Al bancone non c'era più il vecchio Mannari, e neppure la moglie. C'era un ragazzo di nemmeno trent'anni, con du' bracci come du' forkliffe, che stava asciugando dei bicchieri con un panno; per il resto, non era cambiato nulla. Gli stessi tavolini con le zampe di metallo e il ripiano in fòrmica verde. Le stesse vedute di città alle pareti. Gli stessi scaffali stracolmi di bottiglie di vino e d'ogni altro alcoolico nella sala principale, che prendeva luce dalla porta sulla strada, e la stessa saletta dietro, quasi al buio, coi tavolini, le panche ammassate le une sulle altre e le pile di cassette vuote. La stessa porta in plastica pieghevole che portava al retro, dove il vecchio Mannari teneva la Vespa guasta da vent'anni. E un tizio seduto a un tavolo, con un mezzo litro di vino bianco davanti, e un bicchiere dal quale prendeva un sorso ogni tanto. Il ragazzo poteva anch'essere giovane, ma conosceva bene il tipo di clientela. Scambiò solo un buongiorno con Piero Ciampi, che glielo ricambiò d'una voce arrochita; poi tornò a asciugare i suoi bicchieri. Piero si mise a sedere a un altro tavolo, prendendosi la testa fra le mani. Il giovane, allora, smise d'asciugare e s'avvicinò al tavolo. Era uno che capiva senza tanto bisogno di parole.
"Vuole qualcosa da bere?"
" 'Un ciò nulla. So' senza soldi. Nix vaìni, je suis sorry."
" 'Unn'importa, me li dai 'vando ce l'hai. Dimmi 'osa vòi."
" Un litro di rosso."
" Dé, devi tornà dar deserto der Saàra, te."
" No, peggio. Dar deserto der Gobi. So' arrivato mezz'ora fa colla mongorfiera."
Fu portato il litro e un bicchiere col gambo. Piero si versò un bicchiere pieno. Lo tirò giù d'un fiato, ma piano. Piano. Ma d'un fiato. Perché bere, bisogna saperlo fare; bisogna farlo senza respirare, o quasi, ma con la bocca leggermente stretta, quasi a aspirare il liquido, e gli occhi semiserrati. Ti ci devi perdere dentro, quel bicchiere di vino; bisogna che lui si perda in te. Bisogna sentirselo andare giù senza pensare a nient'altro. E non ne deve restare nemmeno una goccia. Alla prima. Sennò gli occhi non s'illuminano. Sennò gli occhi non si velano, subito dopo, velandosi della stessa cosa di cui prima s'erano illuminati.
Bevuto il primo bicchiere, cominciò a versarsene un altro; e s'accorse che l'avventore all'altro tavolo lo fissava, con un'aria quasi dolce, quasi affettuosa. E lo guardò anche Piero. E lo riconobbe. Ma non si sentì perduto. Era il capitano Anton Germano Vukotich; capitano perché, chissà quando, aveva comandato un rimorchiatore. Un triestino capitato a Livorno dopo la guerra, e che c'era rimasto prendendo uno strano accento dove il livornese si mescolava a delle esse sibilate, parlando inoltre con una calma e una proprietà di linguaggio assolutamente strabilianti, specialmente in quel posto. Era ancora vivo. Con quei suoi occhietti d'un colore da non dirsi, che sembravano grigi quando il tempo era nuvoloso, e azzurri quando splendeva il sole.
"Sei Piero, vero."
"Sì."
"Lo sapevo che non eri morto."
"Parla piano."
"'Un ti preoccupà, Marcello deve lavorà."
Marcello doveva essere il ragazzo,il nuovo oste. Piero aveva bevuto anche il secondo bicchiere, e si stava mescendo il terzo.
"Invece ero morto."
Tanto valeva andare avanti.
"Si deve morì tutti prima o poi."
"Sì, ma io stamani mi so' rinvivito."
"Sei sempre il solito. Le scrivi sempre le canzoni?"
"So' venticinqu'anni che non ne scrivo più. So' stato in un posto dove non c'era musica."
" 'Un di' puttanate, Piero. Non esiste nessun posto senza musica."
" Sai un cazzo te, capitano."
" Hai ragione. So un cazzo io. La vòi una sigaretta?"
" Dé, me lo chiedi."
" Ciò le Emme Esse lait."
" Vanno bene anco 'velle."
" Tè, e fuma. Insomma, da dove vieni? Da Roma?"
" No, l'ho detto prima ar ragazzo. Vengo dar deserto der Gobi."
" E ci sei andato in giacchetta?"
" M'hanno rubbato i vestiti pesanti."
" E t'hanno rubbato anche i soldi."
" Bravo."
" Senti, Piero, io lo sapevo che saresti tornato prima o poi, sai."
" Io no."
" Tieni. Tanto so' rimasto solo, la mi' moglie è morta sedicianni fa."
Gli mise in mano dei biglietti colorati con dei disegni che Piero non riconosceva; ma c'erano dei numeri e sembravano soldi.
