[**] Come il "caldo africano". Babacar, uno dei ragazzi senegalesi che sta tutti i giorni davanti al Penny Market a vendere la sua roba, qualche estate fa mi diceva molto divertito che era tornato da poco da Dakar e che si stava benissimo, ventisei gradi e un venticello gradevole, mentre all'Isolotto c'erano trentasette gradi e si boccheggiava.
sabato 24 febbraio 2018
Etimologie popolari
L'espressione linguistica "etimologia popolare" (o paretimologia) è, naturalmente, un calco dalla lingua tedesca: furono i grandi, severi e fumosi linguisti tedeschi del XIX secolo a creare il termine Volksetymologie che tutte le lingue europee hanno poi tradotto a modo loro. Al contrario di tanti termini linguistici, che indicano concetti e fenomeni non immediatamente accessibili a chi non abbia perlomeno abbordato studi specifici, l'etimologia popolare è un fatto comunissimo, quotidiano (oltre che antichissimo): in pratica, quando una data parola passa per i più svariati motivi da una lingua di origine ad un'altra, e molto spesso a più altre, i parlanti la prendono sì e la fanno entrare nell'uso, ma "adattandola" non solo alla loro diversa realtà fonetica, ma anche riportandola a parole che hanno per loro un significato già esistente. E' un fenomeno che interessa sia la comunità dei parlanti, sia il singolo (o quantomeno un gruppo ristretto).
Prendiamo ad esempio un comune modo di dire: fare un repulisti. Deriva da una forma verbale latina, rep(p)ulisti, che è la 2a persona singolare del perfetto di repellere, vale a dire: "tu hai respinto, hai rifiutato". Quasi tutti noi, però, diciamo tranquillamente: fare un ripulisti, cioè qualcosa come "sbarazzarsi di ogni cosa", associando naturalmente la parola al verbo ripulire. Il fenomeno, come detto, può anche riguardare un singolo (o, comunque, più singoli): in fondo, l'etimologia popolare e lo "sfondone" sono gemelli, sebbene eterozigoti. Ogni tanto, ad esempio, la cronaca riporta casi di "donne diaboliche" che hanno fatto fuori mariti, amanti eccetera; famoso il caso, avvenuto anni fa, della Gigliola Guerinoni da Cairo Montenotte (Savona). Orbene, non passarono che poche ore e la Gigliola era già diventata la "mantide di Cairo Montenotte"; però, altrettanto rapidamente, per molti era diventata l' "amantide" (visto che aveva gli amanti...) mentre, di converso, l'insetto dal quale l'espressione ha origine era diventato l' amantide religiosa. Il fenomeno investe ogni cosa, anche i toponimi e i nomi di persona; ad esempio, il nome della città di Ventimiglia deriva dal suo toponimo storico latino di Albintimilium. E' un nome di origine remotissima: la sua prima parte sembra essere l'antico ligure *albom "città, capoluogo" (che si ritrova anche in Albenga, Albissola ecc.), mentre la seconda è il genitivo plurale (sempre ligure) *Intemeliom "dei liguri Intemeli"; quindi, "città capoluogo degli Intemeli". Persa ogni cognizione del vero significato del nome, la popolazione locale mantenne comunque il nome ma associandolo (fin dal latino medievale Vigintimilium e Vigintimilia) a delle non meglio precisate "venti miglia", una indicazione di distanza (ma non si sa da dove) comune nei nomi di luogo -come nei vari Quarto, Quinto, Sesto, Badia a Settimo. Un celebre condottiero inglese del XIV secolo, John Hawkwood (ca. 1320-1394), operò anche al servizio della Repubblica Fiorentina. Non si sa esattamente come lo chiamassero i fiorentini dell'epoca, ma si sa bene che Niccolò Machiavelli, insomma non l'ultimo dei bischeri, un secolo dopo gli attribuì il nome di Giovanni Acuto. Il termine "Acuto" non è qui soltanto una fiorentinizzazione dell'impronunciabile Hawkwood; "acuto" significa piuttosto "aguzzo", cioè dalla figura alta e slanciata (come, sembra, John Hawkwood fosse realmente e come si vede da un affresco di Paolo Uccello nella cattedrale di S. Maria del Fiore). Il Machiavelli riprese probabilmente anche la versione francese del nome del condottiero da fonti coeve, Jean de l'Aiguille ("Giovanni dell'Ago"); ma lo storico francese Jean Froissart (1337-1405), che fu suo contemporaneo, lo chiamava ancora e semplicemente Haccoude, francizzando brutalmente il cognome inglese che significa qualcosa come "foresta del falco". Poi la paretimologia (in questo caso assai colta) ricorse all'ago e all'acuto.
