sabato 23 maggio 2015
mercoledì 20 maggio 2015
A leggere i poeti (che nessuno al mondo, poi, leggerà mai)
Quei poeti, che nessuno al mondo (poi) avrebbe mai letto, avevano un
nome e un cognome. Erano quasi tutti di paesi strani e le loro poesie le
avevano scritte in lingue anche più strane dei loro paesi; ogni tanto,
però, provavo uno strano piacere nell'andare a cercare in mezzo ai
classici, quelli che ci erano inflitti a scuola, per trovare la “perla
sconosciuta” il cui autore non era da dire immediatamente. Sennò la
sorpresa andava a farsi fottere, lo sgranamento degli occhi che era
l'attesa conclusione quando il nome veniva finalmente rivelato. L'autore
di quei versi che, per due o tre minuti, avevano fatto un po' sognare
era lo stesso che, la mattina fra i banchi di classe, ci faceva
caramellare i coglioni con le urne de' forti, con Pindemonte, coi
sepolcri dei grandi e con le roboanti virtù degli antichi. Ma sì, ci
voglio riprovare.
Oh come del pensier batte alle porte
questa fatale immago e mi persegue!
Come d’incontro mi s’arresta immota,
e tutta tutta la mia mente ingombra!
Chiudo ben io per non mirarla i rai,
e con ambe le man la fronte ascondo;
ma su la fronte e dentro i rai la veggio
un’altra volta comparir, fermarsi,
riguardarmi pietosa e non far motto.
Le braccia allargo, e prono in su le piume
cader mi lascio colla bocca e il petto;
ma l’immago dagli occhi non s’invola;
anzi s’accosta, e par che ciglio a ciglio,
gote a gote congiunga, e tal poi meco
reclini il capo e s’abbandoni al sonno.
questa fatale immago e mi persegue!
Come d’incontro mi s’arresta immota,
e tutta tutta la mia mente ingombra!
Chiudo ben io per non mirarla i rai,
e con ambe le man la fronte ascondo;
ma su la fronte e dentro i rai la veggio
un’altra volta comparir, fermarsi,
riguardarmi pietosa e non far motto.
Le braccia allargo, e prono in su le piume
cader mi lascio colla bocca e il petto;
ma l’immago dagli occhi non s’invola;
anzi s’accosta, e par che ciglio a ciglio,
gote a gote congiunga, e tal poi meco
reclini il capo e s’abbandoni al sonno.
E' una poesia, questa, di Vincenzo Monti. Qualche anno dopo, in una specie di album di fotografie e poesie, l'avrei messa sotto un'immagine di una ragazza, che allora doveva avere diciannove anni, mentre scendeva degli scalini in un antico angiporto di una città di mare. Una foto persa chissà dove, ma che rimane nella memoria. La memoria delle immagini. All'epoca dei poeti che nessuno al mondo eccetera, invece avevo preso un quaderno con le clip e ci avevo scritto tutte quelle poesie, alcune addirittura traducendole di persona, per offrirglielo in regalo. Le notizie attuali sono, forzatamente, assai scarse e non cercate; ma sembra, sempre che non me lo sia immaginato o sognato, che quel quaderno esista ancora.
Dev'essere, almeno un po', una caratteristica di quei primi amori nati negli anni '70. I primi amori di quei tempi erano sì, come quelli di ogni epoca, pieni di autunni, di foglie secche, di passeggiate nei viali e anche di giornali. Nel mio (o nel nostro) caso, c'erano anche sigarette fumate in un piccolo bar in Borgo de' Greci, c'erano i chiarimenti, c'erano gli intervalli a scuola, c'erano insomma tutti i paraphernalia adolescenziali; parlo degli anni, diciamo, dal 1978 in poi. Poi c'erano, dati gli anni, anche le liberazioni sessuali, le cattiverie, le politiche. Da ragazzo ero molto meno estremista di adesso; oppure, lei lo era molto più di me. Poiché essere fuori tempo è però una mia caratteristica saliente, la rivendico con pacata rabbia. Durante una di quelle passeggiate, in un'artistica stradina collinare della città, per chissà quale motivo mi sentii pure paragonare a Beppino, un personaggio di uno sceneggiato, “La Delia”, che veniva trasmesso a quei tempi in televisione. Beppino era il marito, tardo di cervello e impotente, della protagonista che lo tradiva anche con un morto in casa. Cose che si dicono, che si ascoltano, e che si inchiodano nella memoria per non uscirne mai più; ed è così che, specialmente nell'adolescenza, amore fa forzatamente la rima con rancore, bellezza con schifezza, poesia con porcheria. Eravamo un po' bizzarri, ad ogni modo; io già altissimo, allampanato, spettinato, sporco, lei bassina, delicata, con espressioni a volte bellissime e a volte cattive. Corollari erano libri, ciclostili, gli ultimi fuochi di un'epoca che non avevamo vissuto, le ferree disperazioni dell'età, gli autobus, una cantina condominiale, e anche -perché no- Francesco Guccini. Lunghe pause piene d'ira.
