lunedì 6 ottobre 2014

Non è mai troppo tardi (da Cavallette)


Liverpool, 28 settembre 2014. Ressa fin dalla notte davanti a un negozio per accaparrarsi l'iPhone 5.

Il 5 ottobre, vale a dire ieri, fanno giusto tre anni che Steve Jobs li ha lasciati. Poiché, in questi giorni, c'è la gara per ricordare questo personaggio cui oramai è stato attribuito uno status divino -perché, a parte ideare costosi apparecchietti vari per rincoglionire ancor di più l'universo mondo (specialmente quello "in crisi" e che "non arriva alla fine del mese"), è bastato un discorsetto pieno di banalità e di cazzate galattiche per fargli oscurare millenni di filosofia da Eraclito a Wittgenstein-, mi pregio, una volta tanto, di dedicarmi all'arte del copia-incolla e di riprodurre integralmente un articolo apparso lo scorso 30 agosto su un blog per me un po' insolito, vale a dire Cavallette. "Cavallette" è il blog informativo di Autistici/Inventati, e in gran parte è di carattere tecnico; ciononostante, questo articolo, scritto una persona non solo "del ramo" ma dedita ad una Rete che è l'esatto contrario delle baggianate di Steve Jobs e dei "giobbisti" di tutto il mondo, è a mio parere parecchio interessante e fa tutta una serie di salutari piazze pulite. Buona lettura, avvertendo che lascio l'articolo così com'è senza effettuare alcun intervento correttivo (ortografia ecc.), le stronzate di Sua Santità Steve Jobs, del resto, erano scritte in un inglese ben più di merda. L'unico intervento che ho fatto, è la paragrafazione per alleggerire un po' la lettura di un articolo che è molto lungo. [RV]

Non e’ mai troppo tardi…

 

… per pisciare sulla tomba di steve jobs.

E’ tanto che non scrivo su questo blog, e’ che gli argomenti di cui scrivevo, sono stati ingurgitati in un tunnel del vento dove tutto viene accellerato.

Cosi’ funziona nei regimi democratici: si parla tantissimo di un argomento, apparentemente da ogni punto di vista, talmente tanto che ogni opinione finisce per valere poco o niente e quanto si afferma e’ il dato di fatto. Quello che si ha la forza di fare nonostante il chiacchericcio, cio’ che rimane. Nel bene e nel male: dove i due concetti sono chiaramente divergenti a seconda di chi li esprime, un po’ persi nel relativismo postmoderno.

Nel mio placido pellegrinare estivo di sistemista che lavora ad agosto, sono andato al cinema, che e’ meno faticoso del mondo di Internet perche’ per due o tre ore ti subisci un solo punto di vista: quello dell’autore del film. Non e’ un caso se prima dell’avvento della tv, il cinema fu eccezionale strumento di propaganda. Comunque per me, che soffro un po’ la confusa velocita’ della rete, il grande schermo rimane un’esperienza piu’ consona ai tempi estivi.

Il titolo del post mi e’ stato ispirato da due film. In verita’ credo sia l’humus culturale di questo periodo storico a indurmi spesso pensieri teppisti: in particolare in questo caso gli odiosi e banali aforismi di Steve Jobs che catturavano pero’ bene tutta la miseria del capitalismo cosi’ smart, cosi’ cool, cosi’ young. La santificazione dell’iniziativa privata, dell’intuizione finalizzata alla creazione di cose da vendere, la realizzazione di se’ attraverso il lavoro, la competizione, l’essere visionari di scenari miseri, l’abuso della frase “cambiare il mondo” come alibi alla propria sete di denaro o al proprio narcisistico ego strabordante, e bla bla bla.

Ma veniamo ai film.

