Si cominciano a fare tante cose, e della natura più svariata. Blog, racconti, collezioni…davvero ogni cosa. E sono cose che piacciono, che ti impegnano, che in determinate circostanze addirittura ti salvano. Ad esempio, mi chiedo che cosa avrei fatto in un dato periodo, recente, se questo piccolo blog del cavolo non ci fosse stato; gli ho affidato ogni cosa, magari annoiando a morte chi aveva la (s)ventura di leggermi; o magari dandogli anche qualche minuscola cosa da pensare, così, en passant, senza pretese. Perché nonostante tutto, sono e rimango una persona con pochissime pretese.
Poi, un bel giorno, arrivano le pause. Senza nessun motivo apparente, a parte –forse- quel famoso "stare meglio" che in realtà è soltanto lo stare in un modo diverso, con prospettive diverse, con persone diverse. Le pause che interrompono tutto quanto, come se qualcuno ti avesse innescato il comando "bloc scorr" o roba del genere. E' una cosa non del tutto improvvisa, la si sente arrivare; e allora si dà la colpa a ogni cosa possibile e immaginabile, alla primavera che arriva, a un momento in cui il "vaffanculo a ogni cosa" è preponderante sul desiderio di agire, alla famosa età che avanza…ma sono tutte balle. Arrivano, le pause, le interruzioni, e basta. Sono il motivo di loro stesse.
Di queste pause me ne dovevo rendevo già conto da ragazzo, perché già si manifestavano. Come una caterva di adolescenti, allora preferivo affidare le mie cose alle "poesie". Di blog e di altre diavolerie del genere non se ne sentiva ancora manco il puzzo; e allora pigliavo un pezzo di carta, una penna, e scrivevo tutta una serie di idiozie che poi, non pago, mettevo spesso in bella copia ribattendole a macchina. Prima una vecchia "Lettera 32", poi una Underwood elettrica che si guastò, e infine una spaventosa ma indistruttibile "Olympia" tedesca degli anni '60, scovata da un rigattiere, che non mi ha mai mollato. Mi piaceva da morire, quella macchina, perché aveva il tasto della cifra "1" (prima dovevo scriverla con la "I", tipo "I963") e, essendo tedesca, anche le letterine con l'Umlaut, ä, ö…e persino la "ß". Ma di cosa sto parlando? Ah, ecco, dicevo, le poesie.
La maggior parte sono finite dove dovevano finire: nella spazzatura. A volte, però, mi capita di ricordarmi di qualche loro parte, di qualche "verso", di un titolo. Ce n'era una, mi viene a mente, che si chiamava "Le cose iniziate". Doveva essere proprio un periodo come questo, in cui non scorreva più nulla, in cui tutto ciò che era in ponte si era arrestato. E iniziavano, dopo un po', come iniziano ora, i sensi di colpa. Devi fare qui, devi fare là. I periodi in cui il piacere diventava dovere; e, a me, il dovere non è mai piaciuto punto. L'obbligo, materiale o morale. Però questo, almeno da quanto mi ricordo di quella "poesia", mi creava l'assurdo bisogno di formulare delle scuse, dei pretesti, o addirittura di dare a tutto quanto una parvenza di "pensiero strutturato". Quel che mi viene a mente diceva così: Le cose iniziate non le abbiamo nella mente, ma sopra di noi. Volteggiano, aleggiano e puntano…"; poi, la "poesia" finiva con l'immancabile descrizione di fogli accatastati, di quaderni lasciati a metà, di punti indefinibili nel cosmo & di "un giorno verrà". Pippe, insomma. Avevo sedici anni.
Oggi 28 aprile 2008, di anni ne ho un po' di più. Da giorni non mi va di fare letteralmente una sega. Non che brilli e abbia mai brillato per voglia di lavorare, e la cosa peraltro mi provoca un vanto e una soddisfazione senza fine con tutta una serie di pernacchie agli apostoli dello sgobbo, ché i "lavoratori" c'erano pure nel nome del partito nazista; però, in questi giorni, anche le cose che veramente mi interessano e, in definitiva, mi, fanno vivere -insomma tutto il mio otium cui ho dedicato la vita- mi sono di peso. Mi trascino. Vado a fare camminate senza meta da solo o in compagnia. Ogni tanto, visto il bel tempo che si è deciso a venir fuori, esclamo in mezzo di strada: "Fotosintetizzo! "; poi torno a casa, inizio a leggere otto libri in contemporanea e non ne finisco uno. Persino le parole crociate giacciono dimenticate su un tavolino. Nulla. Passerà, domani o fra un mese. Chissà. Di solito è passato; mi chiedo però se un giorno non dovesse passare.
Magari, come ora, mi piglia in un estremo tentativo la voglia di parlarne, e per fortuna è un bel po' tanto che ho smesso di scrivere "poesie". Tutto, per il resto, è assente. Scompaio. Da mangiare me lo preparo a fatica. Pazienza, perderò qualche chilo. Magari qualcuno mi dica che cavolo sta succedendo nel mondo, ma se anche non me lo dice non è che mi perda granché. E cosa mi dovrei perdere? Alemanno o Rutelli? Vai Riccardo, meglio fotosintetizzare, meglio catturare un po' di luce ché poi, magari, in qualche modo e senza mai volere niente, ma niente!, in cambio…ti verrà di cercare di regalarla a chi si sente nel buio. Se la vorrà; e se non la vorrà, si darà al vento.