Questa è la storia, o il racconto, o il resoconto delle povere avventure di un demonizzatore di periferia, che durano da un bel pezzo di vita. Perché, come tutti sanno, demonizzare è segno di disattenzione, di superficialità, di scarsa intelligenza e, in definitiva, di mediocrità. Tutti sono buoni a demonizzare questo e quello, confondendosi nella massa, non elevandosi nemmeno ad un originale pensiero ed analitico; da qui l'epiteto di povere che riservo a queste avventure. Altro, proprio, non si potrebbe immaginare.
Demonizzare significa considerare qualcuno o qualcosa come il diavolo, come il male assoluto, come un nemico da spazzare via, come il ribrezzo personificato o materializzato. Tuttora, ad esempio, demonizzo i fagiolini lessi; ma quando mi sono azzardato ad esprimere l'autentico schifo che mi fanno, ed il mio desiderio che scompaiano per sempre della faccia della terra, come per miracolo mi sono ritrovato regolarmente circondato dai Templari del Fagiolino Lesso. Chi magnificava la loro bontà con l'olio e il sale; chi esaltava le loro salutari virtù; chi addirittura li declinava come cibo preferito. Mi sono sentito quindi un verme, io che avevo osato profferire ignominie contro quei salvifici vegetali bolliti. Nello sparuto paio di casi in cui ho incontrato qualcuno che, come me, li detestava, ho immediatamente provato che cosa significasse far parte della Carboneria.
No, demonizzare proprio non si può. Ma il qui presente, che evidentemente è sempre in cerca di guai, ci ha provato e riprovato. Ogni tanto, ad esempio, provo a demonizzare il jazz. Non ci posso fare niente: quella musica proprio mi fa arrovesciare i coglioni. La considero un'accozzaglia di noiose cacofonie senza alcun senso. Peraltro, sono relativamente certo che molti la pensino esattamente come me, e che quando si ritrovano nella classica serata tra amici e qualcuno mette su il disco di Mingus, Thelonious Monk, Jaco Pastorius o Duke Ellington, desidererebbe piuttosto una compilation di Orietta Berti o degli Squallor. Però non si può dire. È vietato. Provati a farlo, e capirai cos'è il disprezzo. Ben che ti vada, vedrai su di te sguardi di compatente sufficienza. Ti ricorderanno l'età del jazz, il Grande Gatsby, il Cotton Club, le radici africane, gli slums della Grande Mela, le piantagioni del Sud, le jam session del 1934, il jazz cecoslovacco, le emozioni di una nottata con un bicchiere di whisky e la pipa, tutto quello che c'è da ricordare mentre in te si affaccia il sospetto di essere buono soltanto per il Festival di Sanremo.
Cerco allora di salvarmi demonizzando sanamente il Festival di Sanremo. “Su questo”, penso, “tutti saranno d'accordo”. Non fo in tempo ad attaccare l'invettiva, che salta fuori il tizio il quale, scuotendo la testa, mi fa capire come il Festival sia pur sempre un interessante oggetto di studio per la cultura nazional-popolare, che di Sanremo sono tutti bravi a dirne male ma poi almeno un po' lo guardano avidamente, che scagliarsi contro il Teatro Ariston è segno di insopportabile e stantio intellettualismo. Da un divano si alzano voci che riscoprono e rivalutano i Jalisse, ingiustamente demonizzati e derisi da una massa di pecoroni; al che mi sento spuntare addosso il vello, e provo un improvviso terrore per i can pastore.
Esco fuori ridicolizzato, e cerco un qualche conforto per abbandonare quelle fastidiose visioni di corde penzolanti o bicchierate di acido muriatico che mi si affacciano nelle mente. “La politica! Cazzo, quella funziona sempre!”, dico fra me e me mentre cammino sul marciapiede, solo, in una piovosa serata di novembre, cercando un bar dove dare sfogo alle mie demonizzazioni. Vedo un'insegna all'angolo, e entro. Il solito caffè. Quando non si ha voglia di bere nulla ma non scappa da pisciare, si chiede sempre un caffè; chiedere una minerale è il pretesto perché ti lascino andare in bagno. Ci sono due o tre sfaccendati come me, e il giornale aperto su un tavolo; basta questo per cominciare a demonizzare Berlusconi.
