martedì 6 marzo 2018

Ponte Idy Diene


Quando, a volte, si scrive troppo "a caldo", perdipiù basandosi su prime notizie riportate da testate di regime, si commettono spesso inesattezze, e si basano i propri ragionamenti su prospettive sbagliate.

Così ieri mattina, quando appunto poco dopo i fatti ho scritto il post intitolato Il secondo venuto mi sono lasciato fuorviare da diverse cose, prima fra tutte quella della follia e della disperazione. Altro che follia. Altro che disperazione. Me lo è stato fatto giustamente notare; vorrei quindi riportare ciò che quella persona mi ha scritto.

" Mah, a me sembra che chiamarla follia sia pericoloso. La follia è qualcosa di imponderabile, qualcosa come un fumoso uccellaccio che può attaccartisi ai capelli quando meno te lo aspetti, una causa esterna dunque. Qui invece - come nel caso del carabiniere che ha ammazzato le figlie - io vedo vigliaccheria e stronzaggine, calcolo e grettezza, piccineria e manie di grandezza. Questo ha scelto di togliersi le castagne dal fuoco a prezzo di una vita altrui (ed è paradossale che probabilmente ci sia stata una componente di rimorso nei confronti della propria famiglia, per averli messi nei casini finanziariamente; ma nessun freno morale - e quindi nessun rimorso - nell'uccidere un altro essere umano a scopo puramente utilitaristico). Quell'altro ha quasi ucciso la moglie e ucciso le due figlie (ma perchè poi le figlie?!) perchè la moglie aveva osato separarsi da lui, quando lui stesso aveva un'amante da tempo. Guardare dentro a quell'individuo è come guardare dentro una fossa settica non spurgata da un bel po'. Parlare di follia ne suo caso, o in quello che hai raccontato, significherebbe concedere un'attenuante morale che decisamente nessuno dei due si merita. "

Non ci sarebbe, in fondo, molto da aggiungere. O forse sì. Ci sarebbe da aggiungere che tutto quel che è accaduto ieri mattina è il frutto, oramai, di una "cultura", di un modo di pensare, di razzismo, di odio. E stop. Nessuna "follia", anche se dalla follia siamo circondati. Nessuna "disperazione", anche se dalla disperazione siamo circondati. Per le tue follie e le tue disperazioni, la colpa ricade sull'Altro. L'Altro è nemico. Questo è stato fatto passare nella testa. L'Altro ti "invade". L'Altro ti "ruba il lavoro". L'Altro "stupra le donne". L'Altro è "terrorista".

E così, oggi, su quel ponte è stato organizzato un presidio. Mi ci sono recato. Poco prima di arrivare sul ponte, sono entrato in un bar per prendere un caffè. Simpatica e giovane barista italiana. Entra all'improvviso un giovane vestito da lavoro, che evidentemente conosce la barista; si mettono a parlare. Due giovani fiorentini della classe lavoratrice.

"Oh, hai visto quello ieri sul ponte?", dice lui alla barista che annuisce. "Ha fatto proprio bene...! A me mi tocca lavorare in un cantiere coi bangladesh...uno in meno! Casomai è stato un bischero perché si è fatto beccare subito dalla polizia...!" E la giovane barista là che sorrideva e ridacchiava.

Io ho posato il caffè senza finirlo di bere e sono uscito dal bar senza nemmeno pagarlo. E non se ne sono nemmeno accorti tanto erano beati nel ridacchiare sull'assassinio di un essere umano che neanche conoscevano.

Un assassino che aveva "risparmiato la mamma col bambino" (anche loro di colore, ma quando ho scritto ieri ancora non si sapeva) scaricando poi sei colpi di pistola su Idy Diene, venditore di ombrelli, abitante a Pontedera, che passava di là. Un assassino con la sua brava pagina "Facebook" sulla quale lo si vede col suo fucile. Un assassino razzista che, sempre sulla sua pagina Facebook, scriveva i pensierini contro l'ISIS. Il tipografo pensionato sessantacinquenne. La "persona qualsiasi" come la giovane barista e il suo amico lavoratore. La persona che puoi incontrare sull'autobus, alla cassa del supermercato, in un bar, per la strada, dovunque.