Transcendence e’ una pellicola veramente brutta, da tanti punti di vista, ma a me risulta particolarmente insopportabile per la morale di fondo. C’e’ questo genio dell’intelligenza artificiale un po’ stralunato, secondo lo stereotipo dello scienziato strampalato, sposato con questa donna, piu’ passionaria, sentimentale e al contempo realista di lui, un po’ a confermare che dietro ogni grande uomo c’e’ una grande donna, a fare economia domestica.
Costui si reca ad una conferenza per raccattare fondi dove si improvvisa lo Steve Jobs della situazione. La location, le luci, i colori ricordano proprio i discorsi del raccogli mele di cui sopra. Al termine della conferenza gli sparano, ma purtroppo non muore subito, il che consente al film di andare avanti ancora per un po’.

L’autore dell’attentato fa parte di un gruppo clandestino di scienziati pentiti, che colpisce le avanguardie tecnologiche per salvare l’umanita’ dall’infausto destino che la scienza gli prepara. Sotto accusa sono in particolare intelligenza artificiale e nanotecnologie. Sebbene lo sparatore non abbia fatto centro preciso, comunque il proiettile era arricchito al plutonio e quindi Johnny Depp si avvia ad un’agonia di un paio di mesi. Nei quali pero’ la moglie trasferisce la coscienza del moribondo in un computer quantistico, aiutata da un amico e collega, innamoratissimo di lei (e secondo me anche un po’ di lui), che sostanzialmente si infila una scopa in culo, le ramazza la stanza e aiuta il marito a tornare da lei sotto forma di intelligenza artificiale. Ma nel frattempo i terroristi assaltano il laboratorio, cosi’ per salvare la creatura la mettono on line. Quindi essa si propaga e impregna Internet. Anzi si fa pure un sacco di soldi sui mercati finanziari, perche’ comunque, come diceva Steve, “non lo facciamo per i soldi”, pero’ senza qualche milionata di dollari, la vita non e’ la stessa cosa.
Riavuto il compagno, la protagonista femminile caccia l’amico, che si unira’ ai ribelli, e si ritira in un paesello in mezzo al deserto a costruire un laboratorio sotterraneo, dal design molto Apple, alimentato a pannelli solari. In esso l’intelligenza cresce e grazie alle gnomotecnologie diventa in grado di creare e manipolare la materia, raddrizzare gli storpi, donare la vista ai ciechi e fare miracoli.

Accorre cosi’ al paesello tanta povera gente per essere guarita e salvata. Esso li prende, li potenzia e li mette in rete con se’ stesso e tra di loro, creando una sorte di comunione universale, gestita dall’intelligenza artificiale, che comunque e’ un monarca buono e generoso.

A questo punto il governo si preoccupa e si allea al gruppo di guerriglieri clandestini per stroncare la fottuta macchina, che sta un po’ pisciando fuori dal vaso. Anzi, hanno un’idea geniale: introdurre un virus, che spenga Internet e ogni struttura di comunicazione, per fiaccarlo. E il veicolo del contagio sara’ proprio la moglie, passata dall’altra parte della barricata, un po’ perplessa dagli sviluppi inquietanti dell’intelligenza artificiale.

L’assalto dura una ventina di minuti e la macchina ormai in una fase illuminata decide di non combattere, ma di “trascendere gli assalitori” e finisce per spengersi. Non prima di aver creato una copia in carne e ossa di Johnny che mostra alla compagna ferita a morte come abbia fatto tutto per lei, per il suo sogno di disinquinare le acque, ripopolare i boschi, far cantare gli uccellini, cambiare il mondo e farne un paradiso. Ma per colpa del governo realista e dei terroristi luddisti amici suoi, paurosi di cio’ che non capiscono, tutto e’ finito.

Dunque salvarla collegandola a se’, quindi uploadare il virus e spengere tutto oppure lasciarla morire e vivere solo ? Sceglie la versione Romeo e Giulietta quantistici, ma con lieto fine: la loro coscienza sopravvivra’ non ho capito bene come nei fiori del giardino di casa loro, dove vivranno assieme per sempre in armonia col creato. Mentre tutto il resto del mondo e’ rimasto senza elettricita’ e vive abbarbonato e depresso. Ben gli sta.

