Stasera, cioè qualche ora fa, mi sono guardato alla televisione (sì, la televisione, ma una piccola tv francese indipendente) un documentario, l'ennesimo, sulla fine della guerra. Immagini di potenti e di cadaveri. Immagini di festa e di disperazione. Immagini che riuscivano a dare un senso di morte anche quando erano di festa. Immagini di folle e di solitudini. Immagini di prigionieri e di armi. Vi si vedeva anche quello che doveva essere il cadavere di Hitler bruciato, nell'atto di essere riconosciuto dal suo medico. Immagini che scorrevano rapide; come quelle di un altro documentario guardato qualche ora ancora avanti, su Robert Capa.
Se non avessi avuto un'altra persona accanto che voleva probabilmente sentire il commento (pronunciato da uno stupidissimo speaker con tono quasi marziale, e dal testo orrendo), so benissimo che cosa avrei fatto. Avrei messo il volume a zero, e mi sarei guardato quelle immagini con il commento musicale della "Domenica delle salme". Più le guardavo, e più mi ricordavano il video di quella canzone, girato da Gabriele Salvatores.
Sono passati sessant'anni. Mi viene a mente una cosa singolare, cioè che sono nato solo diciott'anni dopo la fine di quella guerra. E mi martella la testa quel verso della canzone di De André, "La scimmia del quarto Reich ballava la polka sopra il muro". Lo si vede, lo si tocca, il quarto Reich. E' il Reich dell'imbecillità più totale. Un Reich "democratico". Un Reich non riservato ad un paese in particolare. Un Reich globale. Un Reich nel quale dio è sempre di più con loro. Un Reich dove milioni di scimmie ballano polke sopra tutti i muri, cantano canzoncine da stadio a un moribondo e al suo successore benedicente e benedetto, si ammazzano e ammazzano per un telefonino. Un Reich dove non si sa più neppure dove stia veramente il Führer.
Ci diciamo di "resistere", e noi si resiste. Ma si resiste sempre più stanchi e con sempre maggior voglia di mollare ogni cosa e di trovarci da qualche parte l'isola che non c'è. Nel mondo "democratico" si compilano manuali di tortura personalizzati: come torturare una persona colta, come torturare una persona non istruita, come torturare una donna, come torturare un militare addestrato. E le immagini di morte di quel documentario riescono ad essere persino comiche.
For, William McBride, it's all happened again,
and again, and again, and again,
cantava Eric Bogle in una sua bella e famosa canzone, No Man's Land (conosciuta anche come The Green Fields of France).
Ci diciamo di "resistere", e noi si resiste. Ma non ripetendocelo tre volte, come un sudiciume di magistrato, come un mandaingalera di merda. Non lo ripetiamo nemmeno una volta. Ce la fabbrichiamo giorno dopo giorno, questa nostra resistenza. Non è la resistenza standardizzata di chi sta al gioco. Al gioco non ci stiamo. Sempre più anonimi sovversivi. Sempre più costretti a lavorare di fantasia.
Ci diciamo di "resistere", e noi si resiste. Usciamo di casa, e le vediamo appena fuori dal portone, le scimmie del quarto Reich che ballano tutti i balli. Non importa nemmeno veder loro il culo, basta guardarle dritte negli occhi. E allora, appena possiamo, giriamo la chiave -quell'unica chiave che portiamo sempre con noi, e che è tenuta ben oliata da tutta la nostra vita- ed entriamo nel cortile dove teniamo il cannone. Sempre pronto all'uso.
E' un cannone fatto spesso di povere cose, come le canzoni. Versi che spesso non sono affatto "poesia". Persino, a volte, versi "sindacali". Persino non-versi. Musiche fatte di pochi accordi. E' un cannone fatto di pensieri che a volte fanno fatica a coniugarsi con l'azione. E' un cannone che sbuffa, che ride, che piange, che bercia, che sputa, che sbraita, che oscilla. Ma ne hanno paura. Sanno che, se dovesse sparare, spara e non ci pensa due volte, secondo il principio di Tuco. E lo sa bene la scimmia del quarto Reich, che ce ne ha ancora diversi, di questi cannoni, puntati addosso. E che venderemo cara la pelle.
Nessun commento:
Posta un commento