giovedì 2 marzo 2017

Claudia aggrappata



Casa mia, che è un buco, ha detto basta. Di libri non ce n'entrano più. Sono dappertutto, scaffali, impilati, in bagno, sulla cassettiera, si stanno inghiottendo anche il televisore e il ripiano della carta igienica, del cotone idrofilo e delle salviette. Così, da un po', ho preso a prendermeli in biblioteca, i libri; l'altro giorno, ad esempio, ho preso in prestito i Quaderni di Lanzarote di José Saramago, che non avevo mai letto. L'edizione italiana è una silloge; non sono certamente tutto il diario che il portoghese tenne a partire dal 1993, quando se ne andò a stare nell'isola delle Canarie assieme alla moglie dopo gli attacchi subiti in Portogallo dopo la pubblicazione del Vangelo secondo Gesù Cristo.

A scanso di equivoci: non amo particolarmente la lettura dei diari di scrittori. Anche quello di Saramago, in certa parte, non fa eccezione: viaggi qua e là, incontri, resoconti piuttosto noiosi. A sua scusante, probabilmente, quella che i suoi quaderni erano affare suo personale; ma il diario di un premio Nobel per la letteratura non è il diario Vitt. Morto lo scrittore, viene pubblicato (l'edizione italiana è, infatti, del 2010), e lui lo sa benissimo che troverà avidi lettori della sua cosiddetta vita quotidiana, che comprende anche tutta una serie di cani (anzi, di cagne) arrivatigli a casa. Ecco, sì, sono uno di quelli. Per Saramago prendo anche il diario in biblioteca, d'accordo. Nella mia vita non ho mai avuto molti lussi, ma quello di aver potuto leggere L'anno della morte di Ricardo Reis direttamente in portoghese, sì. E così, dai Quaderni, ho addirittura appreso del giorno in cui gli venne (a Saramago, dico, non a Ricardo Reis) l'idea di scrivere Cecità. Poi ci sono alcuni pensieri e considerazioni, un divertente appunto sugli orgasmi di Santa Teresa d'Avila, una sparata a zero su Teresa di Calcutta che mi ha provocato scomposte reazioni di entusiasmo.

C'è anche un pensiero su quando una persona si accorge di essere diventata vecchia. È del 31 dicembre 1996. Il 31 dicembre 1996 Saramago aveva settantaquattro anni e io ne avevo trentatré. Dice così: "Credo di avere scoperto stamattina che cos'è realmente la vecchiaia. Ero ancora a metà tra la veglia e il sonno, come ad Amherst, la mattina in cui mi 'vidi' sfilare dentro la testa il nocciolo di Tutti i nomi, e all'improvviso ho capito che si entra nella vecchiaia quando si ha l'impressione di occupare sempre meno spazio nel mondo. Durante l'infanzia e l'adolescenza crediamo che lo spazio sia tutto nostro ed esista apposta per essere nostro, nell'età matura cominciamo a sospettare che in definitiva non sia proprio così e lottiamo perché lo sembri, e si comincia ad essere vecchi quando ci accorgiamo che la nostra esistenza è indifferente al mondo. È chiaro che lo era sempre stata, ma noi non lo sapevamo."

In ultima analisi, per queste poche righe è valsa perfettamente la pena essermi sciroppato anche i resoconti degli incontri letterari, dei viaggi e di quant'altro. Mi correggo: ne è valsa la pena anche per la storia di un cinese conoscitore della lingua portoghese, che negli anni precedenti la "rivoluzione culturale" aveva quasi ultimato la traduzione in cinese dei Lusiadi di Camões. Fu redarguito e minacciato dalle "guardie rosse" in quanto stava occupandosi di un'opera straniera; ed erano minacce da non prendere certo alla leggera. Si tenne quindi un consiglio di famiglia sul da farsi; la traduzione cinese dei Lusiadi, centinaia di pagine, fu bruciata.

