mercoledì 3 ottobre 2012

Resurrezione (1-2)


"Resurrezione" era, come recitava il suo sottotitolo, un "racconto probabile con Piero Ciampi". L'ho scritto a Friburgo, in Svizzera, tra l'11 agosto e il 12 settembre 2005 postandolo, via via, su una mailing list di cui facevo parte (alcune persone che la frequentavano appaiono, più o meno camuffate, nel racconto). In seguito ne fu fatta addirittura una "sontuosa edizione" su un file .pdf pubblicato dalla "Brigata Lolli". D'accordo; però su questo blog non c'era mai stato. Nei giorni scorsi mi è capitato di tornare un paio di giorni a Livorno, per una cosa che magari vi dirò un'altra volta; il fatto è che questa cosa si teneva proprio nel quartiere dove ho abitato per anni, e dove peraltro si svolge buona parte del "racconto probabile". Mi è venuta quindi voglia di riproporlo, senza cambiarne una virgola; tra chi legge questo blog forse qualcuno se ne ricorderà almeno vagamente, ma presumo che i più non lo avranno mai letto. A questi ultimi dico che il Piero Ciampi che vi compare ha parecchio del sottoscritto e della sua storia, quasi ne fosse un bizzarro alter-ego, e che il racconto deve naturalmente essere riferito, nelle sue vicende, a qualche anno fa. Si tratta di una cosa in gran parte endogena, nata da ricordi e, senz'altro, dalla lontananza e dalle nostalgie insopprimibili che avevo in un posto che era molto più lontano della semplice distanza in chilometri; ma è anche, a modo suo, uno spartiacque tra un "prima" e un "dopo". Altro proprio non saprei né vorrei dirvi; il racconto, originariamente, era diviso in venti capitoli. Ripubblicandolo sul blog, ho deciso che ogni post ne contenga due alla volta. Rispetto sia alla pubblicazione "nuda e cruda" sulla mailing list che a quella sulla "Brigata Lolli" (che pure fu, nei limiti del possibile, "riccamente illustrata"), questa volta mi posso permettere l'iconografia multimediale che avrei voluto allora, senza averne la possibilità. Buona lettura, o rilettura, a chi vorrà.

RESURREZIONE
Racconto probabile con Piero Ciampi
di Riccardo Venturi
scritto a Friburgo (Svizzera) tra l'11 agosto e il 12 settembre 2005


1.

Piero Ciampi morì a Roma il 19 gennaio 1980. Risorse inaspettatamente alle cinque di mattina del 18 novembre 2005 a Livorno, alla vecchia stazione di servizio dismessa dell'Api (con Api si vola) in via dell'Antimonio; non c'era nessuno. Lo videro solo tre vecchi distributori arrugginiti, quello per la super, quello per la normale e quello per il gasolio, la tettoia che perdeva sempre più pezzi e il baracchino coi vetri sfondati che faceva da rifugio ai gatti della zona. Lo videro le erbacce tirarsi su mezzo intontito da un terrain vague che il comune aveva delimitato con il nastro di nailon bianco e rosso; aveva addosso una giacca marrone senza un bottone e dei pantaloni troppo corti, da acqua in casa. Spettinato lo era sempre stato; le scarpe ordinarie, coi tacchi; aveva sete. Una gran sete. E aveva anche fame, ma in sottordine. 

Secondo me se lo aspettava, che un giorno sarebbe risorto. Era morto a quarantasei anni, più di venticinqu'anni prima; troppo pochi, budello d'eva. E furono proprio un cosmico budello d'eva le sue prime parole da risorto; le disse rivolto a un pannello del Crodino che stava ancora nel baracchino del distributore, oramai quasi tutto stinto, ma dove si vedeva ancora una parvenza di bottiglietta e ancora si leggeva lo slogan dell'analcoolico biondo. Il Crodino strinse le spalle e gli mormorò uno "scusa Piero, mi dispiace"; aveva capito che non era un analcoolico quel che Piero desiderava per accalmare la sua sete d'un quarto di secolo da morto. Si ricordava di tutto, Piero, di tutto quel che aveva fatto in quel periodo. Di dov'era stato. Di chi aveva visto e incontrato. Di chi aveva amato e odiato. Ma non voleva ricordarsene, ancora. Ora doveva cercare qualcosa da bere e da mangiare. 


