Questa cosa che ti sto scrivendo, Samuele Caruso, non potrai mai leggerla. Non potrai, perché sei rinchiuso in una galera. Te lo avessero detto una settimana fa, che oggi domenica venti ottobre la avresti passata in una cella di un carcere, chissà che cosa avresti pensato; oggi sei, a ventitré anni, chiuso là dentro con la prospettiva di passarci una non lieve parte della tua vita. E lo sai. Inutile distogliere il pensiero da questa cosa; la tua vita, così com'era fino a poche ore fa, non esiste più.
sabato 20 ottobre 2012
A Samuele Caruso.
Questa cosa che ti sto scrivendo, Samuele Caruso, non potrai mai leggerla. Non potrai, perché sei rinchiuso in una galera. Te lo avessero detto una settimana fa, che oggi domenica venti ottobre la avresti passata in una cella di un carcere, chissà che cosa avresti pensato; oggi sei, a ventitré anni, chiuso là dentro con la prospettiva di passarci una non lieve parte della tua vita. E lo sai. Inutile distogliere il pensiero da questa cosa; la tua vita, così com'era fino a poche ore fa, non esiste più.
Chi ti scrive senza che
tu possa leggere, ha visto e continua a vedere amici e compagni
finire in galera. Ci si finisce, là dentro, anche per essersi
opposto a qualcosa e a qualcuno. Ci si finisce per una
manifestazione, per una lotta, per aver dato noia a qualche potentato
politico e finanziario. Ci si finisce, non di rado, per il capriccio
di qualche procuratore asservito. Ci si finisce combattendo, a modo
proprio, contro delle ingiustizie e contro un sistema intero. Ci si
finisce, certo, anche impugnando un'arma, e usandola. Non so, e non
potrò mai sapere, se a tali cose tu abbia mai pensato, anche una
sola volta, nella tua vita; forse, chissà, stai pensando adesso di
essere finito in galera per amore.
Bisognerebbe, e ne va della tua salvezza, che tu non pensassi mai una
cosa del genere. In galera ci sei per aver ammazzato una ragazza più
giovane di te, colpevole esclusivamente di essere la sorella di
un'altra ragazza che amavi.
In galera ci sei perché questa ragazza ti aveva lasciato.
In galera ci sei perché un giorno d'ottobre sei uscito per andare da
lei in compagnia di un coltello, e lo hai usato su una ragazza che
voleva difendere sua sorella quando ha visto che la avevi aggredita,
armato. In galera ci sei, e non hai affatto “perso la testa”,
come vai ripetendo pensando di autoassolverti. Altrimenti, occorrerà
fare il percorso di quel coltello.
Dov'era?
In un cassetto, su un tavolo, in una borsa? Ovunque fosse, non poteva
muoversi da solo. C'è stato qualcuno che lo ha cercato, che lo ha
preso, che lo ha sollevato e che se lo è messo in tasca; e quel
qualcuno sei tu. E' “perdere la testa”, questo? Andare da una
ragazza che ti ha lasciato
scomodando un coltello? Si può perdere la testa a volte, certamente;
e quando la si perde, spesso, non importa nemmeno avere un'arma. Quel
che si può fare con le mani e con i piedi, e con la propria forza
(specialmente quando si è un uomo, magari giovane, contro una
ragazza cui non è mai passato per l'anticamera del cervello di
frequentare corsi di difesa personale o roba del genere), lo avrai
magari visto anche tu sui giornali. Quante donne, quante ragazze
ammazzate a calci e pugni? Quante strangolate con un semplice nastro?
Quante prese di peso e scaraventate da una finestra o in un burrone?
E si può anche uscire con questa precisa intenzione. Si può trovare
persino un pugile che ti massacra in mezzo di strada perché “ce
l'ha con tutte le donne”, e tu sei la prima che ha la sventura di
incrociarlo. Ecco. Tu hai, Samuele Caruso, bypassato tutto questo. Tu
sei uscito con un coltello per andare dal tuo amore.
Non continuare a raccontare questa menzogna agli altri e a te stesso.
Non cercare di basartici sopra per vedere se un qualche avvocato ti
tirerà fuori. Non ammazzare quella ragazza un'altra volta.
Non
mi pongo, poi, certamente a modello, né nei tuoi confronti, né in
quelli di chicchessia. Non sono nemmeno uno di quelli che ama
cianciare di “età”. La separazione è una cosa dolorosa, sempre,
a qualsiasi età. Non mi piace chi sminuisce il dolore di una
separazione a seconda delle fasce di età, per cui essere lasciato o
lasciata a vent'anni sarebbe “meglio sopportabile” che esserlo a
quaranta o cinquanta. Una volta, ad esempio, a chi ti scrive senza
che tu possa leggere è accaduto all'età di trent'anni esatti, ed in
modo particolarmente duro. E ho passato un periodo, in ogni senso,
che non potrò mai scordare. Mi sono ridotto, ad un certo punto, a
una specie di larva, o di zombie; ed avevo voglia a cercare dentro di
me e intorno a me ogni sorta di palliativo, di consolazione, di altro
interesse. Non c'era nulla da fare, quella cosa mi rodeva dentro; e
ha continuato a farlo, prima di acquietarsi e cessare, per anni, anni
ed anni.
