Adieu les godasses!
E così se se sono andati, ieri sera. Li ho sempre chiamati scarponcelli; scarponi veri e propri, tipo quelli da montagna o militari, non erano. Neanche scarpe da trekking vere e proprie; e, allora, ecco gli "scarponcelli", tenendo naturalmente conto che in quegli "elli"ci dovevano star dentro i miei piedini n° 48. Li avevo comprati circa dieci anni fa, in Svizzera, pagandoli un occhio della testa: duecentoventicinque franchi. Ben spesi, devo dire; col loro gore-tex, non c'entrava assolutamente nulla. Ci ho fatto di tutto e di più: dalle salite e discese al "Paradiso delle marmotte" dei Rochers de Naye a decine e decine di manifestazioni (compresa quella "Dal Molin" di Vicenza, 17 febbraio 2007, diciassette chilometri), da anni di lavoro a portar giù gente dai quarti piani alla "nevicatona" del 17 dicembre 2010, dalle giornate di pioggia qualsiasi a ogni possibile merdajo. Mi sono sentito al sicuro in questi anni: c'erano gli scarponcelli di Friburgo. Ora non ci sono più. Hanno ceduto ieri sera, alle undici e mezzo, mentre tornavo a casa a piedi sotto un diluvio. Ieri avevo la macchina, la "Plog", dal meccanico per un problema alle puntine; così, zampata (per andare dove lo dirò fra un po'). Già all'andata avevo visto che la suola si stava staccando; ma loro, imperterriti, passo dopo passo. Fino all'ultimo. Al ritorno, sceso alla fermata Talenti della tranvia (quella dove c'è il famoso sottopasso che si sta sbriciolando, ennesimo capolavoro di "Italia '90", di cui non si trovano più nemmeno i progetti), è cominciato il calvario. Dalla fermata a casa mia ci sono circa due chilometri; in via Cecioni si sono aperte del tutto le suole, in via Maccari è partito il supporto in plastica della scarpa sinistra, e in via Ciseri le suole si sono staccate completamente. Finis scarponcellorum. Da Friburgo a via Ciseri, dieci anni di passi. Le stringhe originali hanno resistito fino all'ultimo. Dieci anni anche, non di rado, di mal di piedi; il "passo da maniffa" sarebbe capace di stroncare un maratoneta, senza contare qualche improvviso scatto (come quello di Bologna, terminato in una stratosferica manganellata da parte degli sbirri, in lividi e contusioni dappertutto e, debbo dirlo, in alcuni amorevoli consigli ricevuti su un autobus da Oreste Scalzone - "ci vuole il manganese"). Per questo, stamani, sempre sotto la pioggia, ho preso gli scarponcelli, li ho sistemati sulla seggiola che serviva al gatto Redelnoir per saltare dentro in casa (e, spesso, per crogiolarsi al sole) e li ho fotografati al termine della loro battaglia, da "scarpe rotte eppur bisogna andare". Naturalmente non avrò il coraggio di buttarli nel cassonetto; non è che non getto via mai nulla, però ci sono delle cose che proprio non ce la fo. Ora, però, devo dire in quale occasione gli scarponcelli siano giunti alla fine del loro cammino; per farlo, dovrò prima riandare a qualcosa di un po' personale, e della quale cercherò di parlare con obiettività e moderazione.
L'ex fidanzata e il cantautore impegnato
Lo scorso otto di maggio, verso le due del pomeriggio, stavo a tavola e guardavo le notizie di "Rai News 24" appena finito di mangiare. Stavo fumandomi il sigaro postprandiale, quando squilla il cellulare con un "numero privato". Di solito non rispondo mai alle chiamate anonimizzate: chissà per quale motivo, quel giorno, ho deciso invece di rispondere.