Succede così che, in serate che sono e debbono essere rare, l'âge venu, mentre magari si sta lavando i piatti venga a mente una canzone. Così, senza un motivo. Viene a mente, subito dopo, anche l'immagine che l'accompagna, il Guccini col montgomery e i pantaloni “acqua in casa” nel viale autunnale. I pantaloni troppo corti sono, del resto, una costante di noialtri altissimi; contribuiscono anch'essi al fissarsi definitivo dell'immagine. La canzone scorre, e invariabilmente ci si rivede; o meglio, ci si rapporta. Senza sapere neppure a chi esattamente quelle parole siano state dedicate e quale storia abbiano raccontato, si vede la propria. Si vede Lui e lei, e non è mai semplice metabolizzare, anche a quasi quarant'anni di distanza, che Lui sei tu. Si fa il solito gioco di Quel Che Rimane e Quel Che È Andato; e si vorrebbe, naturalmente, trarre somme che, lo si sa benissimo, non verranno mai tratte -specie quando, ad un certo punto, è intervenuta un'interruzione. O meglio, è intervenuta la vita. Può darsi pure che abbia ristabilito un po' di logica. Che abbia, come è lecito e doveroso, ricondotto molte cose alla loro vera natura. L'adolescenza, poi; il periodo più schifoso e terrificante della vita, ma che si finisce sempre per rimpiangere, probabilmente perché si percepisce sempre più chiaramente che ti ha fissato, ti ha stabilito, ti ha marchiato. Che sei quello che sei perché lo sei diventato allora. Che il tuo bene e il tuo male sono nati in quegli anni. Che le poche gioie e le tante pene di allora sono, dentro di te, sempre presenti come fossero di pochi giorni fa. Così è, mentre la città d'attorno sembra nuova, mentre il suono, o il vuoto, del silenzio ci accompagna.
lunedì 18 maggio 2015
Sussist or nòt sussist
That is the problem. O
meglio, that was the problem.
Qualcuno, forse, si ricorderà del Prozess
che mi era stato intentato qualche tempo fa per per aver attentato
all'onore e al prestigio
di una persona che, in quel momento, occupava la carica più alta
dello stato. Ora mi
devo un po' scusare con tutti i miei sempre più improbabili lettori,
tenendo anche conto che -per natura- a volte parlo di me stesso per
quanto riguarda impressioni, situazioni e piccole cose che ho vissuto
e che vivo, ma lo faccio molto meno volentieri se ci sono di mezzo
questioni amministrative, giudiziarie e quant'altro. Credo che, più
che altro, sia una qualche stramba declinazione del pudore; fatto
sta, che come richieditore di solidarietà sono
e resto un perfetto disastro, ed anche a suo tempo ho richiesto
piuttosto un paio di risate e un bicchiere di vino alla salute.
Ad
ogni modo, il procedimento,
tra accidenti e anticipi, è andato avanti ed oggi mi è stata
comunicata nientepopodimeno che la sentenza.
In
base alla quale, tatàn, sono stato assolto
perché il fatto non sussiste.
Non
crediate che aspettare una sentenza per capi di imputazione (più una
recidiva) che comportano fino a cinque anni di galera aumentati
eventualmente di un terzo sia una cosa tranquillina, per non parlare
di possibili pene pecuniarie. Con la mia ben nota & costante
situazione finanziaria (ultimamente gli amici mi chiamano “Hellas”,
ndr), sarebbe stata forse preferibile una freschissima e confortevole
cella alla Cajenna. Ma tant'è; e se qualcuno, per caso, s'è fatto
quel paio di risate e s'è bevuto quel bicchiere di vino, sappia che hanno
funzionato. Voless'Iddio, che prima naturalmente avrebbe da risolvere
una volta per tutte la questione della sua esistenza, che
funzionassero anche per qualche ragazzo che è stato morto,
o per dei compagni in galera per un compressore, o per mille altre
cose in confronto alle quali la mia è meno che nulla. Non posso che
augurarmelo vanamente, continuando -finché mi regga il fiato- a
portare qualche granello di sabbia, sia pure negli strani modi che,
purtroppo o per fortuna, mi sono più congeniali.