A me Berlusconi sta sul culo. Estremamente sul culo. Non lo trovo simpatico. Non lo trovo geniale. Non lo trovo divertente. Lo ritengo un pericolo, e grosso, per questo paese dove il destino mi ha pur sempre ficcato. Un demagogo della peggiore specie. Un miliardario puttaniere che poi mi parla di sacralità della famiglia. E via discorrendo. E mi azzardo a dirlo, in quel bar; disgraziatamente, i miei casuali interlocutori sono invece di quelle persone che capiscono tutto; al primo accenno di scuotimento di testa, comprendo di essere caduto dalla padella nella brace.
Il primo mi fa: “Sì, sì. Però basta con questo antiberlusconismo di maniera. Prendersela con Berlusconi è quel che vuole il sistema, un modo inutilmente autoreferenziale per perdere di vista i veri problemi. Io mi rifiuto di demonizzare Berlusconi, è da poveracci che non vanno a fondo nelle cose e che si sciacquano la bocca andando poi a votare mediocremente il meno peggio....”
Taccio. Devo riconoscere che ha ragione. Tanto più che a votare non ci vo da un bel po'; ma non ci posso fare nulla. Berlusconi mi sta sulle palle lo stesso. Ora però so che sono un poveraccio, e la cosa rifiuta di stupirmi; intanto il caffè si sta freddando.
Mi fa il secondo: “Per Berlusconi vale ciò che disse Flaiano del fascismo e dell'antifascismo: l'antiberlusconismo è il peggior prodotto del berlusconismo!”; inghiotto il caffè oramai gelido d'un colpo, senza zucchero, come a bere l'amaro calice. In due attimi e mezzo riesco però a pensare che, in questo paese, si è bravissimi a creare sempre il sofisma perfetto, quello che immobilizza, quello che non dà più nessuna speranza. Il peggior prodotto del fascismo è stato l'antifascismo. Il peggior prodotto del berlusconismo è l'antiberlusconismo. Il peggior prodotto degli interisti sono gli anti-interisti. Il peggior prodotto dei cicloni sono gli anticicloni. E così via. Il gusto della retorica che blocca ogni cosa, lo sforzo eterno di voler dimostrare tutto e il contrario di tutto. Così, al nemico si riservano elogi, simpatia e comprensione; al compagno, invece, si deve dimostrare principalmente che non capisce un cazzo. Il resto è del tutto secondario.
Il terzo mi annienta. “In fondo, è quel che vuole Berlusconi. Che se ne parli. Che tutto si concentri su di lui, pro o contro. Ignorandolo non si farebbe il suo gioco. Concedendogli espressioni di benevola simpatia, senza mai demonizzarlo ma non prendendolo sul serio, il giochetto verrà prima o poi a finire.”. Fine della storia. Pago gli ottanta centesimi di quel veleno travestito da caffè, esco a testa bassa e medito su tutti i miei errori. D'una panchina non se ne parla, sta piovendo a dirotto; meglio tornarsene a casa, solo, in preda a pensieri confusi.
Una volta a casa, mi stendo sul letto e ripenso a tutte le mie demonizzazioni. Ho demonizzato i fagiolini lessi. Il jazz. Berlusconi. Inoltre demonizzo il fascismo, lo stalinismo, gli juventini. Demonizzo al tempo stesso gli integralismi religiosi e l'islamofobia. S'apra il cielo. Quando demonizzo gli integralismi religiosi, si spalanca una botola e ne spuntano fuori torme di tuttocapenti che mi spiegano come la religione non c'entri in realtà niente, come i “conflitti religiosi” abbiano tutt'altre cause, come qui e come là; e hanno, va da sé, ragione. Da vendere. Quando invece demonizzo l'islamofobia, parlando magari di una razzista che voleva far saltare una moschea (non ancora costruita, peraltro) ricorrendo a certi suoi “amici anarchici”, mi risponde telematicamente un facoltoso banchiere recentemente scomparso, dandomi dell'idiota e ricordandomi che una centrale nucleare in Iran non è meglio di una in Val Padana. Inutile spiegare che, per me l'islamofobia è solo una forma di razzismo e di xenofobia, e che detesto (e persino demonizzo) chi vuole fare “scontrare le civiltà”. Guai a demonizzare persino la Fallaci. In fondo, sospetto che a molte menti eccelse e radicali sia, di soppiatto, piaciuta un sacco.
