martedì 7 aprile 2015
Li possiamo totturàre?!?!....
E così, da oggi, sembra che l'assalto alla scuola Diaz possa essere chiamato ufficialmente tortura. Lo ha detto non mi ricordo quale Corte dell'Aja, Den Haag in olandese (anzi: neerlandese), forma cristallizzata di accusativo basso-tedesco. La quale Corte cristallizzata basso-tedesca ha ugualmente stabilito di dover censurare, anzi condannare, l'Italia per non aver mai introdotto, unica fra i paesi europei, il reato di tortura. Come dire: ci voleva la Corte dell'Aja per sancirlo. Il fatto è che i fatti sono due. Il primo è che, come è noto, la tortura in Italia non esiste. I torturatori, tipo il famoso professor De Tormentis (o Nicola Ciocia che dir si voglia) non si chiamano così, ma vanno sotto il nome di onesti e solerti funzionari, fedeli servitori dello Stato o, addirittura, di difensori della democrazia. Chi ha denunciato torture nelle questure, nelle caserme e nelle galere è stato per decenni delegittimato, messo a tacere e riprocessato per calunnia; l'Italia ha tuttora, nella sua legislazione, una forma di tortura articolata e applicata come il 41bis. E così via. Il secondo fatto è che la Corte dell'Aja, o Den Haag, non conta un cazzo. Sarà bene farlo presente visto che, oggi, parecchi sembrano quasi esultare per la sua "sentenza" relativa, si badi bene, non ai fatti di Genova nel loro complesso, ma a un singolo episodio, seppur particolarmente terrificante e, soprattutto, simbolico. Ma chi, disgraziatamente, in quei giorni di 14 anni fa era a Genova, sa bene quante ve ne siano state, di Diaz, e a ogni angolo di strada. Personalmente, la Diaz non sapevo nemmeno dove fosse, in quei giorni di merda. Non sono stato neppure vicino a piazza Alimonda, e di Carlo Giuliani ho saputo, come migliaia e migliaia di persone, da una radiolina che mi ero portato dietro da Livorno, dove abitavo allora. Eppure ho visto uno stillicidio di Diaz dovunque ho messo piede, e menomale che all'epoca avevo quattordici anni in meno e ancora ero capace di correre a gambe levate.
Però non voglio andare avanti. Avrebbe un senso, ora come ora, rimettersi a ricordare? Rifare tutta la trafila? Poiché ci sono stati, in quei giorni, tanti apostoli della loro generazione che se ne sono stati belli a casina loro a godersi lo spettacolo dalla televisione, dico che quei giorni di luglio sono stati semplicemente la tomba addirittura di due generazioni, la mia e quella dei ventenni di allora; sono cominciate allora le sabbie mobili nelle quali continuiamo a dibatterci. Vanno però dette alcune cose, almeno per evitare di fare gridolini semi-orgasmici alla sentenza di una "Corte internazionale" che esercita la sua riconosciuta specialità -vale a dire quella di scoprire l'acqua calda. La prima è che Stato e Tortura sono due cose inseparabili, e non importa che ci siano le Genove, le Diaz e i Bolzaneti. Lo Stato italiano, al pari di tutti gli altri, ha come suo compito primario quello di spazzare via e spezzare tutti coloro che, in qualche modo -organizzato, disorganizzato, velleitario, personale, collettivo o simil-tale- si oppongono in modalità che non rientrano nella cosiddetta legalità. E le forme di tortura non si limitano certo agli assalti e alle macellerie messicane. La seconda è che il retrogusto di contentino e di palliativo a buon mercato di simili sentenze altamente strombazzate è straordinariamente forte; prova ne sia l'indignazione che sembra pervadere persino Repubblica e RaiNews 24, tanto per fare due esempi.
Sembra quasi che la Diaz sia diventato un exemplum fictum, il paradigma della sospensione della democrazia, un'interruzione tra la democrazia che c'era prima e quella che è venuta dopo. Il buco nero, insomma. Bisognerebbe capire invece che la più piccola telecamera che si trova per la strada, una delle migliaia installate nelle nostre città, è già un indice preciso che la "democrazia" non è affatto sospesa, ma semplicemente non esiste. Che sei costantemente spiato e spiabile, tracciato e tracciabile, controllato e controllabile; e, naturalmente, all'occorrenza anche incarcerato e incarcerabile, denunciato e denunciabile, messo e mettibile a tacere, torturato e torturabile. Si prende la sentenza dell'Aja come mònito all' "Italia" per l'introduzione del reato di tortura, che splùnfa blobboso nei parlamenti e nelle commissioni dai tempi di Re Pipino. Quand'anche fosse introdotto, 'sto reato, si dovrebbe immaginare uno Stato che lo applichi e che dica: Ebbene sì, abbiamo torturato. Traduzione: siamo una democrazia e ci abbiamo la costituzione più bella del mondo, però abbiamo torturato e -why not- continueremo a farlo laddove risulti necessario. Tranquilli, però, che poi ci autocondanniamo. Nemmeno i maestri della fantascienza sarebbero capaci di concepire scenari del genere; hanno, casomai, concepito una delle nostre più intime essenze, quella di Idioti in Marcia (Marching Morons).
Li possiamo totturàre?!?!..., diceva un celebre Carosello. Ma certo che potete, coi vostri Perugini, i vostri dottori, i vostri Fioriolli, i vostri Gianfranchi Fini, i vostri Scajola, le vostre stanzette numerate, i vostri COISP, i vostri fascisti istituzionali, tutto quel che vi pare. L'Aja? Sembra una marca di polli. La prossima volta si vuole la Corte Internazionale Amadori. O quella del Galletto Amburghese Vallespluga. Saluti.