Riconosco subito la voce, anche perché è rimasta inconfondibile e uguale a com'era in tempi remoti Volendo, un po' più nasale del solito; ma questo, probabilmente, per l'imbarazzo che la persona all'altro capo del telefono doveva provare. Si sentiva una voce piuttosto sforzata di apparire "neutra", o qualcosa del genere; per farla breve, era una mia ex fidanzata "storica", quella dell'adolescenza tirata avanti fino alle soglie dei trent'anni. Le piaceva molto una vecchia canzone di Lucio Dalla dal "Q-Disc", Telefonami tra vent'anni; così, è andata a finire che lo ha fatto per davvero. Mi ha telefonato dopo vent'anni, insomma.
La signora, perché ormai signora è -con tanto di bella professione, famiglia, casa che non ho nessun motivo di dubitare sia di
prestigio in una bella zona di una grande città italiana- aveva, sembra, scoperto il mio blogghino. Ignoro che cosa stesse cercando di preciso; se la foto di qualcosa, una poesia o delle notizie sul suo
viejo amor que no está (in tal caso, come tutti, si sarà beccate gran paginate sul famoso fotografo romano e sul carabiniere dei RIS della fiction televisiva). Ad ogni modo, il blogghino se lo deve essere letto con discreta attenzione, dato che si è accorta di alcuni post in cui avevo parlato -ovviamente senza far nomi- di lei e anche di "noi", mettiamola così; così le era presa la voglia di telefonarmi, dopo vent'anni, per chiedermi alcune cose. Il fatto è che, dopo gli oramai celebri vent'anni, ho avuto tutto il tempo per elaborarmi dentro tutti gli eventi; e ne ho concluso, in linea di massima, che i ricordi sono ricordi ma che, per il resto, il passar del tempo ha fatto pienamente il suo dovere, che è quello di ricondurre alla realtà. Pur essendo quella lunga storia finita traumaticamente assai, credo di essere stato un "ex" esemplare: non ho mai dato noia, non mi sono appostato sotto finestre, non ho mai fatto chiamate telefoniche a vuoto, mai una cosa fuori posto; ognuno ha fatto la sua vita, e amen. Il fatto è che la signora, la quale ha un carattere fondamentalmente prepotente o "totalizzante", per dirla così, dai miei accenni in questo blog deve avere desunto (giustamente) che non ho più nessunissima voglia, e né necessità, di elaborare ulteriormente; così, mentre le parlavo normalissimamente e gentilmente, mi sono sentito dire -persino con finto accento romanesco!- che io avrei dovuto
desiderare di far vedere qualcosa (= di "emergere", credo), o roba del genere. Chissà, forse la signora aveva timore di avere "sprecato" anni preziosi della sua vita; tant'è che, visti gli accenni nel blog alla mia casa in un vecchio garage e ad altri episodi più o meno pittoreschi della mia vita, nonché ai miei modi di fare e di pensare, mi ha domandato -con voce quasi disperata- perché mi fosse impossibile avere una "vita normale".
Non le ho risposto. A che pro? Non so nemmeno che cosa sia, la cosiddetta "vita normale"; per me, la vita è sempre stata qualcosa di anormale, di straordinario. Anche e soprattutto nelle cose piccolissime, minuscole. Non sono però un "minimalista": le cose più insignificanti, per me, rivelano mondi interi e starebbe ad ognuno di noi osservarli e trarne insegnamenti. Per questo amo vaccamente (trasposizione di
vachement) la mia vita un po' sotterranea, defilata, senza apparire. Poi arrivano certe occasioni in cui mi diletto di scriverla, ora qua dentro e in precedenza in altri posti; ho di che vivere, in certi periodi meglio e in certi altri peggio. Disprezzo ferocemente le "realizzazioni", che siano nel "lavoro", nella "famiglia" o in altri capisaldi della società; questo è senz'altro vero. Cerco, imperfettamente, di battermi perché il convivere umano si basi su cose molto differenti da queste. A differenza di molti che hanno esaurito tutto questo nella famosa "gioventù", per poi approdare alle sane certezze borghesi (le quali, sovente, generano le altrettanto famose "insoddisfazioni" e via discorrendo), io ci sono arrivato in età parecchio più matura. E non soltanto mi tengo come sono, ma rivendico tutto questo come fonte del mio incrollabile ottimismo ed anche della mia capacità di barcamenarmi in situazioni non facili. Ho seminato, certo, la mia dose di male; è normale che i propri atti possano generare disistima, disprezzo, persino odio. Ma chi ha avuto a che fare con me, in generale, si è visto un po' spostare il proprio asse; magari non ne avrà fatto di nulla, ma qualche pensiero lo avrà pur fatto.
