.