giovedì 20 marzo 2014
Luoghi (1)
Due parole prima per
ringraziare tutt* coloro che hanno un po' scritto in pubblico
e in privato della mia vicenda kafko-giudiziaria (con la speranza che
ne abbiano, come avevo suggerito, approfittato per un paio di risate
e un bicchier di vino). In sé e per sé sono parecchio imbarazzato;
imbarazzo che viene mitigato solo dal pensiero e della speranza che
parlarne possa servire a chi scrive e in Rete esponendosi alla
formazione, come mi hanno giustamente scritto con un'espressione
quanto mai azzeccata, di un'ala di galera di blogger. Poiché “di
respirare la stessa aria non mi va” (e non solo dei secondini),
continuo a fare quel che ho sempre fatto; a partire da quel che
segue. Finire in galera, o rischiare di finirvi, non sarebbe bello;
ma ancor peggio sarebbe mettercisi da soli, in galera. Nella galera
dell'obbedienza e della paura.
In
questo post si parla di Firenze, perché Firenze è la città dove
sono nato e dove vivo; è la situazione che ho sotto gli occhi tutti
i giorni, è quella che mi tocca osservare ed ha, per forza di cose,
le sue specificità. Però, in buona parte, quel che segue può
essere applicato ad ogni città -piccola o grande che sia- di questo
paese. Sarà il primo di alcuni post su dei luoghi di questa città,
e la cosa ha una sua origine ben precisa che vado a spiegare
brevemente. Uno dei “cavalli di battaglia” della giunta Renzi, il
democristiano ultraliberista di destra ex sindaco di Firenze e
attualmente “presidente del consiglio” (o “primo ministro”),
sono stati i cosiddetti “Cento Luoghi”. Qualche anno fa, il
neoeletto Renzi convocò delle “assemblee di cittadini” che
dovevano dire la loro sulla sistemazione e sulla destinazione,
appunto, di 100 luoghi della città. La magia del numero 100 è
riconosciuta, e non solo per Renzi: si prendano ad esempio i “100
punti” del programma,
i primi “100 giorni” del governo
e altre baggianate del genere. Per tornare ai “Cento Luoghi”
renziani, è stata naturalmente un'iniziativa che ha prodotto quanto
segue: il Nulla. Il primo anno fu strombazzata come un gran successo, che ha prodotto la demolizione di una povera pensilina di fronte alla stazione e di un rudere arrugginito al Campo di Marte, un ex ufficio delle Poste (sostituito da un terreno incolto e, quel che più conta, dai bellissimi lavori per il TAV); il secondo anno, non gliene fregava più niente a nessuno. In questa serie di post,
i “luoghi” saranno molti meno, ovviamente. Tre soli, anzi. Però
servono a evidenziare che cosa sia una Città nelle condizioni
attuali, quelle vere.
Partiamo
da un luogo che, si dice, “presenta” una città. Quello dove si
arriva: la stazione
ferroviaria.
La
stazione centrale di Firenze, Santa Maria Novella, fa schifo. Anche
architettonicamente. Ai fiorentini hanno detto però che è un
capolavoro dell'architettura
razionalista (leggasi: gli
orrori architettonici fascisti che hanno devastato le nostre città
anche dopo la fine del regime), ci hanno infilato dei nomi
di architetti famosi cui io non avrei fatto costruire nemmeno un
magazzino (tipo il Piacentini), hanno raso al suolo un quartiere
intero per costruirla verso il '35 e, come se non bastasse, le hanno
messo intorno una piazza ancor più orrenda della stazione stessa.
Preferisco la stazione Termini e la Centrale di Milano, il che è
tutto dire. All'interno, la stazione centrale di Firenze è di una
cupezza unica, fa tristezza a starci dentro; però guai a dirlo in
giro. I fiorentini, senza generalmente capirci un cazzo, sono
convinti che sia un capolavoro.
Circondati come sono dalla bellezza rinascimentale, si sono ritrovati
in pieno centro quel bubbone fascista convinti che sia un'opera
d'arte, mentre è solo un ammasso di merda; ma, perlomeno, fino a
qualche tempo fa serviva per la sua funzione primaria, ovvero quello
di stazione ferroviaria. C'erano, ad esempio, delle sale d'aspetto
(di prima e seconda classe). C'erano dei cessi, sporchi da fare
orrore, ma ci si poteva pisciare e cacare a gratis. C'erano dei
sottopassaggi tra i binari. C'era un bar. C'era una natura di luogo
pubblico dove veniva espletato un pubblico servizio. C'era pure un
posto di polizia con due o tre agenti che giravano su una specie di
macchinine dell'autoscontro, quello dei luna park. E c'era,
soprattutto, un posto dove chiunque, notte e giorno, poteva entrare a
riscaldarsi dieci minuti.