Cristicchi e le foibe
Chiaramente sto divagando. Basta così. Ho deciso di non rispondere mai più alle chiamate anonime, che sia un call-center o l'ex fidanzata. La quale, fra le altre cose, ha scoperto pure (sempre nel blog) che ce l'ho con Simone Cristicchi. Su questa storia di Simone Cristicchi (sul quale avevo scritto poche righe in occasione del suo
spettacolo sulle foibe e sugli esuli istro-giuliani, "Magazzino 18") la signora sembra esseri particolarmente "fissata", per così dire. Mi ha rimproverato aspramente, nella sua telefonata dopo vent'anni, di "occuparmi di cazzate":
Ma chettefrèga de Cristicchi? Parrà impossibile, ma da questa cosa ho constatato definitivamente di vivere su un pianeta lontano centinaia e centinaia di anni luce da quello della signora. Non solo "materialmente" o roba del genere (anche perché, in fondo, della sua "materialità" non ne so assolutamente niente e, soprattutto, non me ne importa niente), ma idealmente. Il distacco è maturato, si è sviluppato ed è avvenuto: non c'è nulla che più mi leghi a questa persona, a parte qualche ricordo (bello o brutto che sia). Mi frega
anche di Simone Cristicchi, anzichenò. Mi frega dell'ambiguità revisionista del personaggio e del suo prestarsi a operazioni fasciste come quella di "Magazzino 18", poiché sono parte di un progetto che è semplicemente agghiacciante e che ha ripercussioni sulla vita di tutti. Anche di quella della signora di cui ho parlato finora. Anche su quella dei cosiddetti "sinceri democratici", delle signore e dei signori che ieri sera affollavano il Cinema Teatro Aurora di Scandicci (Firenze), dove Simone Cristicchi si esibiva nel suo "lungimirante spettacolo" (così lo ha definito un'articolista della "Nazione"). Ieri sera, a Simone Cristicchi è stato giocato un bello scherzetto: gli è stato invaso il teatrino, prima dell'inizio della rappresentazione, con volantini, megafoni e uno striscione. S'era una cinquantina e più; il resoconto dettagliato, con foto e video, si trova sul
Militant Blog.
Il diluvio di fine gennaio
E, infatti, proprio là ero andato, sotto il diluvio di fine gennaio, con gli inseparabili scarponcelli, E anche con l'altrettanto inseparabile zaino (acquistato anch'esso in Svizzera dieci anni fa; indistruttibile!) con attaccata Maddalena Venaus, la marmotta di pelouche regalatami durante una marcia in Valsusa. Quella che, amorevolmente, chiamo la "Marmotta più fotografata dalle Questure d'Italia": senz'altro è assai più famosa di me. E da lì tornavo a piedi, da solo, quando gli scarponcelli
suum cursum perficierunt. Sono morti alla battaglia, dopo aver visto, anche loro, che cosa sia diventato questo paese. Hanno visto anche loro, prima di morire, l'ignoranza e l'incultura di tanti poveri zombies che facevano i coretti "fuo-ri! fuo-ri!" urlandoci di "studiare la storia" quando la storia che hanno "studiato" loro è interamente a base di
fiction imbecilli e dei giornaletti di regime letti la mattina al bar. Hanno visto, gli scarponcelli moribondi, che cosa significa manipolare non soltanto la Storia, ma i cervelli della gente; la quale, va detto, se li fa manipolare oltremodo volentieri. Indimenticabili alcune scenette, come l'anziano signore che urlava "Io vengo dalle foibe!", quasi le Foibe -come ha osservato giustamente la Militant- facessero provincia assieme a Trieste e Udine. Di tutto questo Simone Cristicchi, quello che si esibisce assieme ai "Minatori di Santafiora" (ci scendesse per davvero, in miniera, sarebbe un bene per tutti), si è fatto coscientemente portatore; ed è totalmente inutile che invochi, adesso, la "visione dello spettacolo prima di giudicare". Di "spettacoli" come il suo ne vediamo quotidianamente. Gli spettacoli della distorsione storica, gli spettacoli del tacere, gli spettacoli del fascismo che si manifesta, oramai, ben più nelle "anime democratiche" che nei fascisti veri e propri.