Essere morti, in fondo, è comodo. È comune. A volte persino vantaggioso. Sicuramente Piero aveva avuto in sorte d'essere più conosciuto da morto che da vivo, ad esempio. Gli avevano intitolato un premio, a Livorno. Addirittura una via, sulla collina di Montenero, vicino al santuario. Si erano scritti libri su di lui. Si costruivano siti internet sulla sua vita e sulle sue canzoni. Ma tutto questo Piero non lo sapeva affatto; non lo sapeva, perché in tutto quel periodo era stato morto. Essere risorti, invece, è un bel casino; che doveva fare? Presentarsi in città, andare a vedere se gli fosse rimasto qualche amico vivo e dirgli "oh, ciao, so' Piero"? Minimo lo avrebbero preso per un pazzo mitomane, per uno che gli somigliava talmente tanto da desiderare di giocare una beffa atroce a mezzo mondo. E che avrebbe detto? "No, guardate, vi sbagliate, io sono Piero Ciampi, di professione poeta come sta scritto sul mio passaporto rilasciato in data ******, nato a Livorno il 28 settembre 1934, morto a Roma il 19 gennaio 1980 e se so' risorto unn'è còrpa mia, dé, e se un mi credete vardate 'n po' d'andà affanculo?" Lo avrebbero messo in manicomio seduta stante, dato che Piero ignorava anche che i manicomi non esistevano più. L'unica era fare finta di essere un altro. Un altro di cui, magari, qualcuno avrebbe detto: toh, ma guarda quello come somiglia al povero Piero. Perché, oltretutto, era risorto a quarantasei anni; si strinse la giacca addosso, si sgranchì le gambe e cominciò a rendersi conto di dove si trovasse. 

Proprio mentre cominciava a schiarirsi, passò una pattuglia dei carabinieri che lo vide sortire dall'area del distributore dismesso; un gesto sicuramente assai sospetto. Erano le sei e un quarto. L'appuntato Michele Musumeci, di Trapani, e il brigadiere Josef Kellner, di Merano, entrambi distaccati presso la vicina stazione di via Mastacchi, percorrevano la strada in pattuglia a bordo di una fiat Uno mezza scassata. "Guarda quello lì", fece l'appuntato Musumeci al collega; "Er muss gesoffen sein", gli rispose il brigadiere Kellner in tedesco, senza pensarci, la sua lingua materna. "Eh?" "Scusa, dev'essere ubriaco. Dai, andiamo a vedere." Si avvicinarono all'uomo che stava ancora immobile, in piedi, mezzo intirizzito. "Problemi, capo?" 

Piero Ciampi lo guardò con un'aria indefinibile e uno sguardo definibile soltanto da Piero Ciampi, e gli rispose:
"No, no, sto bene".
"Ce li hai i documenti?"

Piero si frugò in tasca. Sentì un portafoglio, e lo prese meccanicamente. Lo aprì; c'erano diecimila lire e la carta d'identità. Porse tutto ai due militi.

"Ciampi Piero, residente a Roma in via Macrobio 29...signor Ciampi, ma ci è o ci fa? Questa carta didentità è scaduta nel 1982!"
"Sì, lo so, è che non ho avuto tempo...lasci perdere, lasci perdere, è una storia troppo lunga."
"D'accordo, ma se lei risiede a Roma, cosa ci fa a Livorno alle sei di mattina in un distributore dismesso?"
"Guardi...guardi che io so' di Livorno. So' venuto a trovà de' mi' amici. Non ho fatto nulla di male."
"E chi ha detto che lei ha fatto qualcosa di male? Aspetti comunque, che controlliamo per radio..."

