giovedì 10 aprile 2008

I torvi



Eccoli, eccole che arrivano. Hanno facce normali, sono vestiti in modo più che normale, hanno un'età normale; non importa quale. Sono i torvi, sono le torve. Sono lì, accanto a te, sull'autobus, al supermercato, al bar, per strada; e si riconoscono subito, anche se, al momento, niente di torvo è apparentemente dipinto sul loro volto. Basta poco. Non importa che tu abbia un aspetto insolito, forestiero, abnorme. Anche tu puoi essere normalissimo, come loro. Puoi essere vestito in modo altrettanto normale. Puoi avere l'età che vuoi.

Ma, magari, in quel momento ti è venuto di sorridere. Mentre ti appoggi ai sostegni di un autobus stracolmo. Mentre ti bevi in santa pace un caffè al bancone del bar. Mentre sei in coda alla gastronomia della Coop vicina per comprarti una porzione di pasta al forno e tre fette di polpettone. Stai sorridendo, e questo è intollerabile per i torvi. Di questi tempi, sotto questi chiardiluna, sorridere è non solo vietato; sta diventando quasi sovversivo. Genera sospetti.

Così, ieri verso mezzogiorno e tre quarti, me ne stavo giusto in fila a una Coop per comprare, caso volle, proprio una porzione di pasta al forno e tre fette di polpettone. Tranquillissimo, col mio numeretto 96, in piedi con le braccia conserte, il carrello della spesa sistemato in modo da non disturbare il passaggio. E non soltanto sorridevo; cantavo. Ho questa bizzarra abitudine, che mi porto dietro fin da bambino; quella di cantare dappertutto, non certo a squarciagola ma sicuramente in modo più che udibile. Mi viene spontaneo e non saprei trovare una spiegazione plausibile; così come, onestamente, ritengo plausibile che a volte qualcuno mi prenda, se non per matto, perlomeno con qualche rotella fuori posto. Ma chi se ne frega; se mi va di cantare, canto. Ieri, in particolare, in coda alla gastronomia della Coop cantavo una canzone degli Apuamater Indiesfolk, Var'ka. Con tanto di grande rivoluzione, dita affondate nella gravidanza, arterie del Don e colli schiacciati.

Accanto a me una signora, una sessantacinquina d'anni ma le età le so dare piuttosto male. In coda pure lei, col suo carrello, vestita con un soprabito verde scuro. Mi arriva poco più in su dell'avambraccio, ma ha una statura normale; casomai, sono io ad essere decisamente alto. Ma è normale anche che io sia un metro e novanta e rotti. Ho addosso una giacca blu portata su un maglione blu, e dei jeans che per definizione dovrebbero essere blu. Tutto blu. La guardo. Mi aspetto qualcosa, per un'intuizione improvvisa; e la torverìa esplode regolare. Matematica.

- Giovanotto…c'è poco da cantare!

Mi chiamano sempre "giovanotto", a me. Ora, certo, ancora vecchio –per fortuna- non sono, anche se qualche pelo bianco nei capelli e nella barba comincia a vedersi bene. Ho quarantacinque anni. Magari essere chiamato "giovanotto", alla mia età, mi fa pure piacere; così come me ne ha sempre fatto poco essere chiamato "zio" dai miei nipoti. Proprio non mi ci sono mai visto nei panni di zio.

- Prego, signora?…., faccio con aria ostentatamente cortese, già prevedendo l'andazzo.

- Beato lei che canta….ma non lo vede che gente c'è a giro?

Mi guardo in giro. C'è gente normalissima, come me, come la signora. Qualche mamma col bambino. Pensionati. Persone comunissime. Aspettate, aspettate, no. Non me n'ero accorto; al bancone accanto, quello della panetteria, c'è un tizio che sta confabulando con un altro tizio, in una lingua sconosciuta alla signora. A me no. Stanno parlando in rumeno. Della partita che la Roma deve giocare la sera contro il Manchester. Quello la cui voce si sente meglio dichiara brevemente al suo amico, o collega, di fare il tifo per le squadre italiane. Quindi anche per la Roma.

- Signora, in giro…

Manco faccio in tempo a finire la frase, che poi sarà stata sicuramente una banalità, che la signora parte con un'autentica concione.

- Perché stanno dappertutto! Ormai non ci si rigira più! Se ne stessero alle su' case, che poi si vede cosa fanno, rubano, stuprano, ammazzano! Delinquenti ! Gliela darei io la galera! Al muro!

I due rumeni manco si voltano. Uno compra un filone di pane. Continuano a parlare. Sono vestiti chiaramente da operai, uno ha una tuta blu stinta e sporca di vernice; proprio dietro la Coop c'è un cantiere aperto, un vecchio convento degli anni in cui da quelle parti, come si suol dire, era tutta campagna. Per qualche anno è stato un centro sociale poi regolarmente sgomberato; ora è in via di trasformazione in appartamenti senz'altro prestigiosi. Tutto è prestigioso in questa città. Prestigiòpoli.