Ed eccovi quindi gli "italiani", quelli che dovrebbero sempre "venire prima" negli slogan acchiappacervelli di una destra che, oramai, abbraccia tutto e, più che altro, la mente delle persone. La vita dell'Altro non conta niente, e chi lo fa fuori diviene una sorta di eroe. Come il Traini da Macerata, come il Pirrone da Firenze. Quel che più mi rimprovero, in quel che ho scritto ieri, è di aver ceduto anche io alla panzana della "follia" e della "disperazione", panzana che il Pirrone si è sentito bene di esprimere anche al momento del suo arresto ("Portatemi in carcere, questa vita mi fa schifo"). Già, questa vita ti fa schifo, e quindi, dai, togliamola al primo o secondo che passa. Basta che sia negro, naturalmente. La vita che faceva schifo al Pirrone non la si poteva togliere a un turista tedesco o all'italiano. Un negro, invece, si può anche ammazzare come un capo di bestiame da abbattere.

Il ponte Vespucci ha delle ringhiere metalliche per tutta la sua lunghezza. Quando sono arrivato c'erano un po' di fiori, dei cartelli, due o tre striscioni. Nulla in confronto alla cancellata dello stadio, dove una città intera piange un calciatore di 31 anni morto per cause naturali in una camera di un albergo a cinque stelle. Per un negro di 54 anni ammazzato mentre camminava per i fatti suoi, la città intera non piange e non si scomoda granché. E' così a Firenze e sarebbe così ovunque. A Macerata, dopo quel che è successo, il primo partito è la Nazi-lega di Salvini. C'è rabbia, certo, tanta rabbia. Viene sfogata sul sindaco Nardella, che si è presentato al presidio; il sindaco PD, creatura di Matteo Renzi, applicatore ferreo dei decreti del suo sodale Minniti, distributore di Daspo urbani, sgomberatore indefesso.

Lo stesso sindaco Nardella che ieri sera, mentre i senegalesi e gli altri africani stavano percorrendo il centro in una manifestazione spontanea, si preoccupava tanto di due o tre "fioriere antiterrorismo" nel salottino buono e di gran lusso di via Calzaiuoli, divelte e rovesciate. "Paura in centro", titolano la "Nazione" e la "Repubblica"; già, invece sul ponte, che è pure in centro, così tanta paura non c'era. C'era, invece, il giustiziere "disperato" e "folle", quello che "voleva andare in carcere per non gravare sulla famiglia". Aver creduto a queste balle, all'inizio, è una cosa che non mi perdono.

Il sindaco Nardella è stato cacciato via dal presidio, e si è beccato anche uno sputo addosso da qualcuno. Torni a preoccuparsi delle sue fioriere, dei suoi cantieri che non finiscono mai, delle sue inaugurazioni di giardinetti, dei suoi fontanelli e dei suoi "angeli del bello".

Rabbia, polizia, (tanti) africani e africane, (pochi) italiani e fiorentini. I soliti. L'usuale contarsi mentre ci si saluta praticamente tutti quanti, a parte qualche cittadino e cittadina che è venuta a esprimere "solidarietà". D'accordo, la solidarietà; d'accordo la presenza. Ma non è possibile neppure parlare di una minoranza. Si tentava di formare un corteo che è stato impedito dalla polizia (tra l'altro, sabato 10 marzo si terrà a Firenze un corteo nazionale); c'è stato anche un piccolo inizio di carica. Sono del tutto certo che, invece, molta più "solidarietà" sarà riservata al povero, disperato, folle Pirrone. All' "italiano" coi debiti e col fucile da Facebook. All'ordinario "pensionato", quello che magari si è fatto "una vita di lavoro". Ma queste "vite di lavoro" chi ve le ha fatte fuori, dei politicanti o gli immigrati? La Fornero o Idy Diene? Renzi o i venditori di ombrelli? I padroni o dei diseredati?

Questa la situazione. Questi i veri "risultati elettorali"; questo quel che si avrà a ripetere. E, penso, anche molto presto.