Piero Ciampi si sentì raggelare; se avessero controllato per radio, avrebbero scoperto che Piero Ciampi, residente in via Macrobio 29 a Roma, era defunto da venticinqu'anni e rotti. Magari lo avrebbero accusato di furto di documenti, o addirittura di assassinio, e lo avrebbero messo in galera. Ma quando si risorge, ci dev'essere qualcosa nell'aria. Qualcosa che fa guastare anche la radio di una pattuglia dei carabinieri. 

"Michele, non c'è nulla da fare. E' morta. Partita. Kaputt."
"Impossibile!"
"Ti dico che non funziona. All'improvviso. Dobbiamo tornare in centrale, e di corsa. Non si può stare in giro senza contatto radio. Dai, lascia perdere quel poveraccio e sali in macchina."
"Guarda che mica mi convince tanto, quello. Ha una carta d'identità scaduta nell'82. E poi sapessi cos'ha nel portafoglio..."
"E che ci ha nel portafoglio? Droga?"
"No, ci ha diecimila lire."
"Diecimila lire?"
"Sì, diecimila lire, lire, li-re, capito? Tutte spiegazzate. Come te lo spieghi?"
"E che ne so...magari ce le tiene come portafortuna, non è il primo che fa una cosa del genere, sai..."
 "Mah...sarà..."
"Senti, chi se ne frega, non lo vedi che non farebbe male a una mosca? Dai, su, monta."
"Va bene, arrivo."

Si allontanarono. Piero Ciampi restò lì, a contemplare lo scampato pericolo che se n'andava. Il giorno stava facendosi chiaro. Una bella mattinata di novembre. Solo che Piero Ciampi non sapeva neppure che giorno fosse. Che mese fosse. Che anno fosse. E ci aveva una gran sete. E, in sottordine, una gran fame.

2.


Provò a fare un passo, scoprendosi a pensare d'avere dei pensieri e a riflettere addirittura su quale gamba dovesse muovere per prima. Si toccò gli avambracci incrociando le mani; optò per la gamba destra. Doveva essere tardo autunno, se non proprio inverno; faceva freddo, quel freddo umido che conosceva bene. Si guardò attorno muovendo la gamba destra; poi la sinistra; poi ancora la destra. "Devo essere vivo sul serio, santa madonna", pensò a voce alta. Ci mise due minuti a riconoscere dove si trovava. Non ci era mai venuto spesso da quelle parti, quasi all'estrema periferia nord di Livorno, anche se ogni tanto andava a imbriacarsi da qualche amico a Shangay; in fondo a via Garibaldi ci aveva avuto una ragazza, chissà quant'anni fa; in Corea ci aveva dormito qualche notte, una volta che la polizia lo cercava per una rissa, nascosto da una bagascia, tale Franca Del Soldato, che era innamorata di lui. "Ma guarda te dove m'ha fatto rinvivì, quer popo' di pezzo di mota lassù in cima. Ar distributore dell'Api. Dé, ci portavo ir gasolio quando lavoravo dar Razzaguti..." Dopo aver fatto i primi venti passi e il primo sorriso da rinvivito, ed essere finalmente sortito dal terrain vague per approdare sull'asfalto mezzo sbrecciato di via dell'Antimonio, si accorse di nuovo d'avere sete. E, in sottordine, fame. 

S'incamminò ancora incerto per la strada, sbucando dopo un po' in via Mastacchi ch'eran più delle sette; la strada cominciava a essere animata, passavano macchine che Piero non riconosceva, dé ma guarda un po' come le fanno ora, so' tutte tonde, quando so' morto eran tutte quadrate, chissà se vanno sempre a benzina e ci credo che ir distributore ha chiuso, passava la gente e i ragazzi che andavano a scuola. Vestiti strani. Era tutto strano. La cosa più strana era lui, ma tanto non lo sapeva nessuno.


