lunedì 8 settembre 2014
Dai diamanti, ecc.
Davanti all'uscio di casa mia, ex garage condominiale trasformato in civile abitazione, a dire il vero la famosa equazione di Via del Campo non è pienamente applicabile: non ci ho il letame, insomma, sebbene ci abbia non di rado un discreto letamaio grazie a quello che cade in cortile dalle terrazze dei piani alti (quintali di mollette per il bucato, vasetti di pommarola fatta in casa, giornalacci vecchi, cicche di sigarette, asciugamani interi, calzini e mostriciattoli vari per bambini, tipo Pokémon; ma una volta m'è arrivato dal quarto piano anche un intero album da disegno con le casine, gli alberelli e la zia Giuseppa fatta a matita, che secondo me era venuta meglio dell'originale). Poco male; io e le vicine della Repùbbliha d'i' Cortile gni se ne dà di granata, e via.
Non c'è letame, ma di asfalto ce n'è parecchio, e in vari strati. Asfaltaccio popolare, da cortile dell'Isolotto; non si pensi che sia, ad esempio, quello drenante delle autostrade. Drenante una sega; quando piove forte, a volte, bisogna fare la traversata col canotto per entrare in casa. Quindi, mi perdoni il buon Fabrizio che è ne' cieli, dai diamanti continuerà sicuramente a non nascere niente, ma il letame resta nel centro storico di Genova. Qui, all'Isolotto, i fiori nascono dall'asfalto, e con tanto di piantina annessa.
Mi è spuntata all'improvviso qualche giorno fa, proprio davanti all'uscio, e ha operato una specie di rivoluzione. Sapeva, la piantina, che io sono uno strano rappresentante dell'umano genere, e nella fattispecie uno che s'innamora all'istante delle cose che escono da posti impossibili. L'ho adottata immediatamente, e chi si trovasse a viandare (se ci sono i viandanti, che è un participio presente, ci dev'essere anche il verbo all'infinito) in questi giorni nel cortile di via dell'Argingrosso al sessantacinque barra cì, vedrebbe bizzarre scene -tipo il sottoscritto che devia le macchine che scendono a' garagi (quelli veri) e che avverte la gente di stare attenta alla piantina nata dal bitume. L'altro giorno, con un sorriso a settantadue denti, ho detto al caposcala che chi la stiàccia, è morto; naturalmente era una battuta (forse).
Fra un po' vo a innaffiarla; siccome bisogna entrare nel buchino da dove è spuntata fuori, ho rispolverato il vecchio contagocce con cui davo la pappa al gattino Néstor Lunar nella sua brevissima vita; ma dicevo della rivoluzione. Il giorno dopo l'arrivo della piantina, mi si è presentata una condòmina all'uscio, un'anziana signora con la quale, in quasi sette anni, avrò scambiato sì e no dieci parole. E' arrivata munita di terriccio e altre piante, di una specie che -mi ha detto- si chiama Ricchezza perché è della stessa famiglia della Miseria; e mi ha riempito una vasa dove buttavo i fondi del caffè, e un altro vaso che ha portato lei. Dimodoché, al momento attuale, casa mia è circondata dalla piantina asfaltata (che sta buttando i fiori) e da ricchezze o miserie varie; il che potrebbe essere pure letto in chiave metaforica, se ci avessi la voglia di metafore. Ultimamente, però, sono alquanto carente da questo punto di vista.
Ci avrà pure lei, la piantina nata dall'asfalto coi suoi fior, un nome. Magari sarà pure altisonante, tutto in latino, perché a Carlo Linneo non si sfugge. Per me è e rimarrà la piantina e basta, perché si farà il suo ciclo vitale se tutto va bene, e finirà schiacciata da una ruota o da un piede se va male. Succede così, di solito, e non soltanto quando s'ha la ventura di nascer piante qualsiasi da uno strato d'asfalto in un quartiere di banliè; succede, altre volte, di nascere ragazzo in un quartieraccio, e di venire sparato via a diciassett'anni perché non ti sei fermato all'alt. Ciononostante, sotto quell'asfalto e sotto quei diciassett'anni, i semi covano e non muoiono mai; aspettano solo il momento giusto per spezzare i muri e venir fuori.