martedì 26 maggio 2009

L'Eneide


Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris...no, dunque, c'è qualcosa che non torna. Nonostante l'Elba, o meglio gli Ilvates, vi siano nominati precisamente. Secondo il signor Publio Virgilio Marone, nativo di Andes (oggi, forse, Pietole) vicino a Mantova, alla guerra di Troia c'erano pure trecento elbani. O forse erano duecento, non me ne ricordo; oramai son cose sbiadite e non ho nemmeno tanta voglia di riverniciarle. Con tutto il rispetto, mi riesce difficile immaginare trecento elbani in mezzo a Achille, a Ulisse, a Oreste; ma non si sa mai. Qualcosa dev'essere rimasto, però, se quei nomi sono (o meglio, sono stati) assai diffusi all'Elba. Di Ulisse ci ho pure uno zio. Però avevo cominciato con l'Eneide. Qui si parla dell'Eneide, ma in un modo che forse a Virgilio sarebbe piaciuto poco.

Sì, ché l'Eneide, in anni che non c'ero, era una. Stava a Portoferraio; però, per il suo mestiere, girava un po' tutta l'isola. Come si poteva a quei tempi di carretti e poche corriere scassate, di strade polverose e malmesse, di massi che a volte rotolavano giù bloccando ogni cosa finché non venivano dieci o venti uomini a spostarli a forza di braccia. In certe zone dell'Elba ci sono ancora quelli che si chiamano macigni erranti; pietroni di tonnellate che, a vederli, nessuno direbbe mai che si muovono. Impercettibilmente, come il tempo. Eppure scivolano piano. Eppure arrivano un momento ed un punto giusti, in cui piglian l'aìre; e allora è meglio che tu non ti trovi sul loro cammino. Non ci si ragiona bene, son duri come macigni.

Quando si nominano certi lavori, specialmente un paio, dopo qualche milione d'anni si hanno sempre remore. Si fa meno fatica a chiamare col loro nome i banchieri, gli usurai, i promotori finanziari e altri mestieri del genere, che sono assai più disdicevoli e dannosi; ma non c'è nulla da fare. È stato trovato un comodo stratagemma; li si chiama i mestieri più antichi del mondo. E, garantisco, Eneide non faceva la ladra. Faceva quell'altra cosa più antica del mondo. Figlia d'un tizio che, con tutta probabilità, l'Eneide l'aveva letta per davvero, magari nella traduzione di Annibal Caro, e che aveva chiamato i figli e le figlie con nomi tratti dalla classicità. Non me li ricordo, anche se qualcuno deve avermeli detti; avrà, che so io, avuto un fratello Menelao o Agamennone, o una sorella Clitennestra o Didone. Lei era Eneide. Tutto un poema, come si suol dire.

L'ho vista due o tre volte in vita mia, già vecchia; si diceva in giro che, seppur saltuariamente, esercitasse ancora. Siccome girava ancora per l'isola, bisognerà ricorrere ancora ai macigni erranti, perché del macigno aveva l'aspetto e la consistenza: un donnone massiccio, con la crocchia nei capelli, l'aria truce e, soprattutto, ciò per cui andava famosa più o meno ovunque: una diffusa pelura tra il naso e il labbro superiore, che pochi esitavano a definire degli autentici baffi. Un vero bigiù, insomma; quand'ero ragazzino e leggevo i fumetti di Alan Ford, mi capitò di rivederla disegnata quasi esattamente, dalla fenomenale penna di Roberto Raviola detto Magnus, nella moglie della “Cariatide”; forse qualcuno se ne ricorderà. Stando comunque alle voci, ci doveva essere ancora qualcuno disposto a giacersi con costei in fugace amplesso; si aggiunga che, per tutta una vita d'arrangiarsi, come tutte le isolane di qualsiasi età, qualche volta gliene aveva pur date di zappa; e che, di conseguenza, le sue mani non erano certo quelle di Irina Palm. Chi l'avesse vista la prima volta, non ne riportava alcun dubbio che sarebbe stata capacissima di fare a cazzotti con un òmo; e che, nella sua lunghissima attività, a qualche marinaio un po' troppo sporcaccione o a qualche giovinotto che intendeva gabbarla sulla giusta mercede dovesse avere cambiato i connotati.