Non faccio nemmeno in tempo a abbozzare una reazione. Da qualche tempo, a questo genere di discorsi cerco in qualche modo di reagire, sempre. Mi assumeranno, chissà, nell'orchestrina dei Fiati Sprecati, anche se non so suonare niente. La signora se ne va, liberando finalmente nell'aria tutto il suo torvo. Ha un'espressione cattiva. Quella che normalmente, magari, è la cara, buona, vecchia zia. La brava, anziana vicina di casa che non ti rifiuta mai un piacere. Se ne va senza nemmeno prendere la sua roba. Io resto lì con un'aria così.

I due rumeni, accortisi finalmente del casino, si mettono a sorridere. Uno si porta un dito alla tempia, il gesto universale che significa "questa è matta". Non resta che sorridere anche a me. Mi viene quasi la voglia di avvicinarmi a quelle due persone, e scambiarci due parole, in italiano o nella loro lingua. Ma tanto a che servirebbe. Hanno già detto tutto.

E me ne vado. Prendo la mia pasta al forno, il mio polpettone. E ricomincio a cantare, badando stavolta, però, di farlo a voce un po' più alta. Ci tengo, porca puttana, a essere un giovanotto sorridente. E al prossimo torvo, alla prossima torva, giuro, invece di spiegare ragioni che tanto non vengono più intese in questo mondo di alienazione, mi mettero a cantare. Sul muso. Come semplice atto di sanità mentale.

6 commenti:

pappagheno ha detto...

beato te che li capisci!
aspettando l'autobus in questo magnifico quartiere accanto al quale abito [San Salvario, a Torino] capita di aver voglia di sapere di che parlano le mamme col velo che accompagnano i figli a scuola o gli operai, rumeni anche qui, in attesa di essere sottopagati e sfruttati nei cantieri post-olimpici. o ancora i cinesi carichi di sacchi di vestiti. purtroppo solo le lingue sudamericane sono a me intelligibili, e raccontano di un mondo meraviglioso di speranze e voglia di vivere.

PS è un piacere rileggerla!

Anonimo ha detto...

Ce ne fosse di gente come te in giro .

Canto anch'io, posso?
^_^ ..un bel concerto.. ^_^

Riccardo Venturi ha detto...

Gran piacere anche per me rileggerla, senhor Pappagheno!
Su quel che hai detto, bisognerebbe che prima o poi mi decidessi a imparare l'arabo (ma quale arabo, poi? Due marocchini parlano un arabo totalmente differente da quello di due egiziani...e nessuno di loro parla certamente fra sé in arabo comune letterario). Ad ogni modo, posso soltanto dire che le volte che mi è capitato di cogliere conversazioni di immigrati, si è trattato quasi sempre di cose più che quotidiane, persino banali. Cose di tutti i giorni, come le mie, come le tue. C'è invece davvero chi crede che tutti parlottino per ordire trame ai danni della "società occidentale", per organizzare minimo degli stupri di massa, per decidere la rapina o l'estorsione.
Speranze e gioia di vivere? Un mondo meraviglioso? Chissà. A me è capitato semplicemente di sentire due operai che parlavano di una partita di calcio mentre una tizia si sentiva autorizzata ad inveire contro di loro senza nessun motivo. Certa magari di trovare approvazione in diversa gente. E' questo il "sugo di tutta la storia", purtroppo. Saluti cari!

Riccardo Venturi ha detto...

Carissima AutentiKa, guarda, sarebbe uno dei miei sogni fare una specie di "blog cantato". Ora, devi sapere che in materia informatica io sono un analfabeta riconosciuto & certificato, indi per cui, magari, in qualche modo già si potrà sicuramente fare per mettersi tutti a cantare sui blog; il seguente è quindi un appello a chi ne capisce qualcosa :-)
Nel frattempo, una cantatina giornaliera senza diavolerie telematiche la possiamo fare tutti, in faccia al mondo. Ci vuole poco: basta averci...le canzoni!
Saluti carissimi!

il blebo ha detto...

sarà un piacere iniziare a leggerla,giovanotto: c'est pas tout le monde qui chante pendant qu'on se promène!!per fortuna tra i torvi qualcuno a volte sorride per la strada al sentire il nostro intonatissimo (EHMMM) canto

Anonimo ha detto...

Io ci vivo con dei "torvi"...può immaginare...Comunque, le ho scritto una e-mail all'indirizzo k.riccardo@gmail.com. Spero di non essere stata invadente. Complimenti per il post.
Bianca