Era una fontana, con al centro la statua di un uomo con l'ombrello, intitolata Pluie. La fontana buttava acqua che ricadeva sulla statua, quella dell'uomo che si riparava con l'ombrello. Il suo autore veniva, infatti, da un paese piovoso e piatto, il Belgio, il Plat Pays di Jacques Brel. Sembrava avere un legame speciale con la città di Firenze: L'uomo della pioggia era stato un suo regalo, in occasione del Social Forum mondiale svoltosi nel novembre del 2002, quello immediatamente successivo a Genova, quello degli anatemi della celebre terrorista internazionale Oriana Fallaci, quello di José Bové che cucinava in piazza Santa Croce, quello cui non potei prendere parte perché, per la classica ironia del destino, in quel periodo abitavo proprio nel Plat Pays, a meno di cento chilometri da Uccle dove Jean-Michel Folon era nato.
Folon è morto il 20 ottobre 2005. Pochi mesi prima di morire, proprio a Firenze si era svolta la sua più grande mostra, intitolata Folon Firenze. Nel 2011, parte delle opere esposte sono state donate dalla moglie alla città di Firenze e collocate nel Giardino delle Rose, sotto il piazzale Michelangiolo. Oggi Firenze lo ripaga in questo modo; forse, chissà, l'avrebbe presa con ironia; non è dato poterlo dire. La città del suo legame speciale e della sua grande mostra si è occupata anche di polverizzare una sua opera.
Jean Michel Folon: L'uomo della pioggia (The Rainman) |
Da una parte il più tristo oscurantismo "religioso", o un qualche suo simulacro di sicuro effetto mediatico, che rade al suolo antichissime città come Nimrud e Hatra e altre testimonianze di civiltà passate che non si uniformano alle "interpretazioni" di alcune verità rivelate. Le quali verità rivelate, va naturalmente detto, hanno prodotto in ogni tempo fior d'opere d'arte, ma sempre con una certa tendenza a voler eliminare quelle di altre Rivelazioni o Soprannaturalità, passate di moda oppure contrapposte. In fin dei conti, gli attuali distruttori mesopotamici non fanno altro che rinverdire una tradizione secolare: l'annichilimento di simboli. I quali simboli, però, agli occhi di molti lo diventano solo al momento in cui se ne opera la distruzione; ad esempio, sono arciconvinto che il 99% di coloro che, oggi, si indignano per l'ennesimo crimine dei tagliagole del "Califfato", ignoravano fino all'altro ieri la semplice esistenza di Nimrud e di Hatra. Così come di quella data e antichissima moschea di Mossul, o dei Buddha di Bamyan in Afghanistan.
Un jihadista prende a mazzate Nimrud (Mesopotamia). |
Firenze (Italia). I resti della fontana dell'Uomo della Pioggia, appena distrutta da alcuni Discotechisti dell'ISIS (Imbecilli Sesquipedali In Servizio). |
Venendo alle identità, direi che in entrambi i casi si ha a che fare con le tante forme assunte dall'odio.
Odiano la storia e la bellezza i distruttori di Nimrud e di Hatra, così come la odiano i ragazzotti che escono dal parcheggio di una discoteca a centotrenta all'ora. Nel nome dello stesso odio, e della stessa idiozia, non si fermano davanti a niente. Coi loro bulldozer e con le loro macchinine alla moda. Sia che non bevano alcoolici perché glielo proibisce un profeta, sia che siano talmente gonfi di alcool da non vedere nemmeno una statua di tre metri davanti agli occhi.
Davanti ci può essere ogni cosa: città del XIII secolo avanti Cristo, statue di artisti belgi, cartelli stradali, persone. Ci fosse stata Nimrud nella rotonda fiorentina, o l'Uomo della Pioggia di Folon in Mesopotamia, sarebbe stato esattamente lo stesso. Il Califfato nient'altro è, in fondo, che una sanguinosa discoteca alla moda che attrae ragazzotti e ragazzotte, allo stesso modo in cui la discoteca alla moda attrae ragazzotti e ragazzotte che vanno a ammazzare (e si vanno a ammazzare) a migliaia, con cifre da guerra. E, naturalmente, a distruggere opere d'arte.