Come fosse da giovane, o più giovane, non lo so. Ufficialmente, nessuno era mai stato con lei. Sulla carta d'identità doveva averci scritto “bracciante agricola”, o “atta a casa”, o di quelle robe lì; si diceva fra l'altro che tenesse la sua casa come uno specchio. L'igiene prima di tutto, perché la casa era il luogo di lavoro principale; una camera, un letto, il lavabo, i panni, e la pulizia personale. Di case di tolleranza, all'Elba, dubito fortemente che ce ne fossero; forse qualcosa alla buona, e qualche ragazzotta che forniva il proprio contributo al desinare della famiglia come la diciassettenne Eleonora di cui s'era innamorato il Mago Chiò.

Magarì sarà stata più carina, e chi lo sa. Magari pure bella. Succede a volte che la vecchiaia faccia degli autentici sfracelli, come al professor La Ciura del racconto Ligea di Tomasi di Lampedusa. Il giovane bellissimo che aveva conosciuto l'amore della Sirena ridotto a un vecchio orripilante. Ciò per cui l'Eneide rappresentava un unicum, che doveva però restare ufficialmente ignoto, era che lei lavorava anche a domicilio, su chiamata. Ora si direbbe una call girl, ma più propriamente una sorta di pubblico servizio di insostituibile utilità nelle zone più lontane dell'isola. La mandavano a chiamare coi biglietti, persino i babbi che volevano calmare i bollenti spiriti dei figli maschi quando arrivavano a quell'età, sedici o diciassett'anni, alla quale tira il cazzo anche a guardare un tabernacolo della madonnina addolorata. E così, di nascosto alle mamme, ci pensava la procace Eneide a spompare quei figlioli che, in non pochi casi, qualche tempo dopo sarebbero stati gettati tra le braccia di una signora decisamente più magra, per non dire scheletrita, e ben più nera. Magari, chissà, proprio in Grecia, cui quei ragazzi dovevano spezzare le reni per conto di un assassino cialtrone; meglio farsele spezzare dall'Eneide. Ché, comunque, le ragazze non esistevano. Stavano chiuse in casa. Anche se qualche volta le facevano uscire, comunque non la dabant (in questo componimento totalmente basato sull'antichità classica, un po' di latino ci sta bene). Non la dabant nemmeno da fidanzate; bisognava che fossero trasformate in ispose. E anche una volta spose, non la dabant volentieri manco al marito, memori forse d'una prima notte in cui un energumeno infoiato si gettava su di loro facendo giustizia sommaria di quel che la mamma, la nonna, la zia e il sor curato avevano instillato come bene supremo. Inorridisco quando sento dire che la verginità è tornata ad essere un “valore”. In generale, poi, inorridisco di fronte a qualsiasi cosa che attualmente sia definita “valore”; ma questo è un altro discorso.

L'Eneide, ora, sarà morta e sotterrata. Poiché sono un vero miscredente, mi auguro che le abbiano fatto un funerale cristiano e le abbiano dato degna sepoltura in terra consacrata. Non mi spingo oltre a far considerazioni, e non mi piace santificare nemmeno i santi. Fu un essere umano che ebbe a vivere in tempi poveri e duri. Non so che carattere avesse. Sarà stata a volte gentile e di buon cuore, e altre volte dura e carogna. Come tutti quanti. Avrà distribuito a pagamento la sua dose di piacere; e, per quanto ne sappia, quando girava per gli affari suoi nessuno si permetteva di segnarla a dito. Non c'era, e c'era. Non so se ebbe figli da qualcuno. C'eran delle legittime spose che, a volte, di figli ne facevano una decina più altrettanti aborti. Non amo mitizzare. Non fece una vita di donna libera, probabilmente. Non so nemmeno se sapesse leggere e scrivere. Tutto voglio, con queste parole, fuorché farne bandiera. Nessun paragone. Nessuna canzone. Le canzoni sono buone per il letame da cui nascono i fiori, ma qui si parla di letame e basta, quello vero, quello che puzza e che serve per ingrassare i campi; i fiori servono a poco ai contadini. Si strappano e ci si passa sopra con l'aratro. Non è Via del Campo, ma al massimo il Campo nell'Elba. E poi, anche il prode Enea che si scordò la moglie nella città in fiamme (tanto ormai il figlio maschio glielo aveva fatto, e il vecchio padre ce lo aveva sulle spalle), trattò Didone né più e né meno come una puttana.

E allora tanto vale, e forse vale ben di più, un'Eneide sulla quale -di sicuro- ben più di trecento Ilvates passarono sopra. Nessun poema, stavolta. Nessun Virgilio. Nessuna guerra. Ma l'avessero mandata, l'Eneide di Portoferraio a far loro un un bel pompino e a dar loro un po' di passera per qualche moneta, forse Eurialo e Niso sarebbero ancora vivi.