martedì 3 febbraio 2009

Christian Riganò


Strane cose le influenze. Arrivano, ti mandano in coma, vai a letto e poi a metà notte ti svegli senza averci più la minima voglia di dormire. E allora cosa si fa? La passatina in bagno, la tisana così tanto per buttare giù uno scaldabudella in quest'invernaccio infame, e il computer. A giro senza costrutto per i soliti siti. Su fiorentina.it ci sono due righe.

“Ex viola: bomber Riganò raggiunge Mondonico alla Cremonese. L'ex viola Christian Riganò è oggi passato dalla Ternana alla Cremonese a titolo definitivo. A Cremona ritroverà Emiliano Mondonico.”

Io, quando vedo quel nome, Cristian Riganò, ho come una sequenza fissa. Un film, con tutti i relativi fotogrammi che mi scorrono negli occhi, uno dopo l'altro. La TV bretone che, nel bungalow dove mi trovavo in vacanza, annuncia, nella lingua locale, il fallimento della Fiorentina cecchigoriana. La telefonata di mio fratello, due settimane dopo, che mi parla della C2, dell'acquisto dei Della Valle. Le cose che mi si agitavano in testa mentre, lontano, in capo al mondo, facevo finta di niente; e poi, una volta ristabilito un collegamento internet, la notizia dell'acquisto di Christian Riganò, il superbomber del Taranto, quello che ha fatto sognare a suon di gol una delle tifoserie più accanite d'Italia fino allo spareggio per la serie B. La serie B. Quella dove l'ultima Fiorentina del Cotonato era caduta con ignominia; ora sembrava un miraggio lontano anche quella.

L'unico contatto con la Fiorentina, dall'estremo nord della Francia dove abitavo, era un computer con uno di quei biechi collegamenti a forfait, 50 ore mensili, sforate le quali si pagavano cifre immonde. Per la Fiorentina altro che sforare; solo la domenica stavo su fiorentina.it per ore a seguire la “diretta testuale”, l'unico modo che avevo per seguire la partita. Christian Riganò. Rigagol. A Firenze ci sono stati solo due casi, finora, di cognome abbreviato unito a “gol”; uno è Batigol, l'altro l'ho appena detto. Toni, di cui non importava abbreviare il cognome perché ce lo ha già corto di suo, non è mai stato “Tonigol”. Gilardino ancora deve diventare Gilagol, anche se le premesse ci sono tutte quante.

Christian Riganò da Lipari, isole Eolie, come il professor Franco Scoglio. Strane razze, gli isolani. Un marcantonio con un aspetto e un fisico da muratore, perché il muratore lo aveva fatto sul serio. Nulla dei ragazzini rileccati che si vedono oggi sui campi, con fascettine sulla fronte, testoline rasate, tatuaggi e tutto il resto. Riganò i capelli ce li aveva belli lunghi, e lungo quel suo naso importante, quella sua faccia da testate ne' denti e quel senso del gol che dev'essere fatto comunque, bello, brutto, di sghimbescio, al volo, di testa, di anca, di ogni cosa. Avesse potuto, i gol li avrebbe fatti anche di stomaco e di pancreas, anche se nella testa qualcosa mi dice che ogni suo gol è stato fatto con un altro organo che si chiama cuore.

E quanti ne fece, in quell'anno di C2 che a volte, suonerà strano ma è così, mi trovo a rimpiangere. Ci ha fatto bene quell'annata proletaria, di radici, di cazzotti e di Gualdi Tadini. Trenta gol fatti da un ex muratore, la cavalcata trionfale in C1 poi diventata all'improvviso serie B grazie alla cattiva coscienza del palazzo. E anche in serie B, di gol ne fece ventiquattro. Esordì in serie A a trent'anni suonati, dopo averne viste di tutte; un infortunio alla prima giornata lo tolse di mezzo per buona parte del campionato. E mi chiedo se non ci fosse stato, quell'infortunio maledetto. Me lo chiedo, perché qualche anno dopo, in un Messina disastrato e in procinto di scomparire persino dalla geografia del calcio, com'era successo a noi o quasi, di goal in serie A ne mise a segno diciannove. Due persino alla Fiorentina, in un match inutile, col Messina già abbondantemente retrocesso; ma Rigagol ci fece vedere di che pasta era fatto, una pasta di Viola nell'anima. Una persona e un giocatore che non si vedono più a giro, e che forse non si vedranno mai più.