Per questo, sotto il diluvio di fine gennaio, me ne è importato parecchio di partecipare a un'azione del genere. Certo, è inutile negarlo: nel mio caso particolare avevo ancora negli orecchi la signora ex-fidanzata.
Ma chettefrega de Cristicchi. Di Cristicchi in sé, niente. Del fascismo che tocca tutti, me ne frega eccome. Non disposto a lasciarne passare una, in qualunque modo si manifesti e si espleti; per me, queste, sono questioni semplicemente fondamentali. E per questo non mi rimane altro che constatare, serenamente, la distanza siderale che mi separa non soltanto dalla signora di cui ho parlato sovente in questo post, ma anche da tutti coloro che si fanno tirare i fili come delle squallide marionette. Una volta il puparo può essere il politicante di turno, una volta er cantautore più falso dell'oro di Bologna. Mi spiace solo che il protagonista del suo spettacolino porti lo stesso cognome, Persichetti, di qualcuno che mi evoca tutt'altro.
L' "operazione Foibe", va detto, è pienamente riuscita. Un insignificante cavallo di battaglia creato da un manipolo di fascisti in dispregio di ogni realtà storica e sulla base di un nazionalismo che ha ignorato e continua a ignorare tutti i crimini atroci commessi dal fascismo in quelle plaghe, è diventato, con la piena complicità della "sinistra democratica", un cosiddetto "valore condiviso" obbligatorio. Un dogma la cui non osservanza comporta oramai la scomunica immediata. Di un paese in cui accade una cosa del genere, non me ne dovrebbe
fregà gnente? Me ne frega invece talmente tanto da sacrificare anche gli scarponcelli sotto un nubifragio. Tornare a casa con un ghigno. Mettersi a leggere, il giorno dopo, tutte le bave dei pennaioli. Tutti che dicono le stesse cose. Nessun dubbio al riguardo, ma rimane uno spasso. Gli scarponcelli hanno fatto una fine più che degna, e magari il destino ci ha messo pure il suo zampino privandomi della macchina proprio in quella serata.
Envoi
Gli scarponcelli sono ancora lì, rotti e sfondati sulla sedia del gatto. Sta di nuovo piovendo. Non la smette mai in questi giorni. Non so, tu che magari ti sei sciroppato tutta questa bizzarra cosa, che cosa tu ne abbia tratto; ma mi pongo raramente tale questione. Stavolta, però, ti darei volentieri una dritta consistente in tre sole parole: eppur bisogna andare. E ci vogliono, inutile che te lo dica, le scarpe rotte. Con le tue belle scarpine sane dentro alle quali prendono comodo tutte le tue borghesie, vere o finte che siano, reali o immaginarie; con le tue belle scarpine linde che prendono ogni forma e ogni declinazione del fascismo lardellato di stupidità feroce, non si cammina affatto. Ci si fa camminare sopra. Per questo sei complice. Per questo io non sarò mai tuo complice. E ti saluto anch'io con una canzone. Ascoltala bene, anche tu o gentile signora ex fidanzata e telefonatrice dopo vent'anni; marca bene l'abisso e prendine atto assieme alla tua classe odiosa e vuota.