lunedì 30 settembre 2013

Macchie solari


Stai attento/a se qualcuno ti dice che sei una “persona solare”; significa che stai per fare una fine bruttissima. Sgozzata dall'ex fidanzato, caduto da un'impalcatura, travolto da un SUV impazzito; qualsiasi cosa che, naturalmente, preveda il reportage televisivo e la troupe che intervista i conoscenti. Prima non scampavi soltanto agli applausi alla tua bara; ora ti tocca anche passare per la “solarità” di ordinanza. “Giuseppina? Non capisco, mi sembra incredibile. Era una persona solare”. “Ermenegildo? Un ragazzo buono, solare, mandava da solo avanti la famiglia...” Si viene poi a sapere, en passant, che Giuseppina era così solare mentre il marito, giovane imprenditore che l'ha appena ammazzata, aveva una relazione da tempo con la stagista brasiliana e che la aveva messa incinta; oppure che Ermenegildo mandava avanti la famiglia da precario costretto ad accettare ogni stracatacazzo di lavoretto (uno dei quali gli ha fatto crollare addosso un intero muro pericolante, oppure lo ha asfissiato con qualche fantasioso gas in una cisterna da lavare). Che importa; negli anni '80, secondo Andy Warhol, non si negava un quarto d'ora di celebrità a nessuno, mentre negli anni '10 del XXI secolo non si negano a nessuno due minuti di solarità. Naturalmente a condizione che tu sia rigorosamente morto/a. Anzi: morto/a male. Se non muori male rimani, sappilo, una testa di cazzo qualsiasi; non arriva nessuna troupe, non intervistano nessuno e, tutto sommato, il prete all'altare mantiene in generale un certo contegno anche se non è escluso che qualche sacerdote particolarmente à la page e con il suo bravo profilo Facebook qualche “solare” se lo faccia scappare durante l'omelia funebre.

Se, invece, sei trapassato/a in maniera tale da suscitare un sia pur rapido interesse mediatico, locale o nazionale che sia, l'astro meridiano s'impossessa di te senza che tu possa dire “bà” (e non solo perché sei, ovviamente, morto). I casi più frequenti sono quelli della solarità individuale per tragici incidenti stradali; non hai ancora finito di essere spiaccicato sulla A14 o carbonizzato sulla Carlo Felice, che già sei diventato solare a Studio Aperto, sulla Gazzetta della Romagna o su Tele Ogliastra Semilibera. Seguono le solarità in seguito alle stragi familiari, dove spesso la devi condividere coi tuoi cari fatti fuori dal marito depresso; qui, però, c'è non di rado una variante inattesa, perché intervistano anche i parenti o i vicini di casa dell'assassino i quali, zàc, nel manifestare incredulità per l'accaduto lo definiscono immediatamente, a sua volta, un ragazzo solare (chi compie una strage in famiglia è generalmente un “ragazzo” anche se ha una sessantina d'anni, ndr). Si arriva, in casi fortunatamente rari, alla solarità di massa: le trentadue vittime della Costa Concordia, ad esempio, hanno subito un trattamento di solarità che nemmeno nei migliori resort ai Tropici. Gli occupanti del pullman volato di sotto dal viadotto in Irpinia hanno subito la stessa sorte collettiva. Essere solare, insomma, è diventata la nuova frontiera della tua morte che va in qualche pagina di giornale, dalla prima in poi; e magari, pensa, eri uno incazzato fisso, che ti giravano i coglioni acca-ventiquattro, che mandavi in culo le vecchiette sulle strisce (qualcuna la avrai, magari, solarizzata pure tu...), che auguravi alla zingarella sul marciapiede di essere schiacciata dal 42 barrato.

Esattamente, poi, non lo so cosa diavolo vuol dire, essere “solare”. Che fai, sorridi sempre e hai uno sguardo luminoso fisso? Cinguetti anche quando non stai su Twitter? Sei sempre terribilmente buono e non ti riservi nemmeno cinque minuti di sana carogneria? Aspetterei a gloria qualcuno vivo, di sana e robusta costituzione, che andasse in tivvù e dicesse finalmente: “Sono solare”. Macchè; non c'è verso. Anche perché è oramai chiarissimo che porta una jella straripante. Ti toccherà, caro mio, cara mia, da morto. Da morto male, anzi, come si è detto finora. Guardatene bene e metti in campo, se possibile, qualche antidoto.

Ad esempio, se io dovessi morire in qualche bizzarro modo che mi facesse guadagnare gli onori sia pure del “Reporter dell'Isolotto”, diffido chiunque, e sottolineo chiunque, dal definirmi “solare”. Anzi, io mi ritengo, casomai, del tutto lunare. Non che assomigli a un etereo Pierrot, tutt'altro; ma dopo una vita di passeggiate notturne e solitarie, dopo aver praticato con discreto successo l'arte del rintanamento, dopo ardirsi a scrivere post del genere in frementi giornate di spread e di IVA che aumenta e dopo aver ceduto a un'anziana signora di Casoria il posto a sedere che pure avevo prenotato sull'intercity 1583 Milano-Napoli, rivendico la mia lunarità e non intendo sottostare all'ennesima e stupida moda lessicale che ci fa diventare tutti quanti carne da giornaletti. Al limite, se vi intervisteranno, dite che il Venturi era una persona così venusiana, ci aveva quelle strane braccia lunghe sei metri e pure le antennine verdi. Dite che era tanto uraniano, che nessuno saprà che cazzo vuol dire come, del resto, non sa nemmeno che voglia dire “solare”. Oppure ditegli che era così siriano (da Sirio, naturalmente), così invece che gli applausi alla bara vengono gli ispettori dell'ONU a cercargli in casa le armi chimiche (e trovano i suoi calzini).