Piero Ciampi passò finalmente accanto a un'edicola di giornali. Fuori, la locandina del "Tirreno" annunciava con un gran titolo che Lucarelli s'era quasi rimesso dall'infortunio patito due domeniche prima nella vittoriosa partita del Livorno contro l'Inter, e che domenica sarebbe stato in campo contro la Fiorentina. "Inter? Fiorentina? Dé, ma siamo in serie A allora! In serie A!". E strinse i pugni. Sulla locandina c'era la data di venerdì 18 novembre 2005. "Dumilacinque. Dumilacinque. So' stato morto venticinqu'anni, e il Livorno è in serie A." Continuava a stringere i pugni, gridacchiando qualche "alé" con un sorriso che gl'illuminava i denti sporchi e l'alito d'inferno; un ragazzo su una Vespa, passando, lo vide e berciò un "Forza amaranto!" sventolando una sciarpa col Che Guevara. Piero Ciampi si voltò e gli rispose con un pugno chiuso, che gli era venuto spontaneo. 

Ora sapeva in che giorno, in che mese e in che anno era. Sapeva che il Livorno era in serie A. Gli mancava solo di bere e mangiare qualcosa; e sulla locandina c'era qualcosa che non tornava. Il prezzo. "0,95 cent". Cent? O che erano tornati l'ameriàni? L'Italia non esisteva più e era diventata ir cinquantunesimo o ir sessantasettesimo stato americano? Si tirò fuori il portafoglio. Prese le diecimila lire. "Budello d'eva, stai a vedé' che ora si paga in dollari. E che cazzo fo? Ma chi se ne importa. O la va, o la spacca. Vorrà dì' che laverò i piatti. Ar limite fo finta d'èsse' francese." Trenta metri avanti c'era un bar. L'insegna diceva "Bar Futuro"; da fuori si vedeva un ragazzo giovane al bancone, una signora che girava per i tavoli, e tre clienti seduti a dei tavolini che sembravano aver fatto la guerra, ognuno con la tazza del caffè o del cappuccino, intenti a leggere il giornale; due leggevano "Il Tirreno", il terzo il "Tuttosport". Piero Ciampi entrò ravviandosi prima un po' i capelli da cui emanava un odor di terra bagnata. 

"Bonjour madame, pardonnez-moi, je ne parle pas bien l'italien..." 
"Giovanniiii..dé vieni 'n po' vì che c'è uno 'e parla straniero... l'hai fatto un po' d'ingrese alle Benci, no?" 
"Marisa mi dispiace, io ero in una classe sperimentale dove ci facevano fa' l'esperanto dé me lo riordo anche 'n po', vi parolas esperanton?..." 
"Vabbè, senti 'n po se ti riesce di 'apì' cosa vole 'vesto..." 
 
"Uì monsiè?" 
"Je viens de la Guadeloupe je suis un matelot, vous savez. On ne m'a donné que ça pour payer, je suis désolé, je n'ai pas de dollars...
"Diecimila lire??? Dollari??? Sinjoro, vi ne povas pagi kun liraj kaj ni havas euron. Euro, ciu vi komprenas?
"Oui je comprends, j' suis pas sourd...c'est quoi l'euro?" 
"Nostra moneta ora, o-ra. Avant, lire, mentenàn, eurò, vusaveccomprì?" 
"Oh...c'est vraiment dommage...moi je croyais que c'était le dollar, vous savez...c'est la première fois en ce pays pour moi....je fais quoi maintenant?" 

"Marisa, questo è un marinaio d'unsoccazzodove, credeva che in Italia si pagasse 'or dollaro e n'hanno dato diecimila lire! Dé, poeròmo, l'hanno preso 'n po' pe' r culo! Cosa devo fa'?" 
"Dé, 'un lo vedi 'e sembra appena sortito dalla stiva? Senti 'osa vole e dànni 'un caffè e du' paste, si farà finta di pagà noi, va'." 
"Senta, brav'òmo, lo vole un caffè?" 
"Du café? Oui..." 
"Poi prenè du' paste dalla baqueque, sé gratìs, mangè e a bon ràndr!" 
"Merci monsieur...je ne savais pas quoi faire, vraiment... vous avez dit...l'euro?" 