Quanto allo spazio nel mondo, i pensieri ne debbono sempre generare altri, a condizione che si sia disposti a coglierli sia da Saramago come dal proprio vicino di casa, dai quaderni del Premio Nobel come dall'elenco del telefono (che sta scomparendo). Non è poi che il pensiero di Saramago mi abbia generato chissà quale elevatezza da riportare qua dentro, una cosa che è pur sempre un diario seppure non quadernato. Mi è venuto da pensare, quale che sia la mia età attuale, che di spazio nel mondo ne ho comunque occupato abbastanza, viste le mie dimensioni. Nell'adolescenza, anzi, ne occupavo di meno, visto che ero parecchio più secco di adesso; quanto a quello che occuperò in vecchiaia, vattelappesca. Sono però ragionevolmente certo che occuperò, alla fine, una buca di circa due metri di lunghezza a meno che qualcuno, come mi piacerebbe, non si occupi di buttarmi in mare, opportunamente zavorrato, di fronte a Galenzana. Un pochino al largo, però. Se mi buttate dalla riva, l'acqua è alta mezzo metro fino a non si sa dove e mi ritrovo al massimo a fare il morto. Tutto intero, comunque; ai pesci piace la ciccia, non le ceneri.

Libri. Non ne parlo spesso, ed è meglio così perché, in fondo, non ne so neppure parlare molto bene. Quelli di cui so parlare peggio e con più difficoltà sono proprio quelli che davvero hanno significato qualcosa per me. Nei libri, poi, a volte si trovano cose del tutto inaspettate; ed è a questo punto che, da questo mio diario fatto di quaderni elettronici, vorrei per una volta rivolgermi direttamente a José Saramago. Mi piace pensare che lo interesserebbe, o quantomeno incuriosirebbe.

Caro Saramago, nella copia dei tuoi Quaderni di Lanzarote in silloge e in traduzione italiana che ho preso in prestito sabato scorso, 25 febbraio 2017, alla biblioteca comunale dell'Isolotto (Firenze), c'è una cosa. Qualcuno ci ha scritto quel che pare un incubo, non si sa se a occhi chiusi o aperti.

In fondo al volume, sulla pagina bianca prima dell'indice, quel qualcuno ha preso addirittura un pennarello (nero), dimostrando sì scarso senso civico ma evidentemente spinto da un bisogno impellente, imprescindibile e insopprimibile, e ha scritto quanto segue:

"Naufragio in città (onde altissime) con Claudia che si aggrappa ed io insanguinato la spingo via."

Segue un'altra parola che non mi è riuscito decifrare. Potrebbe essere "sono", ma potrebbe essere anche "sesso". La parola è staccata dalla frase precedente, in disparte sulla sinistra. Personalmente, propendo per il "sono" come prima persona del verbo "essere"; potrebbe essere stato l'inizio di un periodo che continuava a descrivere l'incubo, ma qualcosa ha interrotto il qualcuno. Finanche un addetto della biblioteca che si è accorto che stava scrivendo con un pennarello su un libro di pubblica lettura, e che lo ha rimproverato oppure buttato fuori a calci nel culo.

Che ne sarà stato, però, del naufragio in città e di Claudia che si aggrappa a lui insanguinato? L'espulsione dalla biblioteca lo avrà indotto a naufragare tra via Chiusi, piazza Sansepolcro e via Massa, mentre Claudia si ritrovava, spinta via e di lui insanguinata, di fronte all'Esselunga di via Canova...? E le onde altissime? Avrà, per vendicarsi, preso a martellate il fontanello di Renzi di fronte alla biblioteca, provocando un'alluvione di acqua gassata...? Non lo si saprà mai. Caro Saramago, indicativamente sarei tentato di proporti di continuare tu la storia; del resto, si trova come lacerto, come frammento, come disiectum membrum su un tuo libro, sui tuoi quaderni di Lanzarote. Ah, mi dici che sei morto. E che sarà mai? Di morti che scrivono, sai quanti ce ne sono; prendi, che so io, Alessandro Baricco o Susanna Tamaro, non mi dirai mica che non può scrivere qualcosa José Saramago morto...?

Se proprio non te la senti, mi è venuta un'idea: prima o poi la scrivo io. Ho già pronto il titolo: "Claudia aggrappata". Quando sarà pronta, però, almeno la prefazione me la fai ché sarebbe una bella promozione, accidenti. Riccardo Venturi, Claudia aggrappata, prefazione di José Saramago. Poi, se ti va, si va a occupare pure un po' di spazio nel mondo e a mangiare qualcosa. Però paghi tu.