L'unica
cosa che posso dirti, Samuele Caruso, è che non sono mai andato a
cercare quella persona, pur sapendo addirittura benissimo dove
abitava. Mi è capitato, due o tre volte, di incontrarla casualmente.
Una volta me la ricordo benissimo, con tanto di data: era il 30
ottobre 1993, ed ero dovuto intervenire con l'ambulanza in una
piccola piazza del centro della mia città. Mi ricordo
particolarmente bene di quell'episodio, attimo per attimo, perché è
stata l'unica volta, in trentaquattro anni sulle ambulanze, che sono
stato chiamato per un caso di “Sindrome di Stendhal”, o perlomeno
per una cosa che pareva esserlo. Una turista americana che era andata
in deliquio davanti ai monumenti architettonici. In quel momento
esatto, mentre stavo soccorrendola, ecco che arriva quella persona
là, ben vestita, salutandomi. Dicendomi di aver sentito le sirene
dell'ambulanza, e di aver pensato che potevo esserci io; pensa un
po', Samuele Caruso che non mi leggi. Era uscita da un ristorante
vicino, dove stava con alcuni amici e, soprattutto, con la persona
per la quale mi aveva lasciato.
Sai che ho fatto? Ci sono stato, e magari puoi anche immaginarti con
quale stato d'animo, a chiacchierarci persino con un sorriso sulle
labbra. Non volevo farmi vedere com'ero davvero, vale a dire
disperato o qualcosa del genere. Attraversato da fiamme di varie
dimensioni. Eravamo stati insieme non pochi mesi, non un'estate; non
te lo dico nemmeno per quanti anni, forse non ci crederesti neppure.
Ci eravamo messi insieme al ginnasio, e avevo trent'anni e un mese in
quel momento.
In
un'ambulanza di emergenza ci sono, in dotazione, armi
pericolosissime. Su quella là c'era, ad esempio, un pie' di porco
che serviva nei casi, abbastanza frequenti, in cui era necessario
scardinare una porta per soccorrere una persona rimasta sola in casa.
C'erano cacciaviti e altri attrezzi. C'era un pesantissimo
defibrillatore. C'era che sono alto più di un metro e novanta e,
allora, ero un trentenne nel pieno delle forze. Pensa tu in quanti
modi avrei potuto perdere la testa
invece di cercare di dissimulare quel che avevo dentro, e raccontando
persino a quella persona che ero intervenuto su un caso di “Sindrome
di Stendhal”. Se ne tornò nel suo ristorante sorridendomi e
dandomi affettuosamente del “sonato”; è stata l'ultima volta che
ci ho parlato direttamente. L'ho rivista anni dopo in un'altra
piazza, mentre passavo con la macchina; non mi sono fermato.
Mi
dovresti dire ora, Samuele Caruso, che cosa ti è veramente passato
per la testa quando hai cercato e trovato un coltello prima di andare
dalla tua ex ragazza. Sì, la separazione è molto dolorosa. A
qualsiasi età. L'amore finisce, ad un certo punto; che sia durato
pochi mesi o una vita intera. Oltretutto, spesso e volentieri finisce
soltanto da una parte sola; dall'altra, disgraziatamente, continua.
Continua e si incrocia con tutta una serie di altre cose; con certe
culture, ad esempio.
Si incrocia con un senso di possesso, di “avere”, che è
foraggiato in mille modi – e su questi mille, novecentonovantanove
hanno a che fare col vendere, con la merce. Si incrocia con
l'insicurezza personale, certamente. Si incrocia con il falso
“romanticismo” di questi tempi tutti amore, cuoricini, lucchetti,
smielature, romanzetti idioti, canzoncine ancora più idiote dei
romanzetti. Si incrocia con crisi collettive e personali. Si incrocia
coi cosiddetti “sogni”, e quanti ne hanno ammazzati i sogni lo sa
solo il cielo. Si incrocia con tutta una serie di mancate
accettazioni. Si incrocia con la famosa sensazione che “tutto sia
finito per sempre”. Lo sai, Samuele Caruso, con che cosa finisce
tutto per sempre? Con una cosa sola, che si chiama morte. Nonostante
tu sia in galera e che tu debba restarci per chissà quanto, per te
non è finito nulla. Sarà tutto molto diverso, ma non è finito. E'
finito tutto, invece, per quella ragazza di diciassette anni che
voleva difendere sua sorella dai tuoi incroci. Per le non ci sarà
più niente. Per lei e per tutte le decine, centinaia, migliaia di
altre ragazze e donne che hanno dovuto fare i conti con tutti i tuoi
colleghi perditori di teste. Con chi non ha saputo fermarsi. Con chi,
poi, giocherella con il “raptus”, come stai cominciando a fare
anche tu; un giochino che, peraltro, piace enormemente agli
scribacchini prezzolati che si gettano, al contempo, sulle fotografie
della vittima, riprendendole da quel luogo di delizie, cuoricini e
grand'amori che si chiama “Facebook”.