" Questi dèvano èsse' l'euro..."
" Dé, no, so' talleri peruviani."
" Te l'ho detto. So' stato via lontano."
" Sono centocinquanta. Me li rendi quando pòi."
" Mi conosci. Io non posso mai."
" E allora me li renderai mai."
" Quanti so' in lire?"
" Quasi trecentomila."
" Boia dé. E' tanta roba."
" Una sega. 'Un ci si 'ompra più nulla. Fatteli bastà."
" Grazie."
" Non mi ringrazià, s'era amici."
" Grazie lo stesso."
" E 'un ti preoccupà per il litro di vino. Anzi, prenditene un altro."
" No. Ora vo a mangiàmmi una zuppa di cipolle."
" Bravo. Così ti profuma un po' ir fiato, ti ci manca solo Jean Valjean e sarebbe perfetto pe' fa' le fogne di Parigi."
" Ma vaincùlo, capitano."
" Dé vacci tu, Piero Ciampi. Ma se' sempre meglio der tu' omonimo!"
Omonimo? Piero s'alzò toccando lievemente con una mano la spalla sinistra del capitano Anton Germano Vukotich. Il litro era vuoto. Non si sentiva volare una mosca e l'oste stava facendo le parole incrociate da un vecchio numero della Settimana Enigmistica. Piero sbirciò un attimo, prima d'uscire. L'oste era bloccato su una parola.
"Brillat-Savarin."
"Cosa, scusa...?"
"Sì, scusa. C'è scritto famoso gastronomo francese, no? Brillat-Savarin, ti dico."
"Dé...hai ragione. Ci sta. Come si scrive?"
"Bril-làt-sa-va-rìn come fosse veneto."
"Grazie! Dé, te lo sei guadagnato ir litro!"
Piero Ciampi non rispose e uscì. Ora poteva anche vedere come continuare a andare avanti in quel primo giorno di rinvivizione. Aveva fame. E, in sottordine, ancora una gran sete.
"Scusi, signore, qui 'un si pole fumà'."
Piero Ciampi lo guardò con un'aria decisamente stupita:
"Come 'un si pole fumà'? Da un tabacchino 'un si pole fumà?"
"No, 'un si pole. E' la legge. Per favore, esca o la spenga."
La legge? Rimase con la sigaretta in mano, e la mano a mezz'aria. La legge.
" 'Un si pole più fumà dove si vendono le sigarette?..."
"Signore, ma dove vive? 'Un lo sapeva?"
"So' stato via tanto tempo e torno oggi."
"Ah, capisco. Però, per favore, spenga la sigaretta o esca, mi dispiace."
"Esco subito. Ci mancherebb'altro che vìolo la legge!", disse insistendo sulla "i" accentata di vìolo; e uscì guardando quella prima sigaretta che oramai s'era quasi tutta consumata dalla stupefazione.
"Signore!"
"Che c'è ancora? O 'un so' uscito?"
"Sì, però le volevo dire...visto che è stato via tanto, guardi che 'un si pole più fumà nemmeno ne' bàrri e ne' ristoranti. La volevo avvertì. "
"Sempre la legge?"
"Sempre la legge e quer budiùlo der ministro Sirchia."
Ir ministro Sirchia? O di che governo era uno che faceva vietà' di fumare nelle tabaccherie e ne' barri? Se ne accese un'altra. La pesciaiola del barroccino all'angolo di via della Campana, che poco prima lo aveva visto passare chiedendosi dove mai l'avesse già veduto, stava cominciando a sbaraccà' ogni 'osa pe' tornàssene a casa. Aveva già finito di rimettere i pesci a posto nel frigorifero che teneva nel magazzino lì accanto, e stava levando i cartelli scritti a mano coi prezzi. Piero Ciampi si fermò e le rivolse la parola con molta e signorile cortesia, proprio mentre quella finiva di staccare il cartello con su scritto Boghe a poco - bone per il cacciucco; era una signora in carne senz'essere grassoccia, e con una specie di riccioli castani chiari, con delle gote rubizze da donna d'una certa età abituata a star sempre all'aperto e a riscaldarsi 'òlla stufa der gottino, come si dice in Alasca.
"Signora, mi scusi, vorrei un'informazione."
"Prego, 'ome no. Mi dìa."
"Lo conosce il capitano Vukotich?"
"Ir capitano di Trieste?"
"Lui."
"Lo 'onosco. Se lo cerca, è sempre all'osteria dar Mannari."
"L'ho appena visto, è un mio vecchio amico, sa m'ha detto di venì' da lei per una cosa, ché forze mi potrebbe aiutà'..."
"Ho capito. Lei cerca una stanza a poco. Ma dove l'ho già vista?"
"Non so..." "E' di Livorno, lei?"
"Sì, ma so' stato via pe' tanto tempo."
"Somiglia spicciàto a uno no, ma 'unn'è possibile, dev'èsse' morto da armeno vent'anni... mi scusi, mi scusi, si diceva, lei che lavoro fa?"