La
stazione centrale di Firenze, come tutte le altre, è stata
privatizzata.
L'impresa di pulizie che vi opera (“L'Operosa SCARL”) non fa più
le pulizie, ma la mantiene nel decoro;
e attenti a questa parola, “decoro”, che è una delle parole
chiave della repressione. Questa antica parola che sa di rosolio e
famiglie borghesi del 1909, di grembiulini delle elementari e di
educazione delle fanciulle. Le sale d'aspetto non ci sono più: in
una ci hanno messo il “Freccia Club” (esclusivo, naturalmente:
nel senso letterale, ovvero quello di escludere chi non ha il
costosissimo biglietto per una “Freccia”), nell'altra il Club
Italo (treno privato con tutta una mirabile categorizzazione per Top
e Vip).
Chi aspetta i treni ha a disposizione freddissime panche metalliche
nel salone biglietteria, completamente aperto anche in inverno e non
riscaldato (e che cavolo poi vorresti riscaldare in quella specie di
cattedrale); e si arrangi. I cessi si pagano un euro a bisognino, e
di liberi non ce ne sono più; la ristorazione è diventata monopolio
McDonalds. La Feltrinelli fa chiudere ogni altra libreria che
incontra sul suo cammino (vedasi la Edison), e apre anche dentro la
stazione. Laddove c'era la banca si raggiunge il sublime: poiché
hanno mantenuto le vecchie insegne “storiche” (compresa
“Ristoratore” invece di “ristorante”, che è un francesismo e
in certi anni la lingua italiana doveva essere “pura”), un
negozio di stracci e affini di tale “Sylvian Heach” è sormontato
da un mistico “San Paolo”. Ancor prima che fossero espulse per
fare posto ai “Club esclusivi” di frecce e ìtali, le sale
d'aspetto venivano chiuse alle 21 in modo che non vi potesse
stazionare nessuno. Incredibile che la farmacia comunale sia stata
mantenuta e non sostituita da una profumeria Marionnaud; ma non si sa
mai. Ma non era abbastanza. Dentro la stazione, c'erano ancora troppe
persone sgradite e sgradevoli. Troppi poveracci. Troppi zingari.
Troppi balordi (termine
amatissimo dal giornale La Nazione).
Troppa umanità da buttare nella spazzatura, persino nella stazione
privatizzata coi Club
Esclusivi, i cessi a pagamento e Sylvian Heach. Troppo poco decoro.
Troppo degrado. Troppa
poca sicurezza. Sono
partite le “campagne”; ed ecco come è stata risolta la cosa.
Interazione. Collaborazione. Comune, comando dei Vigili, signor
Prefetto. In perfetta sinergia
hanno spostato dentro la Stazione cento nuovi agenti;
e così, dopo i cento luoghi e i cento punti, ecco i cento
sbirri.
Dentro la stazione non si può più muovere un passo (tenendo conto
anche, naturalmente, delle onnipresenti telecamere “amiche”). Si
entra dentro e si vedono capannelli di poliziotti; militarizzazione
completa, vale a dire il vero significato della parola “decoro”
(e ci venivano a parlare del “Grande Fratello”!). I sottopassaggi
tra i binari sono stati chiusi per motivi di sicurezza;
cosicché, per andare da un binario a quello accanto bisogna fare un
giro di un chilometro. Non scordiamoci il “divieto di fumare” in
tutta la stazione fino a un certo punto dei binari: il divieto di
fumo è uno dei segnali più evidenti di repressione generalizzata
(che agisce sempre per “preservare”: la salute, i minori, le
donne 'ncinte, la famiglia eccetera). In pratica, la stazione è aperta ai quattro
venti, d'inverno c'è un freddo che si pela e i viaggiatori espulsi
dalle loro sale devono stare a congelarsi in biglietteria, però non
si fuma. Che ganzi!
Di quei pericolosissimi accattoni,
specie zingari, non se ne vede più uno; in compenso si entra dentro
la stazione con l'impressione che ci sia stato un colpo di stato e
che tu stia per essere infilato a forza su un esclusivo
vagone
piombato per Treblinka. Controlli dappertutto. A parte, naturalmente,
quando qualcuno deciderà che la stazione debba saltare in aria per
qualche motivo più o meno occulto; ma l'importante è siano stati
eliminati i balordi.
Se poi ci si incammina un po' per i binari, si crepa sul lavoro come
è successo anche poco tempo fa a un giovane ferroviere. Si muore
tranquillamente. Con decoro.