Roba di tutti i giorni, si diceva, e di tutte le epoche. Lo dico perché, in questi giorni, sta imperversando una etimologia popolare in piena regola, perdipiù veicolata tramite ogni mezzo veicolante: giornali, TV, reti sociali, bollettini meterologici (tra i quali si distingue l'immaginifico e catastrofico meteo.it, quello che crea per le ondate di freddo e di caldo nomi spettacolari come "Caronte", "Flegetonte", "Cerbero", "Acheronte", "Belzebù" ecc.) [*]. Sto parlando, ovviamente, del famoso vento sarmato-uralico (ma perlopiù definito "siberiano" perché la Siberia, inutile opporsi, "tira" sempre di più e fa regolarmente la sua porca figura [**]) che sta per irrompere sull'Italia pre-elettorale e per congelare democraticamente tutti quanti (in tasca a chi, il 4 marzo, si immaginava già i primi tepori primaverili e uccellini cinguettanti diversi dal richiamo di Whatsapp). Insomma, il burian, chi altro. Quello che porterà le "temperature siberiane" in Italia, sì, ma le temperature siberiane di metà settembre. Ora, a Yakutsk, ci sono trentotto gradi sotto zero, e rispetto ai -50° e oltre che a volte ci fanno, è quasi una bazzecola.
Il problema, però, è che il gradevole venticello in questione non si chiama "burian", ma buran, senza la "i" nel mezzo. Deriva dal russo буран, che a sua volta è ripreso dal turco burağan "vento fortissimo". Dal turco? Forse non si riesce facilmente a immaginarlo, ma il turco di Turchia è soltanto una delle tante e cosiddette "lingue turche", o "turciche", che si somigliano tutte, e parecchio. In Asia Centrale e in Siberia si parlano e si scrivono lingue affini al turco: l'azero, il kirghiso, il tàtaro, l'uzbeco, il ciuvascio e, beninteso, anche lo yakuto, quello di Yakutsk (che però, in yakuto si chiama sacha tyla). Insomma, cosa è successo? Sebbene il termine originario non presenti (a differenza di altri) nessuna speciale difficoltà di pronuncia e di adattamento (buran potrebbe tranquillamente essere un cognome o un toponimo veneto...), è diventato (anche per il meteo.it) il "burian". Caso, appunto, di perfetta etimologia popolare: visto che apporta tempeste di vento, freddo intenso, tormente di neve ecc. è stato, da meteorologi, giornalisti e utilizzatori dei più moderni strumenti socio-informatici, riportato alla cara, vecchia e rassicurante buriana. Ragazzi, l'è buriana!, si diceva da pischelli quando si spaccava un vetro a pallonate, arrivava minaccioso qualcuno e si doveva battere fuga.
Non c'entra quindi la facilità o difficoltà di pronuncia (se il vento si fosse chiamato xšvodbychwudzki qualcosa sarebbe stata comunque escogitata), bensì l'immediato e naturale accostamento ad una parola italiana che: a) gli somiglia, b) indica un fenomeno atmosferico di portata "estrema". E, quindi, il "burian" e la "buriana" si son dati la mano, preparandosi comunque a surgelarci gli ovajoni [***] per circa una settimana, dicono. Evviva l'umanissima, fantasiosa e spesso divertente Volksetymologie, che non muore mai in barba al progresso tecnologico. Solo per dovere di completezza, la parola italiana buriana ha un'origine che divide ancora quei buffi e bizzarri personaggi ch sono i linguisti storici, gli etmologisti ecc. Chi la fa derivare dal latino boreas "(vento) del nord" tramite un presupposto aggettivo sostantivato *boreana (il tutto da ricondurre al greco βορρᾶς), chi allo sloveno burja (da cui, sembra, anche la bora di Trieste e del Carso), chi ribalta tutto dicendo che invece pure la bora deriva da boreas, chi ribalta ulteriormente facendo derivare la burja slovena dalla bora triestina....e intanto il vento soffia.
[*] Sentita coi miei orecchi a un bar vicino, la scorsa estate quando c'erano quaranta gradi e oltre. Era durante una delle famose "ondate di calore" a cui si danno nomi vagamente danteschi (non mi ricordo se era "Acheronte" o "Flegetonte", ma quell' -onte sembra essere molto amato dai meteocreativi). Nel bar c'era un omino, un "umarell" in piena regola, che si beveva il caffè sbuffando dal caldo e maledicendo quella cosa lì....insomma 'sto caldo maledetto, come si chiama....Rinoceronte...puff...puff....
[**] Come il "caldo africano". Babacar, uno dei ragazzi senegalesi che sta tutti i giorni davanti al Penny Market a vendere la sua roba, qualche estate fa mi diceva molto divertito che era tornato da poco da Dakar e che si stava benissimo, ventisei gradi e un venticello gradevole, mentre all'Isolotto c'erano trentasette gradi e si boccheggiava.
[**] Come il "caldo africano". Babacar, uno dei ragazzi senegalesi che sta tutti i giorni davanti al Penny Market a vendere la sua roba, qualche estate fa mi diceva molto divertito che era tornato da poco da Dakar e che si stava benissimo, ventisei gradi e un venticello gradevole, mentre all'Isolotto c'erano trentasette gradi e si boccheggiava.
[***] Termine "portmanteau" creato da me personalmente di persona per risolvere un'annosa questione: se nomino solo i coglioni sono uno stronzo maschilista, se nomino solo le ovaie sono il maschietto che vuole fare il femminista da tastiera, e quindi propongo che il termine "ovajoni" sia immesso nell'uso. "Cogliovaie", secondo me, non farebbe altrettanta presa.