Stasera ero uscito per
due cose. La prima, l'hanno annullata. La seconda era un film che
avevo visto e rivisto. Alla fine ho deciso di tornare a casa. Di film
già visti, si vede che non ne avevo tutta quella voglia.
Sarà, probabilmente,
anche per questo motivo che ultimamente ho poca voglia di scrivere.
Così sono passato da
quel bar aperto fino a tardissimo, dove hanno i sigari che fumo. C'è
entrato anche un grondino, con quei pochi soldi che avevo in tasca.
Al semaforo di via Fra'
Giovanni Angelico devo girare a destra e prendere i Viali, per
tornare a casa. A Firenze si prendono sempre i Viali.
Tettuppigliviali.
Trenta metri prima m'è
venuta a mente una cosa. M'è venuto in mente che, stasera, è il
ventiquattro di febbraio.
Allora, all'improvviso,
non ho girato a destra.
Ho tirato a diritto. Sono
andato in via dell'Agnolo.
In fondo a via
dell'Agnolo ci ha lavorato il mio babbo, per una vita. E, in cima a
via dell'Agnolo, c'era il carcere delle Murate.
Quaranta galere fa.
Esserci e non esserci.
Quarant'anni fa ero un bambino di poco più di dieci anni.
Sicuramente, a quell'ora ero già andato a dormire, o mi ci avevano
mandato. Avrò guardato Carosello. Avrò sognato qualcosa che si
sogna da bambini. Non lo so.
Intanto, in quella che
era la galera della mia città, c'era un ragazzo che aveva sì e no
dieci anni più di me.
Dieci anni, dieci stupidi
anni bastano per segnare un confine. Il sonno di un bambino e la
rivolta in una galera.
Ventiquattro febbraio
1974. Esserci e non esserci. Pochi chilometri di distanza.
Sono sceso dalla macchina
parcheggiata a cazzo sul marciapiede.
Dove c'era la galera, ora
ci hanno fatto gli appartamenti. E i locali alla moda. Persino il
“caffè letterario”. Dicevano che in via delle Murate, così si
chiamava non mi ricordo se via dell'Agnolo o via Ghibellina, c'era
uno scalino; e chi non lo aveva salito, non era fiorentino.
Gioventù moderna e ben
vestita, persino un qualsiasi lunedì sera.
E le piazzette. Nel
cortile della galera.
Ma quel ragazzo di
quaranta galere fa, no, non lo hanno voluto ricordare.
Abbattuto come un cane su
un tetto, da un poliziotto, con una raffica di mitra.
Ragazzo,
senti
il rumore del tuono?
forse da qualche parte un uomo sta
lottando.
Lotta per te, per me, per tutti,
ma pochi sanno
dirgli grazie......
Ragazzo,
senti lo stillicidio della
pioggia?
forse da qualche parte
una vita si sta spegnendo
e
questa pioggia è l'eco di un lontano dolore....
Ragazzo,
senti
il peso di questo improvviso silenzio?
forse da qualche parte un
uomo è stato vinto,
fucili di venduti fratelli
gli hanno
impedito di gridare "Libertà!".
Ragazzo,
il
dolore di uno
dovrebbe essere il dolore di tutti
e non è
giusto che
mentre tu piangi
altri ridono
e mentre tu
ridi
altrove altri si disperano.
Ragazzo,
al prossimo
tuono
non spaventarti,
alla prossima pioggia
non chiudere la
tua finestra,
al prossimo silenzio
mettiti a gridare con
rabbia!
Questa cosa la scrisse,
pochi giorni dopo, da un'altra galera, Horst Fantazzini. Parlava di
lui. Di Giancarlo del Padrone.
Fu scritta anche una
canzone, da un collettivo che prendeva nome da un cantante
assassinato in uno stadio lontano.
Per questo non ho girato
a destra. Non ho preso i Viali, stasera.
C'ero e non c'ero.
Oppure, non c'ero e c'ero.
Sono ripartito e ho
dovuto attraversare il centro. Prima di ripartire, gli sguardi di
quattro o cinque ragazzotti tutti bellini, che mi guardavano
esterrefatti la macchina.
Mi è venuto di pensare a
che cosa ci sia, ora, sotto quel tetto.
Qualcosa, forse, dove si
nasce o si muore. Dove si ama o si odia. Dove si partecipa o si è
indifferenti. La galera è stata spostata altrove. Anche lei espulsa
dal centro. Delocalizzata.
Ho chiuso gli occhi per
un attimo, prima di rimettere in moto. Risentire quel che non ho mai
sentito. “Mi hanno preso”, avrà detto; poi, il buio.
Un proletario di
vent'anni in carcere ammazzato come una bestia.
Ecco cosa c'era negli
occhi chiusi, quaranta galere dopo.
E se qualcosa dev'essere,
questo sia un fiore per Giancarlo. Puzza del mefitico scarico della
mia macchina, ferma là sotto, con le musichette alla moda in una
sera che ha un ancor lontano odore di primavera.