Fu preparata una tazza da cappuccino piena zipilla di caffè, e Piero Ciampi scelse due paste dalla bacheca, una con la crema e l'altra alla frutta con la gelatina sopra. Mangiò e bevve come uno che non mangiava da venticinqu'anni. "Sa và meglio?" "Oui...mejò" Mi sento praticamente risorto, pensò Piero fra sé e sé. La signora Marisa rideva, mentre i tre clienti continuavano a farsi gli affari loro e a leggere il giornale. Piero Ciampi chiese del bagno; si ritrovò in uno sgabuzzino puzzolente e sporco d'ogni cosa, ma c'era un lavandino, una saponetta e l'acqua corrente. Si sciacquò con cura il viso passandosi un po' di sapone anche sui capelli. Attaccato a uno spago pendeva un asciugamano lercio; aveva una barba che sembrava di tre giorni, e si mise a fischiettare Amsterdam di Jacques Brel.


Uscì dal bagno pure rinfrescato e un po' lavato. Salutando e ringraziando ancora la signora e il ragazzo del bar, Piero Ciampi uscì di nuovo per strada. Erano giù più dell'otto, il traffico s'era fatto grosso e c'era uno di quei soli autunnali che riescono quasi a scaldare, o perlomeno a asciugare. Pensò rapidamente a cosa dovesse fare, anche perché il caffè era buono, le paste pure, ma gli era rimasta una certa voglia urgente da appagare. Non se l'era sentita di chiedere a quelle persone anche un raso di vino rosso; ché tanto, se magari anche glielo avessero dato, gli sarebbe subito presa la voglia d'un altro, e poi d'un altro, e poi d'un altro ancora, e ci sarebbe scappato un litro molto amaro. La vita va così; figuriamoci poi se è pure la seconda.

Scese giù per via Mastacchi fino a arrivare a piazza San Marco, e da lì in via Palestro ritrovandosi all'angolo con via Garibaldi. Ora tutto gli appariva più familiare; i negozi di via Garibaldi erano tutti aperti, ma su uno di quelli vecchi, quelli che si ricordava lui, ce n'erano dieci di nuovi. Decise intrafinefatta di non preoccuparsi delle novità, di non stupirsi degli apparecchi che vedeva nelle vetrine, delle scatole lucenti che sembravano televisori ma che non lo erano, dei minuscoli telefoni portatili che tutti parevano avere, dei negozi di alimentari con l'aceto balsamico di Modena che, quand'era vivo lui, al massimo ci si trovava quello rosso di Collesalvetti. Via Garibaldi. Il quartiere dov'era nato. Le strade sembravano essere tutte ancora al loro posto, però. Girò sotto la volta di via della Cappellina inoltrandosi nella specie di casbah che stava là dietro, con le mani in tasca. La piazzetta di San Luigi, che ancora nessuno ci aveva mai messo un cartello. L'inizio di via Pelletier. Si mise a sedere su una delle due panchine della piazzetta, sul praticello senz'erba, e si domandò dove avrebbe potuto raccattare una sigaretta; lo sguardo gli cadde allora su una quasi intera, per terra, mezza schiacciata ma intera. La prese. Era una Winston. Le ridiede un po' di forma; fortunatamente, non c'era che un buchetto piccolissimo, e bastava tapparlo con il dito.


Si frugò nelle tasche, perché aveva già sentito che il padreterno l'aveva dotato d'una scatola di cerini; la cartavvetro era tutta consumata, però. Poco male. Si accese il cerino sulla fischiarola dei pantaloni, con un gesto quasi consueto, e appicciò la sigaretta. Sapeva di merda. Ma andava bene lo stesso. Se la fumò tutta, fino allo scottadito. Poco mancò che si fumasse pure il filtro. Si disse che prima o poi avrebbe scritto una canzone sul fumo. O forse l'aveva già scritta. Le canzoni. Dopo tre quarti d'ora e dopo aver trovato una mezza cicca di una Peer più che passabile, s'incamminò per via Pelletier contando i numeri civici. Sessantadue, sessanta, cinquantotto... Arrivò al trivio con via della Campana e via Adriana. Aveva una gran sete. Bastava tirar diritto per via della Campana, riattraversare via Garibaldi, tirare ancora diritto per via Pellegrini e voltare alla prima a sinistra. Via dei Terrazzini. C'era qualcosa che conosceva, in via dei Terrazzini. Chissà se c'era ancora.

(1/2 - Continua)