Via Taddea è una delle più antiche strade del quartiere di San Lorenzo, a Firenze. Sembra che prenda nome da una famiglia Taddei, che qui aveva il suo palazzo dove soggiornò pure il pittore Raffaello.
E' una di quelle strade fiorentine strette, ombrose, in alcuni angoli persino buie ma che inaspettatamente si aprono in sprazzi di sole. Il palazzo nobiliare è accanto alle case della gente comune e alle vecchie botteghe e ai fondi, senza soluzione di continuità, in un'unica severità. Al numero 21 di via Taddea nacque, il 24 novembre 1826, Carlo Lorenzini detto il Collodi, l'autore del Pinocchio. Da questo vicolo partì il Burattino senza Fili per il suo giro del mondo.
A brevissima distanza dal Palazzo Taddei dove soggiornò il pittore Raffaello (al numero 17 della strada), una vecchissima e modesta casa popolare che ancora oggi è tale, coi panni stesi e le mutande a asciugare al filo sopra la breve lapide dedicata al "padre di Pinocchio".
In cima alla strada, invece, al numero 2, nel 1921 si trovava il Sindacato dei Ferrovieri.
Come ricorda la lapide, la sera del 27 febbraio 1921 la sede del Sindacato fu assalita da una squadraccia fascista, durante un'intera settimana di situazione insurrezionale a Firenze e di scontri sanguinosi. La Resistenza antifascista fu particolarmente dura proprio nei quartieri di San Lorenzo, di Santa Croce e di San Frediano, da parte degli Arditi del Popolo e delle Formazioni di Difesa Proletaria.
Durante l'assalto al sindacato dei ferrovieri in via Taddea, fu ucciso il sindacalista comunista Spartaco Lavagnini.
Quante cose in una vecchia e buia strada. Quanta gente. Il pittore, lo scrittore di fiabe, il sindacalista ammazzato dai fascisti. Mi piacerebbe, a volte, poter scrivere la storia di ogni strada, di ogni vicolo.
Ma poiché la Storia è anche fatta di immaginazione e fantasia, mi piacerebbe poter immaginare un burattino di legno, col suo vestitino di carta a fiori e il berretto di mollica di pane, che la sera del 27 febbraio 1921 sente confusione in capo a via Taddea e scende le scale di corsa per cercare di andare a dare una mano contro quegli assassini neri, proprio come quelli che lo avevano impiccato alla Quercia Grande.
Coi sui gomiti di legno e i suoi piedacci duri. Forse non ce l'avrebbe fatta a salvare il sindacalista, ma qualche stinco rotto e qualche dente fuori posto a quei maledetti glielo avrebbe assestato ben bene. Mentre, dal numero 17, accorreva il grande pittore a ritrarre il sindacalista ammazzato, nella sua morte in un vicolo della decrepita Firenze attraversato dall'Imponderabile Intrico.