Piero Ciampi ci pensò un lungo attimo. Era indeciso; poi rispose: "Musicista."
"Senta, parliamoci chiaro. Io la stanza magari forse gliela trovo anche subito. Però ce li ha i vaìni pe' pagà?"
"Un po' sì."
"Mi scusi ancora, 'un vorrei sembrà' cattiva, però lei 'un mi sembra messo tanto bene in arnese..."
"Stia tranquilla, signora, un po' ce l'ho, un po' me li guadagnerò, e poi ir capitano fa da garante, se si fida."
"Mi voglio fidà..." ("E fa abbastanza male, signora", pensò Piero Ciampi; ma stette zitto.)
"Però in ogni caso più di tanto 'un mi posso permettere, almeno per ora."
"Lei cià un ber...una bella fortuna, signor...?"
"Litaliano."
"Come?..."
"Sì, Litaliano. Mi chiamo Litaliano di cognome, come l'italiano ma senza l'apostrofo. Piero Litaliano."
"Dé, è la prima vòrta 'e lo sento un cognome 'ome questo!"
"In Polonia ho conosciuto uno che si chiamava Grzegorz Brzeczysztikiewicz."
"Meglio Litaliano."
"Eh sì. Le volevo anche dì...bisognerebbe se possibile fa' alla zitta, senza contratti, senza scartoffie. Tanto ci devo stà' pe' quarche mese e basta, poi 'vando dovento ricco mi compro un sottomarino e torno via."
"Si guarderà. C'è proprio la mi' dirimpettaia che dà una stanza, sta ner mi' stesso palazzo. E' una ragazza separata da qualche anno."
" 'Un ci si dovrebbe mai sposà."
" Si figuri che ha mandato in culo ir marito perché ha saputo che 'ni metteva le corne co' una più giovane...successe un bordello di nulla. Lo venne a sapé' da un messaggino 'or telefanino mentre ir marito era 'oll'amici a un pàbbe qui dietro, tutta gente che sonava come lei...e ni piombò dentro e lo pigliò a stianti ner muso davant'a tutti...una scena...!"
" Ha fatto bene."
" Ma, 'un lo so...lui, certo, era un tipo strano forte, lo doveva vedé..."
" E che fine ha fatto?"
" E chi lo sa. Si racconta che la notte è partito briào fradicio su un treno, e 'un s'è più rivisto."
" Succede", disse Piero Ciampi con uno sguardo che s'era fatto all'improvviso andante oltre qualcosa.
" Succede. In ogni modo, se le interessa, ora la chiamo e sento."
"Non importa, signora, se è vicino ci vo io di persona."
"No, meglio che la chiami perché spesso 'un risponde ar campanello."
"E da dove la chiama? Cabine 'un ne vedo..."
"Certo, signor Litaliano, dev'èsse' rimasto via tanto tempo sur serio..."
La pesciaiola tirò fuori un aggeggio colorato da una borsa, munito d'un'antenna e di una tastiera coi numeri. "Pronto, Maria Fortunata? Sì, so'la Marisa, la vicina...ascolta, ce l'hai sempre la stanza da dà'? Qui c'è un signore che mi pare perbene, uno anche d'una certa età, no, un ragazzino 'unn'è, che la vorrebbe...però se si potesse fa fra amiche..." E si misero a parlare, senza che Piero Ciampi potesse sentire quel che l'interlocutrice stava dicendo. S'appoggiò al barroccino accendendosi un'altra sigaretta, e pensando a troppe cose accavallate; un messaggino... ir telefanino, la moglie ner pàbbe, i cazzotti, un treno, la notte...
"...occhèi, allora, te lo mando...sì, è qui davanti a me, fra un minuto è lì da te, mi raccomando aprigli...ciao, e passa a pagàmmi quando pòi...ciao."
"Allora?"
"Allora, signor Litaliano, deve andà qui dietro ar quarantuno di Via Garibaldi e sonà all'unico campanello senza nome, accanto a quello con scritto Rossi. E ar primo piano. La stanza gliela dà a duecento euri ar mese, e vole un anticipo di almeno cento euri. Ce li ha?"
Piero si fece due conti in mente. Sarebbe rimasto con 45 euro in tasca, ma andava bene.
"Ce li ho. Ar quarantuno ha detto?"
"Sì, ar quarantuno. E 'un s'impressioni pe' ir casino che troverà in quella casa. Come dire, la mia amica non è un granché ordinata, ma è una brava ragazza."
"Come si chiama, che 'un mi riòrdo...?"
"Maria Fortunata. E a me che mi compra?"
"Come, scusi, signora?"
"Prima ha detto che quando doventerà ricco si 'omprerà un sottomarino. E a me che n'ho trovato la stanza, cosa mi 'ompra...?", fece la pesciaiola con un largo sorriso da motosilurante.
"A lei...vediamo una pelliccia di serpente..."
"Lei ci deve avé' voglia di ruzzà."
"...coll'innesto di una tigre."
(3/4 - continua)