lunedì 3 settembre 2018
La vita è breve e i libri son tanti
Si
va stavolta un po' indietro nel tempo,
nella
Firenze seicentesca che sarebbe stata ancora Medicea per un
secolo;
una Firenze che i libri di storia dicono oramai in decadenza,
oramai
priva da un secolo e mezzo della sua enorme potenza politica e
culturale,
avviata a un declino che sembra inarrestabile. E giа allora
i
fiorentini rimpiangono il passato, si lamentano della sporcizia e
della
mancanza di spazio, e si dividono in inutili fazioni tollerate
da
una blanda tirannia e da una dinastia di autocrati che sta
morendo nell'impotenza
e nella malattia. Non
vi sono più molti spiriti originali, ma è l'epoca della grande
erudizione; e di molti eruditi di quel tempo è piena ancora Firenze,
in nomi incisi su targhe stradali. Nomi che non dicono più niente
alla maggior parte di noi; alzi ad esempio la mano chi, passando da
Corso de' Tintori a Piazza di Santa Croce per un breve tratto di
strada, si è mai chiesto chi mai fosse quell'Antonio Magliabechi cui
la via è da sempre dedicata. Eppure, dietro ogni nome c'è una vita
ed una storia; ed è la vita e la storia proprio di quel nome di cui
si parlerа qui. La storia di un uomo che amava i libri più d'ogni
altra cosa al mondo.
Antonio
Magliabechi era nato a Firenze, in via de' Pepi, il 28 o 29 ottobre 1633.
Era figlio d'un piccolo orefice, Marco Magliabechi, e d'una donna dal
nome assai singolare: si chiamava infatti Ginevra Baldorietta. Il
padre lo avviò, com'era d'uso, al mestiere di bottega fin dalla più
tenera etа; e Antonio divenne un orefice di valore. Ma la sua vera
passione, quella che davvero la divorava, era un altra: sapere,
conoscere, leggere, apprendere. Il giorno lavorava, e la notte
leggeva e studiava i libri che si comprava coi pochi soldi che il
padre gli dava; perché il figlio a bottega dal padre riceveva, e non
sempre, poco o niente. La vera paga era imparare il mestiere alla
perfezione in modo, poi, da trasmetterlo a sua volta al figlio.
Questo è stato l'artigianato fiorentino fino a non molto tempo fa.
Antonio
Magliabechi tenne coscienziosamente la bottega fino all'età di
quarant'anni; ma già da quanto ne aveva solo sedici in città si
parlava di lui come di un vero e proprio genio. Dotato di una memoria
assolutamente stupefacente, paragonabile veramente a quella del
famoso Pico della Mirandola, quando poteva si aggirava per i librai
della città e comprava tutto quello che poteva; senza contare che
qualche libraio, commosso e incuriosito dalla passione del giovane, i
libri glieli "prestava" ben sapendo che non sarebbero mai
stati restituiti. Fu cosí che Michele Ermini, bibliotecario del
cardinale de' Medici, si accorse delle sue capacità e gli insegnò
gratuitamente il Latino, il Greco e l'Ebraico, lingue che Antonio
apprese alla perfezione e con una rapidità sconcertante. La sua
fama cresceva e cresceva, ma continuava a tenere la bottega paterna
ed a fabbricar gioielli e vezzi, perché nella vita non si sa mai.
Giunto
all'età di quarant'anni, dotato di una cultura assolutamente immensa
in ogni campo dello scibile umano, il modesto orefice continuava la
sua vita spartana fra i suoi libri, che oramai erano divenuti in
numero assai considerevole. Per i libri rinunciava a tutto: si faceva
bastare un tozzo di pane, vestiva in modo che definire trasandato
sarebbe stato un eufemismo e non gli si era mai vista accanto una
donna nemmeno col cannocchiale. Quale donna, del resto, avrebbe
voluto vivere accanto ad una persona del genere? L'unico vizio che si
concedeva era il fumo del tabacco; non mangiava quasi, ma fumava come
un turco aggiungendone il puzzo all'odore non propriamente gradevole
che già emanava.
Fu
a quel punto che il sogno della sua vita ebbe finalmente ad
avverarsi: morto in tarda etа Michele Ermini, il suo vecchio
maestro, il granduca Cosimo III trovò del tutto naturale nominare
suo bibliotecario personale quello strano e stupefacente personaggio,
che i fiorentini di allora chiamavano affettuosamente "Zio
Tarlo" (o semplicemente " I' Tarlo"). Correva l'anno
1673; Antonio Magliabechi vendette la bottega, prese i suoi libri e
s'installò a palazzo, rifiutando però il sontuoso appartamento che
il granduca gli aveva messo a disposizione. Non ne aveva bisogno; si
fece dare una stanzetta spoglia, che gli era più che sufficiente. In
realtà campava nella biblioteca.