Si tratta alla fine di una fiaba tecno/capitalista, le personalita’ geniali cambiano il mondo con le proprie idee, ma la societa’ non le capisce. La morale e’ dunque il contrario: capiamole, per dio e lasciamo agire questi sciamani, godiamo dei loro doni, poiche’ essi sono illuminati. I loro percorsi sono spesso oscuri, ma non dobbiamo temerli, solo fidarci. La scena del film con i poveracci in fila per avere il proprio impianto neurale ed essere collegati in rete, rimanda direttamente alle code all’uscita di ogni cazzata che produce la Apple. Non c’e’ scelta: o questo o la barbarie, oppure sei tu che non capisci il futuro.

L’altro film, che invece mi e’ abbastanza piaciuto, completa la visione di Transcendence, cioe’ spiega il vero volto degli aforismi di Steve Jobs.

The wolfie of wall street, e’ un film didascalico in parte, pieno di citazioni cinematografiche, ma capace di ricreare quell’atmosfera orgiastica che caratterizza i mercati finanziari. Il personaggio meno credibile di tutti e’ l’agente dell’FBI, ma d’altra parte non si puo’ mettere il pubblico americano di fronte al fatto che il loro sistema fa tutto schifo e non si salva niente, serve credere che ci siano degli eroi piccoli piccoli: persone che nonostante tutto non si fanno corrompere, e lavorano per tenere in piedi la baracca.

Comunque il ruolo della giustizia non e’ particolarmente esaltato, rimane sullo sfondo la posizione alla fine realistica che chi ha i soldi se la cava sempre, sacrificando magari affetti, amici, e costruendo una bella vita di merda, ma in ogni caso sopravvivendo a se’ stesso.

Scorsese e Di Caprio alla fine sono due ricconi americani intelligenti, se volessimo chiudere il cerchio dovremmo mettere sul piatto anche l’ultimo film di Cronenberg sulle miserie di Hollywood, e avremmo il quadro completo di un sogno americano da buttare finalmente nel cesso.

In questo film si comprende bene il senso della frase di Jobs “Don’t waste time living someone else’s life. Stay hungry. Stay Foolish” : una parata con tanto di banda e di majorette, seguita da circensi e spogliarelliste, attraversa l’ufficio dell’agenzia di broker messa in piedi dal protagonista. Sembra veramente di toccare con mano il non sense e l’esaltazione fatua nella quale prendono forma le visioni di persone come Jobs. Sottolineato ancor meglio nella scena del lancio del nano e dal brainstorming che lo precede: quattro manager discutono delle problematiche relative all’ingaggio di un nano con casco da lanciare verso un bersaglio a punti, come una freccetta umana per uno dei loro party motivazionali in ufficio.

Il capitale in qualche modo ha introiettato la critica al lavoro, come attivita’ necessariamente logorante e alienante e ha elaborato una propria soluzione per i pochi privilegiati che si dimostrino meritevoli: se sei abbastanza lupo affamato e disposto a mettere la tua realizzazione di fronte a tutti gli altri, puoi aspirare ad elevarti a posizioni lavorative in cui il tempo libero quasi si confonde col tempo del lavoro, in cui c’e’ spazio per ogni tipo di attivita’ ludica, comprese cocaina e scopate, ma puoi anche scegliere di essere piu’ zen di cosi’, o che ti accontenti del tavolo da ping pong in ufficio. E’ un tempo del lavoro in cui tutto sembra accellerato, ma gestibile e la vita si pregna di utili stampelle esistenziali basate sulla facile disponibilita’ di denaro. E’ il modello di un capitalismo orgiastico, complementare a quello costruito sulla fatica e il sacrificio.

Sembra di leggere il libercolo “L’abolizione del lavoro“, ma declinato nel senso del capitale. E’ vero che lavorare fa schifo, e la routine soffoca la tua immaginazione, ma non deve essere per forza cosi': c’e’ la Silicon Valley, c’e’ Wall Street, luna park dove potrai essere adolescente tutta la vita, e inseguire i tuoi sogni, nessuno ti strappera’ la tua creativita’, anzi potrai metterla a frutto. Fanculo a quei perdenti senza qualita’ che finiscono a lavorare nei fast food, tu vali molto di piu’, basta crederci.

