Il terzo video mostra Bono seduto in un bar, mentre beve birra e fuma un sigaro. Le angolazioni con cui fu ripreso, aggiunte alla luce soffusa, diedero adito alle critiche che videro nel video un'affinità con la pubblicità della birra Heineken.
venerdì 3 gennaio 2014
One
La musicassetta che si
vede nella foto, una “Basf Ferro Extra 1” da 60 minuti, ha più
di vent'anni; si legge la data in cui è stata registrata, il 16
maggio 1993. Non so neppure se sia ancora ascoltabile; contiene
l'album Achtung Baby degli U2. Sul retro si
scorge il nastro avvolto ad un certo punto; quasi sicuramente lo è
in corrispondenza di una canzone. One.
Prima di parlare della
canzone, di quella canzone, vorrei raccontarvi una cosa a proposito
della musicassetta. E' l'unica e ultima cosa che mi rimane di una
persona; ogni altra cosa è scomparsa. Reciso ogni più
impercettibile filo dallo scorrere del tempo e dagli interventi della
coscienza e della vita; perduta ogni immagine, ogni fotografia, ogni
impronta; misurati infinite volte gli odi et amo
fino allo sgretolamento totale per sfinimento e per liberazione;
polverizzato ogni altro oggetto a parte il decrepito biglietto d'un
traghetto conservato in un libro, oramai del tutto illeggibile e
recante con sé l'allontanamento nelle galassie di parole morte;
resta soltanto quella sola cosa a resistere, forse per vita propria.
Registratami da quella persona sull'estremo limitare, al margine
della svolta, al bivio senza più nessuna possibilità d'incrocio.
Chi da una parte e chi dall'altra; due vite che si sono divise
andando a esplorare opposti inconciliabili.
E così, ogni volta che
mi è capitato di riascoltare quella canzone, One,
mi ha raccontato quel che doveva raccontarmi. Raccontato e riassunto.
Racchiuso. Si è assunta il compito di risucchiare tutto, come un
buco nero di inimmaginabile densità. Forse anche per questo è
rimasto là, il suo involucro, sopravvissuto a diciotto traslochi, a
viaggi interminabili, a oltre vent'anni di vagabondaggi. Parlavo di
vita propria; quella canzone la ha senz'ombra di dubbio.
Allora bisognerà dire
che il suo album è il settimo degli U2, e che fu pubblicato il 18
novembre 1991. Che la rivista Rolling Stone lo
ha inserito al 62° posto tra i 500 migliori album di tutti i tempi;
e che quella canzone, One, ha dato adito ad ogni
sorta di interpretazione. Tutto ci è stato visto. Ne furono girati
tre video; nel primo, girato dal regista e fotografo olandese Anton
Corbijn, si vede Bono confessare a suo padre di essere affetto
dall'AIDS.
Nel secondo si vedono scene rigogliose di praterie e
bufali, mentre compare la scritta “One” in diverse lingue.
L'immagine finale del video è una fotografia dell'artista
omosessuale David Wojnarowicz, che illustra come gli indiani
cacciavano i bisonti costringendoli a correre fino a precipitare in
un dirupo. Wojnarowicz identifica se stesso e noi stessi con i
bisonti, sospinti verso l'ignoto da forze che non possiamo
controllare o nemmeno comprendere. L'immagine dei bisonti sarebbe
dunque una metafora su di un tipico atteggiamento della gente che
tende a "tirare avanti" ignorando problemi gravi. Questo
atteggiamento rischia di portare l'intera umanità, come una mandria
di bisonti al galoppo, verso guai seri se non ci si fermerà un
momento per cercare di risolvere le questioni più gravi.
Il terzo video mostra Bono seduto in un bar, mentre beve birra e fuma un sigaro. Le angolazioni con cui fu ripreso, aggiunte alla luce soffusa, diedero adito alle critiche che videro nel video un'affinità con la pubblicità della birra Heineken.
Il terzo video mostra Bono seduto in un bar, mentre beve birra e fuma un sigaro. Le angolazioni con cui fu ripreso, aggiunte alla luce soffusa, diedero adito alle critiche che videro nel video un'affinità con la pubblicità della birra Heineken.
C'è chi ha visto nel
testo una difficile relazione amorosa: due persone che non riescono a
mantenere stabile il rapporto per continui litigi e ferite
reciproche. “The Edge”, il chitarrista David Howell Evans che è
peraltro l'autore del riff originale della canzone, rilasciò
un'intervista al Q Magazine in cui si stupiva
assai che One venisse suonata a molti matrimoni
come canzone d'amore e di essere “una sola cosa”: ”Ma
avete ascoltato il testo? Non è quel genere di canzone”,
disse. Altri ci vedono l'unicità in senso spirituale, mentre per
altri, visto il periodo trascorso dagli U2 in Germania, ci vedono una
metafora della riunificazione tedesca. Ci si rischia davvero di
perdere, in quella canzone; ma forse è il destino ineluttabile dei
veri capolavori della parola in musica. Semplicemente riesce a
riflettere, per qualche motivo sempre valido, la vita di ognuno di
noi. Ha nelle sue parole qualcosa che si incastra sempre. Alla mia
come alla tua, di vita; alle sue circostanze, alle sue storie, alle
tue perdite, ai tuoi rimpianti, al tuo alternarsi di vittorie e
sconfitte, alle speranze morte e alle illusioni vive.
Esiste peraltro
un'interpretazione più condivisa, vale a dire che il testo parli in
verità della vita passata assieme al padre da Bono, dopo che questi
perse la madre all'età di quattordici anni. Il testo pare riferirsi
proprio alle difficoltà nel superare quella perdita.
Tutto quanto è
possibile. Io resto ancora qui, in una qualsiasi notte d'inverno, a
rigirarmi in mano quella vecchia musicassetta e a domandarmi alcune
cose. Sono domande confuse, che non presuppongono risposte. Leggo la
scrittura di quella persona, chiedendomi come sarà adesso; con
quelle “G” maiuscole a forma di falce, la “y” elegantissima,
l'estrema minutezza della grafia; eppure, nella scrittura dei titoli
delle canzoni, si nota una specie di strano disordine che, per quel
che mi ricordo, non le era affatto consueto. Come dovesse sbrigare
una pratica da terminare. Come me lo mandasse a dire. Non siamo
uguali. Non eravamo uguali. Non c'è rimpianto; c'è perplessità,
ogni passione spenta. È stato possibile? Che significato ha avuto?
Anche la tua vita, lo sai, è una canzone dal testo tanto bello
quanto misterioso. Ogni tanto qualche altra canzone lo accompagna
prima che tu faccia la fine dei bisonti precipitati nel dirupo senza
fondo; e se capita, per qualche accidente del destino, di scivolarci
in quel dirupo ma di riprendersi perché il momento non è ancora
giunto, sai già bene che cosa ti attende. Continui quindi a farti
domande nella notte, allargando le braccia e accettando sia quel che
è stato, sia quel che non è stato, sia la possibilità che in
qualche altra dimensione tutto stia di nuovo cominciando per essere
poi sbagliato ancora.