lunedì 24 febbraio 2014

Quaranta galere fa


Stasera ero uscito per due cose. La prima, l'hanno annullata. La seconda era un film che avevo visto e rivisto. Alla fine ho deciso di tornare a casa. Di film già visti, si vede che non ne avevo tutta quella voglia.

Sarà, probabilmente, anche per questo motivo che ultimamente ho poca voglia di scrivere.

Così sono passato da quel bar aperto fino a tardissimo, dove hanno i sigari che fumo. C'è entrato anche un grondino, con quei pochi soldi che avevo in tasca.

Al semaforo di via Fra' Giovanni Angelico devo girare a destra e prendere i Viali, per tornare a casa. A Firenze si prendono sempre i Viali. Tettuppigliviali.

Trenta metri prima m'è venuta a mente una cosa. M'è venuto in mente che, stasera, è il ventiquattro di febbraio.

Allora, all'improvviso, non ho girato a destra.

Ho tirato a diritto. Sono andato in via dell'Agnolo.

In fondo a via dell'Agnolo ci ha lavorato il mio babbo, per una vita. E, in cima a via dell'Agnolo, c'era il carcere delle Murate.

Quaranta galere fa.

Esserci e non esserci. Quarant'anni fa ero un bambino di poco più di dieci anni. Sicuramente, a quell'ora ero già andato a dormire, o mi ci avevano mandato. Avrò guardato Carosello. Avrò sognato qualcosa che si sogna da bambini. Non lo so.

Intanto, in quella che era la galera della mia città, c'era un ragazzo che aveva sì e no dieci anni più di me.

Dieci anni, dieci stupidi anni bastano per segnare un confine. Il sonno di un bambino e la rivolta in una galera.

Ventiquattro febbraio 1974. Esserci e non esserci. Pochi chilometri di distanza.

Sono sceso dalla macchina parcheggiata a cazzo sul marciapiede.

Dove c'era la galera, ora ci hanno fatto gli appartamenti. E i locali alla moda. Persino il “caffè letterario”. Dicevano che in via delle Murate, così si chiamava non mi ricordo se via dell'Agnolo o via Ghibellina, c'era uno scalino; e chi non lo aveva salito, non era fiorentino.

Gioventù moderna e ben vestita, persino un qualsiasi lunedì sera.

E le piazzette. Nel cortile della galera.

Ma quel ragazzo di quaranta galere fa, no, non lo hanno voluto ricordare.

Abbattuto come un cane su un tetto, da un poliziotto, con una raffica di mitra.

Ragazzo,
senti il rumore del tuono?
forse da qualche parte un uomo sta lottando.
Lotta per te, per me, per tutti,
ma pochi sanno dirgli grazie......

Ragazzo,
senti lo stillicidio della pioggia?
forse da qualche parte
una vita si sta spegnendo
e questa pioggia è l'eco di un lontano dolore....

Ragazzo,
senti il peso di questo improvviso silenzio?
forse da qualche parte un uomo è stato vinto,
fucili di venduti fratelli
gli hanno impedito di gridare "Libertà!".

Ragazzo,
il dolore di uno
dovrebbe essere il dolore di tutti
e non è giusto che
mentre tu piangi
altri ridono
e mentre tu ridi
altrove altri si disperano.

Ragazzo,
al prossimo tuono
non spaventarti,
alla prossima pioggia
non chiudere la tua finestra,
al prossimo silenzio
mettiti a gridare con rabbia!

Questa cosa la scrisse, pochi giorni dopo, da un'altra galera, Horst Fantazzini. Parlava di lui. Di Giancarlo del Padrone.


Fu scritta anche una canzone, da un collettivo che prendeva nome da un cantante assassinato in uno stadio lontano.

Per questo non ho girato a destra. Non ho preso i Viali, stasera.

C'ero e non c'ero. Oppure, non c'ero e c'ero.

Sono ripartito e ho dovuto attraversare il centro. Prima di ripartire, gli sguardi di quattro o cinque ragazzotti tutti bellini, che mi guardavano esterrefatti la macchina.

Mi è venuto di pensare a che cosa ci sia, ora, sotto quel tetto.

Qualcosa, forse, dove si nasce o si muore. Dove si ama o si odia. Dove si partecipa o si è indifferenti. La galera è stata spostata altrove. Anche lei espulsa dal centro. Delocalizzata.

Ho chiuso gli occhi per un attimo, prima di rimettere in moto. Risentire quel che non ho mai sentito. “Mi hanno preso”, avrà detto; poi, il buio.

Un proletario di vent'anni in carcere ammazzato come una bestia.

Ecco cosa c'era negli occhi chiusi, quaranta galere dopo.

E se qualcosa dev'essere, questo sia un fiore per Giancarlo. Puzza del mefitico scarico della mia macchina, ferma là sotto, con le musichette alla moda in una sera che ha un ancor lontano odore di primavera.