Altro
non saprei davvero dire; a parte, naturalmente, ringraziare tutt*
coloro che hanno speso una parola, un messaggio, un qualcosa per il
sottoscritto. Fin dall'inizio di questa vicenda, Franz Kafka ha
lavorato a pieno regime. Mi sono riletto il Processo
(che, per capricci del destino, ho anche in un'edizione in lingua
finlandese, Oikeusjuttu,
regalatami più di trent'anni fa da una fidanzatina che credeva fosse
in svedese, e che ora fa -non ci crederete!- l'avvocato ed ha pure
sposato un avvocato), tanto che c'ero ne ho approfittato per
ripassarmi anche il Castello
(l'agrimensore K. mi sta occhieggiando) e, ora che ci penso, mi sento
un po' strano e non vorrei che domattina mi svegliassi in forma di
insettone, o di blatta, o di qualcosa del genere che forse
migliorerebbe un po' la mia estetica. E così non sussisteva; magari,
chissà, potrà pure servire a qualcosa.
Ci
sono due ultimi ringraziamenti. Il primo va a Piero Ciampi; stavo e
sto tuttora traducendo in inglese una lunghissima ballata a lui
dedicata, la Ballata di Piero dei Fossi di
Pino Bertelli, e Piero -di sicuro- di bicchieri di vino se ne sarà
fatti più d'uno anche senza il processo del Venturi. Il secondo va alla lucciola che ieri notte, mentre
mi addormentavo, è entrata in casa mia e ha cominciato a
volteggiarmi attorno con la sua lucina. Mi scorderò di onori e prestigi ai quali avrei attentato, ma di quella lucciola di
maggio non mi scorderò mai.
mercoledì 6 maggio 2015
Il gendarme Merda
Ricorre oggi, 6 maggio, l'anniversario della nascita di Maximilien François Marie Isidore de Robespierre; in un blog che inalbera la data Rivoluzionaria, con tanto di germinali, nevosi e messidori, mi sembra doveroso ricordarlo. Me ne ricordai anche molti anni fa, quando proprio un sei di maggio -le famose casualità della vita- mi ritrovai a passare, su un TGV in ritardo, per Arras, la città natale di Robespierre che ha dato il suo nome agli arazzi. Stavo tornando in Italia dopo un bel po' di tempo passato in Francia, e il ritardo del TGV mi fece perdere il treno successivo in mezzo al caos del traffico parigino.
Il 10 termidoro, vale a dire il 28 luglio 1794, Robespierre fu arrestato all'Hôtel de Ville parigino, dove si era rifugiato dopo essere stato catturato il giorno prima alla Convenzione assieme ai suoi seguaci, e senza che nessuna prigione avesse il coraggio di associarlo, come si dice ora. Non starò naturalmente a ripercorrere eventi storici notissimi, sennò poi qualcuno dice che sono didascalico; ad esempio, particolarmente noto è il fatto che, nel parapiglia degli eventi, Roberspierre si beccò un colpo di pistola in piena faccia, che gli fracassò la mascella. Alcuni storici sostengono che Robespierre se lo tirò da solo, tentando di suicidarsi; ma le fonti storiche concordano che, a spararglielo, fu invece un gendarme dal nome di Charles-André Merda.
Jean-Joseph Tassaert: Il gendarme Merda spara a Robespierre. |
Il gendarme Merda (vano ogni tentativo di pronunciarlo Merdà, è inutile, nessuno ce la farà mai) ebbe la vita cambiata da quel colpo di pistola a Robespierre, che poco dopo fu avviato già moribondo alla ghigliottina, e con il viso sfigurato. Ebbe una brillante carriera militare; durante il Primo Impero, Napoleone lo promosse colonnello e lo creò addirittura barone. Nel ricevere il titolo nobiliare, il gendarme Merda ritenne opportuno modificarsi un po' il cognome, e si tolse una "r"; fu così che divenne il barone Méda. Trovò la morte durante la battaglia della Moscova, l'8 settembre 1812; sul letto di morte fu promosso generale, vale a dire il generale Merda. Se ha voluto passare alla storia, è bene che ci passi con la "r".