Cerco disperatamente appigli. Comincio a demonizzare la televisione. Si affacciano gli slogan: “Spegni la TV e accendi il cervello!”, “La TV avvelena anche te: dille di spegnersi”, e così via. Non sto neanche a dire che cosa non mi provenga dalla solita botola che si spalanca davanti ai miei piedi. Demonizzare la TV? Ma basta non guardarla, se proprio si vuole; basta “usarla” come si desidera; ci sono le “storie” che “non potrebbero essere raccontate altrove” (anche se mi risulta che, nei libri, di storie ben più interessanti di “Lost” ne venivano raccontate anche qualche migliaio d'anni fa; se la sarebbero mai immaginata, che so io, l' “Odissea”, gli autori di telefilmini?); colgo l'occasione per dire che so come va a finire l'ultima serie del Dottor House, quella non ancora trasmessa in Italia, e se mi fate girare i coglioni ve la spiattello sul blog. Perché è inutile demonizzare la TV, e hai voglia a “usarla come ti pare”: la televisione sei tu. Specie quella di Berlusconi. Così non ne parli, te la guardi e ti senti intelligente a non cadere nella trappola costantemente tesa dalla demonizzazione a buon mercato.
Sdraiato sul letto, ne concludo che l'unica cosa che mi resta sarebbe demonizzare il Demonio. Satana in persona. Porca paletta, almeno quello. È come divinizzare Dio. Come pastorizzare i pastori. Almeno quello si potrà fare; e invece no. Il Diavolo è simpatico, carino e persino tenero; nulla a che vedere in confronto a quel pezzo di ghiaccio di Dio. Non parliamo dell'inferno: troppo più divertente (provarsi a leggere la “Divina Commedia”!), più umano, più “in”. Augurare a Hitler, a Pinochet, a Pol Pot di bruciare eternamente nelle fiamme infernali significa far loro un piacere: piuttosto si auguri loro di marcire in paradiso. Il Demonio non può essere minimamente demonizzato; peraltro, lo fa soltanto il Papa e qui si rischierebbe di schierarsi con Ratzinger. Demonizzare Ratzinger? Ma per carità. I nemici non esistono. Meglio ancora: esistono, ma bisogna ricondurli a semplici pedine. Bisogna andare a ricercare chi veramente muova le fila: solo che non lo si scopre mai. Ci si addentra in profondità, ma i Burattinai sfuggono. Si analizzano i meccanismi più intimi e impensabili del Sistema, ma il labirinto di Cnosso è una barzelletta al suo confronto. Intanto le pedine si muovono. Fanno i loro danni e i loro morti. Libere anche dalla demonizzazione. Demonizzare è semplicistico. È indice di superficialità. Di non voler capire cosa ci sia veramente sotto.
Come nel mare. Le ondate sono in superficie, ma sotto è tutto calmo. Bisognerebbe curarla un pochino di più, la superficie, perché è quella su cui viviamo. E allora sapete che vi dico? Che vi mando tutti in culo. Che continuo a demonizzare tranquillamente chi mi pare, senza per questo considerarmi una merda da schiacciare o giù di lì. Che Berlusconi è uno schifoso sudiciume, un fascista, un lurido nanaccio e basta. Che la televisione dovrebbe al massimo far cacare il maiale. E che, in definitiva, la cosa che più demonizzo è lo starsene beati a guardare, a pascersi di depressioni e di disillusioni, a declamare al vento Ohimé, ho visto tutto!, ad autodistruggersi per nulla, ad affrettare la morte, a blaterare di tempi andati, a rimpiangere tutto il rimpiangibile mentre lassù sghignazzano delle tue lamentazioni e delle tue serate desolate. Alzarsi. Andare avanti coi propri demoni da sconfiggere, fregarsene di tutto il resto e lottare senza trasformarsi in poetici relitti, in vane solitudini, in calmissimi e inutili abissi. E smuovere il culo da se stessi, porca madonna.