Si tratta alla fine di trasformare un noioso lavoro da scrivania o tecnico/informatico in qualcosa che divenga a parole il surrogato di una rivoluzione, che non ribalta niente, ma anzi rafforza la realta’ cosi’ com’e': “because the ones how are crazy enough to think that they can change the world, are the ones who do”.

Fare qualcosa che e’ la semplice realizzazione del sistema capitalista, ma farlo come se fosse qualcosa di pazzerello, di anticonformista, di rivoluzionario, in cui il soggetto e l’oggetto sei sempre e soltanto tu.

Cio’ che conta e’ la tua realizzazione personale, il tuo percorso di vita che deve renderti felice, sei tu che cambi il mondo, sei tu che credi in qualcosa, non importa poi neppure cosa, la dimensione etica/morale e’ completamente estranea a questo tipo di ragionamento. Non c’e’ dimensione collettiva, se non per misurare il tuo successo: la tua visione si realizza, se hai la capacita’ di convincere anche gli altri a credervi e siamo tutti assieme in questa euforica bolla di sapone fin tanto che non saremo costretti a competere per realizzare le nostre aspirazioni, a scegliere tra la nostra sopravvivenza e quella dei compagni di bolla. E sceglieremo la nostra.

Perche’ cosi’ gira un mondo basato sulla competizione di donne e uomini affamati: e non c’e’ niente di bello in questo.

Quando Hobbes parlava di paura e di homo homini lupus, non descriveva lo stato di natura dell’umanita’, ma declinava la condizione della societa’ intorno a lui, e per giustificarla si e’ inventato questa scappatoia dello stato di natura, e bla bla bla. Maledetto Hobbes, devo segnarmi di andare a urinare anche sulla sua di lapide, nella parocchia di Ault Hucknall.

Le frasi di Jobs sono una sorta di bignami di pensiero neoliberale, minchiate new age, banalita’ da venditore di folletto, dette da un uomo che dall’alto delle sue montagne di dollari, costruite sul lavoro degli altri, poteva permettersi di filosofeggiare sulla morte e sulla vita, infarcendo il tutto con frasi sul modello di “va dove ti porta il cuore”, “fai quello che ti piace” e bla bla bla, come se tutto questo avesse veramente un senso. Come se cambiare il mondo volesse dire dare alle persone una cosa per telefonare, ascoltare musica e collegarsi ad Internet o bearsi di aver convinto cosi’ tanta gente che quell’oggetto rappresenti uno stile e una filosofia di vita e sia un loro desiderio/bisogno cosi’ irrinunciabile.

Triste no ? Il modello di vita intendo, non i singoli personaggi. Steve Jobs per fortuna ci ha lasciati e ora possiamo pisciargli sulla tomba, ma le maledette idee di cui era entusiasta testimonial, sono sempre qui a logarci l’esistenza.

Leggevo l’altro giorno su un numero di Internazionale che ora tra gli alti ranghi del management aziendale va di moda la responsabilizzazione. Manager, ingegneri e vertici della Porche per esempio organizzano conferenze con preti gesuiti che parlano loro degli errori della ricerca del profitto fine a se’ stesso, i costi umani della competizione, della coincidenza tra vita e lavoro, dell’importanza di non sacrificare la famiglia e gli affetti, ecc…

La purga dopo gli eccessi insomma, la terapia. L’austerity come stile di vita al tempo di Papa/a’ Francesco, nel protrarsi della crisi. Un ritorno alle origini, ora et labora.

Anche all’estero hanno scoperto i meeting di comunione e liberazione insomma. Il padre richiama all’ordine il figliolo scapestrato, e lo invita a responsabilizzarsi: diamoci un contegno, basta orge per un po’.