Ma,
tanto, Samuele Caruso, ora tu su “Facebook” non puoi più
andarci. Non te la puoi più aggiornare la paginetta coi tuoi
pensierini e con la tua musica preferita. Pensa: saresti stato un
normalissimo ragazzo, e perdipiù di una categoria assai numerosa:
quella dei Lasciati dalla Fidanzata (sembra
che il termine “fidanzata” ora sia tornato molto di moda, persino
tra i quindicenni). Chissà che altro c'era dentro quella paginetta;
magari, chissà, considerazioni sulla “mancanza di futuro”,
speranze, discorsi edificanti; ora ti ritrovi con un futuro
assicurato per anni, a spese dello stato (ma ti presenteranno anche
un conto economicamente salato, in forma di risarcimento alla
famiglia di quella ragazza; in pratica, qualcosa da mandare
definitivamente in rovina tu e tutti i tuoi cari). Ti ritrovi con
delle persone che ti odiano e ti odieranno per sempre, anche se i
tuoi avvocati, ad un certo punto, ti consiglieranno di scrivere la
consueta “richiesta di perdono”. Non ti perdoneranno mai, bisogna
che tu te lo metta fin da ora in quella gran testa che dici di avere
perso. Ti ritrovi con delle persone che faranno di tutto perché tu,
Samuele Caruso, in quella galera ci rimanga chiuso per sempre. Fine
pena mai. Ergastolo. Basterà che riescano a dimostrare la tua
premeditazione; e non sei messo bene da questo punto di vista. Ma
punto bene. Ti ritrovi su tutti i giornali, ma ci resterai per poco.
Ti ritrovi con un processo da dover sostenere davanti alle facce dei
parenti di quella ragazza che hai ammazzato, e soprattutto di sua
sorella. Quella che amavi tanto
e che ti aveva lasciato.
Non è una bella situazione, no? E bisognerà che qualcuno te lo
dica, Samuele Caruso, senza mezzi termini. Sei veramente un cretino,
oltre che un assassino. In compagnia di altri non so quanti cretini,
di “mariti” sterminatori, di “fidanzati” appostati come
sicari, di “padri di famiglia” annientatori, e di stalkers, di
allucchettatori, di possessori e di altri deficienti del genere. In
compagnia di tutta una società, probabilmente, che ha scambiato
l'amore con un'istituzione al pari delle altre. O per una banca:
quante volte si sente dire che, in una relazione tra due persone, si
compie un “investimento”? Ho investito tutto su di te,
e ora mi lasci! E zàc, si esce
col coltello.
Ora,
certo, ti ribadisco una cosa, Samuele Caruso. Non leggerai proprio
mai questa cosa che sto per finire di scriverti. Ma, chissà, forse
la leggeranno altri come te. Altri che sono stati lasciati
con tutti gli ammennicoli di cui sopra. Sto vivendo, sai, una
bellissima storia d'amore; eppure, un giorno, potrei dovermela
rileggere io stesso, questa cosa che ho scritto. Tutto può avere una
fine. Potrei dovermela rileggere, e pensare non a una cella, ma -che
so io- all'isola d'Elba che comincia ad apparire da dietro il
promontorio di Piombino. Ai miei libri. Al gatto nero che dorme
tranquillo sul letto. A tutte le persone che mi vogliono bene e anche
a quelle che non me ne vogliono. Ai miei ideali per i quali, giusti o
sbagliati che siano, ritengo che valga la pena vivere. A un piatto di
pasta alla gricia. A un sigaro fumato nella notte sull'uscio di casa.
A un giro senza meta per le campagne alla ricerca di vecchie carrette
da fotografare. A tutte le mie cose, a tutte le mie persone. A tutto
ciò per cui è bene, i coltelli, lasciarli nei cassetti. Ad un nuovo
amore, che poi finirà come me ne sono finiti, in cinquant'anni, una
caterva. A quel che ho dentro, e che mi basta senza più avere quel
tuo cazzo di ventitré anni buttati nel cesso. Per che cosa, Samuele
Caruso?