La foto sotto il titolo mostra invece un gendarme dello Stato italiano, mentre sta pesticciando una donna pochi giorni fa a Bologna. L'ho ripresa dal blog Kelebekler, dove il blogger così commenta: "Il dialogo ha assunto dopo pochi minuti questa forma, in cui vediamo una
pubblica dipendente (sotto) che incontra un altro pubblico dipendente
(sopra)." Il "dialogo" in questione sarebbe quello intavolato da una cospicua quantità di insegnanti e studenti a proposito di una data "riforma scolastica" attuata da un ragazzotto di Rignano sull'Arno, il cui nome tende sempre di più a sfuggirmi.
E' notorio che, in questo paese, tutto dura assai poco. Ad esempio, l'indignazione per la Diaz, per le torture, per l'agente Tortosa e tutto il resto. Sono bastate due bischerate pompate ad arte il 1° maggio a Milano, tre vetrine, una banca e un paninaro internazionale per rimettere tutto a posto con gli immancabili eroici tutori dell'ordine che fanno il proprio dovere per i famosi 1200 euro al mese. E' bastata la terribile devastazione di Milano operata dai "Black Bloc" che ha fatto scendere in piazza ventimila bravi cittadini con le scopette, gli stessi che mai si sarebbero sognati di manifestare per la devastazione quotidiana delle città operata dai comitati d'affari, dai politicanti e dai loro giornalazzi stile "Repubblica". Mai scesi in piazza, i cìvici milanesi, per Ercole Incalza, per il Perotti, per l'Impregilo, per Maurizio Lupi, solo per fare un piccolo campionario di devastatori autentici e radicali. E così, la quotidiana fatica dei gendarmi è tornata a tenere banco. Ne vediamo un esempio nella foto sopra, tenendo conto che la signora calpestata per terra è un'insegnante, che non si è messa la tuta nera, che ha un'espressione palesemente sofferente e che il gendarme in tenuta antiprofessoressa, scudo proteso e manganello sguainato, la sta allegramente spiaccicando sul selciato pronto a tornare la sera in seno alla famigliuola dove darà tanto amore ai suoi bambini.
Non resta che fare tanti auguri a Maximilien de Robespierre, oggi che compie duecentocinquantasette anni. Spero che gli sarà gradita questa moderna canzoncina, che viene dedicata anche ai gendarmi Merda di ogni epoca.
venerdì 1 maggio 2015
Black Bloc a Milano
Il 12 dicembre 1969, il Black Bloc assaltò una banca, giusto a due passi da piazza della Scala. Ma non la assaltò con vernice, uova, sassi o petardoni; la assaltò con una bomba, anzi, pardon, con un ordigno. Diciassette morti e ottantotto feriti (il titolo del "Corriere della Serva" riportava i primi dati). Era, quello, un Black Bloc nel senso letterale del termine: un Blocco Nero di fascisti, servizi deviati, apparati dello stato, militari, Gladio e chi più ne ha, più ne metta. Da allora, quel fatto è definito in vari modi: l'inizio della strategia della tensione, la prima strage di stato e quant'altro. Coperture, depistaggi, il tassista Rolandi, Pietro Valpreda, Giuseppe Pinelli, Calabresi, i processi, la verità occultata con pieno successo. Non è, naturalmente, mia intenzione ripercorrere quei fatti; è soltanto per dire che quando il Black Bloc, quando il Blocco Nero di quei signori ha voluto assaltare la banca a Milano, lo ha fatto sul serio e ben protetta. Sono peraltro ragionevolmente certo, sebbene all'epoca dei fatti avessi compiuto da poco sei anni e tenessi al massimo un quaderno a quadretti con i primi pensierini datimi dalla maestra (Marziali Pierina da Livorno), che nessuno, a partire dai giornali e dalla televisione di regime, si sia troppo occupato delle vetrine e neanche delle eventuali automobili che presero fuoco nelle vicinanze. Certissimo sono invece del solito linguaggio, a partire dalla parola vigliacchi. Bisogna fare attenzione a questa parola, perché è usualmente nella bocca, nella penna e, attualmente, della tastiera dei peggiori servi, nonché dei peggiori vigliacchi, che si possano immaginare.