Giocava, in quella Fiorentina di C2, assieme a uno che pochi mesi prima era a fare il mondiale con la Nazionale, e ora si addannava a Agliana, a Imola, a Gubbio: si chiamava Angelo Di Livio. Giocava assieme ad altra gente che proprio malvagia non doveva essere, se poi ce la siamo ritrovata come Ariatti o come Quagliarella. Giocava assieme agli Andreotti, agli Ivan e ai Bismark, quello del favoloso goal di Rimini, finito poi alla Fortis Juventus di Borgo San Lorenzo dopo essere passato per una coppa UEFA giocata in Svizzera. Giocava e segnava, e io, da lassù, non potevo mai sentire il Guetta che berciava “gooooooool” quando la metteva dentro; potevo solo immaginarmelo.

Ma c'ero allo stadio, dopo essermi sciroppato ore e ore di treno per scendere a Firenze, il giorno in cui Riganò ha vestito l'ultima volta la maglia Viola, quella specie di spareggio col Brescia il 31 maggio 2005. La partita che poi fu messa sotto accusa per quella farsa di “Calciopoli”. Entrò, e mise anche a segno un gol. E' stato, quel suo ultimo gol, l'unico che ho visto coi miei occhi. Un gol bruttissimo. Me lo terrò dentro finché campo.

Poi Rigagol comincia di nuovo a peregrinare. Empoli per restare vicino a Firenze, Messina, la Levante di Valencia. Nonostante i diciannove gol fatti con una compagine di scalzi e gnudi come il Messina (e anche lì un grave infortunio gli aveva impedito di giocare per mesi), non è, si dice, “giocatore da grande squadra”. Troppo Riganò, troppo muratore, troppo naso, troppa polvere, troppo sudore da lavoratore. Giocatore da squadre ultime in classifica o roba del genere, dove però si permette di mettere a segno triplette intere; con la Levante ne rifila una all'Almeria, la squadra che poi ci darà Felipe Melo. Poi di nuovo in Italia, come me. Si torna a casa. Va al Siena per restare in Toscana, a Terni non gioca nemmeno una partita e ora eccolo approdare a Cremona, a trentacinque anni, ché questo è il gioco più bello del mondo e bisogna giocarlo. Facendo gol. E lui li fa, i gol, accidenti se li fa. Fin da quando giocava nel Terme San Calogero.

C'è chi lo ha visto, lo scorso anno quando la Fiorentina si è qualificata per la Champions' League, a giro vicino allo stadio con un bandierone Viola a festeggiare come un tifoso qualsiasi, ché Riganò è uno di noi. Di sicuro l'ho visto io alla panineria “Dogali” del Viale Malta dirmi, una volta, che era meglio farmi un cappotto mentre addentavo la terza schiaccina con la pancetta. Un sorrisone e una battuta fra gente in un bar. Cristian Riganò, per me, è qualcosa di più e di diverso da una “bandiera”: è di quelle persone che, a quarant'anni, te le ritroverai a giocare magari di nuovo nel Terme San Calogero, con l'anima di un ragazzino. Dovrebbero essere loro le bandiere di questo sport. Loro e basta.

Nel frattempo, poiché ho la fidanzata a Piacenza, prima o poi lo faccio. Ci vado spesso, per forza di cose, a Piacenza; e Cremona dista solo una quarantina di chilometri. Almeno un'altra volta “Riga Riga Riga Rigagoool” lo voglio urlare; poi, nella remotissima ipotesi che ci si veda e ci si riconosca, a ognuno il suo. S'anderà a i' bàrre. Io sono il Riganò dei panini, in quello non può battermi.