Ben
presto, il ripugnante bibliotecario divenne la figura centrale nella
vita culturale fiorentina. La sua memoria prodigiosa gli permetteva
di sapere non solo tutto su ogni cosa, ma addirittura di conoscere
alla perfezione ogni libro che si trovava nella biblioteca ed in
altre biblioteche che non aveva mai visto, che gli comunicavano per
lettera gli inventari e il contenuto delle opere che possedevano. Non
contentandosi di questo, se qualcuno solo gli nominava un breve brano
di un'opera contenuta nella sua biblioteca, senz'altra
specificazione, era capace all'istante di dirne l'autore, il titolo,
il paragrafo e la pagina esatta in cui il brano si trovava. La
Biblioteca Medicea conteneva allora più di sessantamila volumi,
ventisettemila dei quali costituivano la biblioteca privata che
Antonio Magliabechi s'era formato negli anni e che s'era portato
dietro aggiungendola a quella storica.
Antonio
Magliabechi divenne celebre in tutta Europa. Studiosi ed eruditi di
ogni nazione corrispondevano con lui e ne ricercavano il parere;
malgrado i suoi costumi assolutamente spartani, anzi diogeneschi (con
la biblioteca al posto della botte), non era un "orso" ed
aveva anzi un carattere spiritoso, amichevole. A chiunque gli
ponesse anche la domanda più difficile e astrusa, era pronto a
rispondere, direttamente o per lettera, in modo esauriente e
gentilissimo, senza fare assolutamente pesare le proprie conoscenze
inarrivabili. La sua modestia, tra l'altro, gli impedí sempre di
firmare con il proprio nome una gran quantità d'opere "altrui"
delle quali era invece, quando non l'autore completo, perlomeno il
collaboratore principale.
Gli
stranieri che arrivavano a Firenze ed avevano a che fare con lui ne
tracciano un ritratto ammirato e inconfondibile. Nel lodare
ovviamente la sua cultura miracolosa, ne parlano come un vecchio ed
eccentrico scapolo dall'aspetto sempre più ripugnante con il passar
degli anni. Sporco, sempre a fumare o a masticare tabacco,
perennemente a leggere nella biblioteca dove sbocconcellava anche i
suoi magerrimi pasti infilando fette di salame tra le pagine, a mo'
di segnalibro, riprendendole magari il giorno dopo e mangiandosele
come se niente fosse. Per più di vent'anni gli si vide addosso
sempre lo stesso vestito, finché, non restandogliene che dei
brandelli, il granduca non lo costrinse ad acquistarsene uno nuovo. E
a chi gli chiedeva come mai insistesse a far quella vita, dato che la
sua carica era ben pagata ed era diventato ricco, rispondeva sempre
con la stessa frase: "La vita è breve, e i libri son tanti".
I
soldi che guadagnava, li adoperava ancora allo stesso modo: comprando
libri, libri, libri e libri. Che imparava a memoria in un
battibaleno, perché la memoria gli era rimasta quella dei vent'anni,
ed ammassandoli in ogni dove. La Biblioteca Medicea divenne troppo
stretta, ed era l'unica al mondo dove il catalogo fosse inutile.
C'era già un catalogo vivente che si chiamava Antonio
Magliabechi. E fu cosí che la sua vita continuò fino alla fine,
quella vita troppo breve per tutti i libri del mondo ma singolarmente
lunga per l'epoca e, soprattutto, per la condotta di vita che aveva
sempre menato. Il vecchio Magliabechi, però, ad un certo punto,
s'ammalò gravemente; necessitando di assistenza, fu portato al
convento di Santa Maria Novella dove si lasciò morire perché era
stato strappato ai suoi libri, cioè all'amore unico ed assoluto
della sua vita. Morí il 4 luglio 1714, all'età di ottantun anno.
Lasciò tutti i suoi libri al granduca di Toscana, alla sola
condizione che egli costituisse una biblioteca veramente pubblica,
aperta a tutti, libera. Il suo patrimonio, praticamente mai
intaccato, volle che andasse invece ai poveri della città.
Il
granduca esaudí scrupolosamente le ultime volontà di Antonio
Magliabechi; e la Magliabechiana divenne la prima biblioteca
autenticamente pubblica di tutta Europa. Nel 1861, appena costituito
il Regno d'Italia, Vittorio Emanuele I emise un decreto "ad hoc"
con il quale, dopo secoli, la Magliabechiana tornava ad unirsi con
l'ex biblioteca granducale, la Palatina. E' questo il nucleo
originale di quella che adesso è la Biblioteca Nazionale Centrale.
Via Antonio Magliabechi sorge su un suo lato. E m'immagino se il
vecchio Antonio potesse tornare anche un sol giorno sulla terra, e
vederla -pur nelle sue tante magagne e con un'alluvione sul groppone-
coi suoi nove o dieci milioni di volumi. Chissа cosa chiederebbe al
Padreterno, forse una quindicina d'altre vite brevi perché i libri
son diventati davvero tanti.
Originariamente pubblicato sul newsgroup Usenet "italia.firenze.discussioni" il 9 giugno 2003.