Questa, invece, è una foto di oggi (1° maggio 2015), ripresa sempre a Milano dallo stesso Corriere della Serva. Raffigura sempre, dicono, una banca assaltata dal Black Bloc. Assolutamente vuota di persone e, direi, con danni materiali non paragonabili a quelli provocati nella banca milanese nel 1969. Parlo qui di danni materiali, perché di questi ed esclusivamente si tratta: vetrine, suppellettili, qualche automobile. Nella banca del 1969, non contando i diciassette morti e gli ottantotto feriti che non hanno mai contato niente (numeri in una strategia), i danni materiali furono, diciamo, leggermente maggiori. Io non c'ero, alla manifestazione No Expo organizzata oggi in opposizione ad una fierucola vetrinosa del regime di turno, una mega-sagra a base di strippate internazionali con la scusa dell'alimentazione del pianeta o roba del genere, con tutta una serie di eccellenze sponsorizzate da eccellentissimi McDonald's, eccellentissime cochecole e supereccellenti Nestlé. Di che stupirsi, quando lo sponsor principale del maestro di cerimonie, tale Renzi Matteo, è un pizzicagnolo (tale Farinetti) che ha una catena di supermercati e si atteggia a filosofo? Tanto basta, comunque, per riorganizzare zone rosse in stile genovese.
Dicevo che non c'ero, e quindi non posso parlare molto degli eventi di oggi. Se parlo qualche volta un po' più diffusamente di quel che è accaduto durante una manifestazione, è perché c'ero e vedevo coi miei occhi. Come, ad esempio, a Genova nel 2001, o in altre occasioni. Certamente tutti voi avrete letto i titoloni e gli articoloni, ad esempio, di Repubblica o del Corriere della Serva più volte nominato in questo post. Avrete guardato le dirette di PapaNews 24 e i reportages di altri telegiornali tutti uguali. Oppure eravate all'inaugurazione dell'Espò, oppure eravate alla manifestazione. Rimando, quindi, ad un articolo dell'Eretica, che mi sembra corretto e interessante e, più che altro, redatto da una persona che era presente. Le mie convinzioni al riguardo, però, stavolta me le tengo per me. Non esprimerò né condivisioni, né simpatie, né antipatie. Non esprimerò considerazioni sull'utilità o sull'inutilità di azioni del genere, né sulla valenza del corteo anti-expo; il rischio maggiore non sarebbe certamente quello di espormi, cosa della quale non ho la benché minima paura, bensì quello di parlare di dati avvenimenti cui non ho avuto modo di prendere parte diretta, in un modo o nell'altro.
Si può parlare, però di ciò a cui si assiste. Nulla di cui meravigliarsi, ovviamente. Il Black Bloc, ovvero il Blocco Nero, si riforma costantemente; che ci sia da mettere ordigni nelle banche, sui treni o nelle stazioni ferroviarie, o che ci sia semplicemente da fare quadrato attorno al regime e alle sue sagre internazionali. Il linguaggio è lo stesso (vigliacchi!); gli stessi cittadini indignati, la stessa unanimità da "destra" a "sinistra" nello stigmatizzare e nel richiedere forche, le stesse richieste di dimissioni del ministro dell'interno in carica (quello attuale, Alfano Angelino, è però un caso particolare: quello si deve essere dimesso appena nato, c'è chi dice che persino quand'era all'asilo gli abbiano chiesto di dimettersi dal gioco delle bandierine), le stesse testimonianze della società civile (tutte a base di vigliacchi!, persino di una specie di rapper o che cavolo è, tale Fedez, che si è preso un nome d'arte praticamente uguale a una ditta di spedizioni), la stessa opera lirica alla Scala. A proposito: ma porca zoccola, quand'è che andranno finalmente in culo la musica lirica, i tenori, il bel canto e i gorgheggi buoni per tenere stantio bordone al potere? Quand'è che la Scala verrà demolita per far posto a un bel parcheggio, così ci depositano le macchinine invece di farsele bruciare dai Black Bloc? Invece no. Hanno demolito la banca là vicino, nel '69. Il Blocco Nero, che è fondamentalmente lo stesso di oggi. Il Blocco Nero del Potere, quello che fa le cose sempre ammodino. Altro che un centinaio di ragazzotti un po' incazzati che, oggi, hanno per una mezz'oretta fatto, in mancanza d'altro, un po' di casino nel centro di Milano portando una devastazione che fa sinceramente un po' ridere. E che cazzo, se quella di oggi è devastazione, cosa sarà stata quella dei palazzinari che ha devastato Milano e tutte le altre città per decenni? Ehi, ràga, Milano chi la ha devastata per davvero, e continua a devastarla quotidianamente anche con le Espò? Chi ha devastato le menti delle persone, oltre al territorio? Chi ha devastato la convivenza, l'economia, la cultura e tutto quel che c'era da devastare? E' stato il Blocco Nero, quello che -all'occorrenza- assalta pure le banche senza lasciare la benché minima traccia. Senza vernice e senza sassi. Senza tute. Senza accuse di devastazione e saccheggio, perché la loro devastazione e il loro saccheggio equivalgono a ciò che chiamano "legalità"..
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