O forse, chissà, Berkin Elvan aveva preso al volo l'occasione di uscire a comprare il pane per andare a fare un po' di casino a Gezi Park e dintorni. Quelle manifestazioni che i sinistri di cui sopra vorrebbero sempre festose e colorate, e guai se diventano rivolte vere e proprie, e di quelle belle sode. E chi ce lo dice che il quindicenne Berkin Elvan non abbia buggerato la sua famigliuola di gente perbene, che magari aveva pure votato per Erdoğan? Sembra che tali ipotesi non le faccia nessuno, meglio concentrarsi su black bloc, infiltrazioni della polizia, provocazioni eccetera. Tutto l'armamentario. Ah, naturalmente la famosa foto che ritrae Berkin Elvan bardato da manifestante è per forza falsa e messa in circolazione dalla polizia stessa, e dai giornali asserviti. Un triste fotomontaggio per avvalorare la tesi ufficiale. E se, invece, fosse vera? Che succederebbe? Un quindicenne deve per forza morire di pane e di innocenza. Se è andato alla manifestazione per davvero, beh, allora se la è voluta; e questo è proibito. E' contrario ai dettami del Partito Delle Vittimine; gli stessi che, fra pochi giorni, rifesteggeranno il 25 aprile onorando la memoria, tra gli altri, di un bel numero di adolescenti che, verso il '43, non andarono affatto a comprare il pane.
In Turchia, nei giorni scorsi, è successa una cosa che ha fatto inorridire le anime belle del Partito Delle Vittimine. Un gruppo di lotta armata, il DHKP/C (vi risparmio di sciogliere la sigla turca), dopo mesi e mesi di invocazioni alla giustizia (non si sa nemmeno come si chiami il poliziotto che ha mandato in coma Berkin e lo ha ammazzato), ha deciso finalmente di applicarla un po', la giustizia, e nell'unico modo possibile per farlo capire bene. Dei militanti sono entrati dentro l'ufficio del magistrato che indagava (ahahahahaha!) sull'assassinio di stato del ragazzo -tale Mehmet Selim Kiraz- e lo hanno sequestrato puntandogli una bella pistola alla tempia. Sapendo con certezza che sarebbero morti, dato che sono terroristi e kamikaze; c'è un piccolo problema, però. Stavolta i terroristi e kamikaze ci avevano delle belle bandiere rosse con falce e martello. Non erano i soliti jihadisti che, diciamocelo francamente, sono parecchio rassicuranti, consueti, quasi coccolati. E è andata a finire, infatti, che sono morti; solo che ci ha rimesso le penne anche il magistrato, quello che "indagava". Non vi piace questa giustizia? Beh, sono ben lungi dallo stupirmene. A voi piacciono tanto i processi che mandano regolarmente assolti gli assassini in divisa, così poi potete raggiungere il picco delle geremiadi, delle lamentazioni, delle adorate indignazioni e, dulcis in fundo, la vera libidine orgasmica che vi anima: quella del "non rinunciare mai a ottenere giustizia". Fondamentalmente, quel che anima il Partito Delle Vittimine è l'autentica santità che attribuiscono all'essere presi per il culo. Quando si trovano davanti a una giustizia un po' più diretta e semplificatrice, apriti cielo; diventano allora, immediatamente, gli apostoli della repressione. E, naturalmente, le foto sono false. La tesi ufficiale da avvalorare non è più quella del quindicenne che ha deciso di lottare, ma quella della pagnotta-che-piange.
Come ultimo anello della catena, non possono naturalmente mancare le famiglie. La principale disgrazia di chi muore di polizia, certamente anche nei casi reali di morti innocenti, è, nella stragrande maggioranza dei casi, quella di avere padri, madri, fratelli, sorelle e nonni. Quelli che, a cadavere ancora caldo, già dichiarano di avere fiducia nella giustizia e nella magistratura. Ignoro, ad esempio, se il padre di Berkin Elvan abbia fatto una simile dichiarazione; fatto sta, quando è stato sequestrato il magistrato che si occupava di tenere ben nascosti gli assassini di suo figlio, non ha perso tempo a concepire il suo capolavoro, una frase che ha mandato in solluchero il Partito Delle Vittimine: "Noi vogliamo giustizia, non vogliamo altro sangue, non vogliamo che altre madri piangano".
Sono qui riuniti tutti i dogmi del Partito Delle Vittimine: la giustizia, la non-violenza e la famiglia. Non è dato sapere se ci credano veramente, compreso il padre di Berkin Elvan, oppure se siano costretti, o si sentano costretti, a dichiarare stronzate del genere; magari, chissà, il sig. Elvan -in privato a casa sua- ha pure esultato parecchio quando ha visto il magistrato Kiraz che non "indagava" più, ma che era diventato l'indagato; ma la frase giustizia-sangue-e-madripiàngano non poteva mancare. L'appello forte direttamente dal genitore della Povera Vittima. Poniamo che, mutatis mutandis, fosse fatto un giorno un bel servizietto ai poliziotti assassini di Federico Aldrovandi; si può mettere la mano sul fuoco che sua madre direbbe quasi immediatamente cose del genere (per poi magari fare, quando nessuno la vede, un bel brindisi). E la famosa sorella di Stefano Cucchi, che ha sperimentato benissimo la fiducia nella giustizia? Ma lasciamo perdere gli innocenti DOC e andiamo ai manifestanti, magari pure belli incazzati. La madre di Carlo Giuliani, per caso, la ha avuta giustizia? Direi mica tanta, anche se ne ha approfittato per andarsene, a un certo punto, nello stesso parlamento dove giravano i veri assassini di suo figlio, Gianfranco Fini e Claudio Scajola. Per carità, l'ho anche conosciuta di persona, e mi sta pure simpatica; ma chissà, se il 20 di luglio di quest'anno la rivedo a Genova un bel discorsino sulla giustizia e anche su Berkin Elvan glielo faccio pure. Però, chi diavolo la conosce la madre di Francesco Lorusso, ammesso che sia sempre viva? Eppure Lorusso mica era uscito a comprare un chilo di michette, l'11 marzo 1977 a Bologna. E il padre di Giannino Zibecchi, spiaccicato dagli autoblindo, che giustizia avrà avuto quando il grande magistrato-eroe Francesco Saverio Borrelli ha mandato assolti i carabinieri che lo avevano ammazzato? Rodolfo Boschi ce li avrà pure avuti dei genitori, e anche una moglie; beh, la giustizia è consistita nell'arrestare e mandare in galera tale Panichi, che non c'entrava nulla, mentre i due agenti in borghese che avevano fatto fuoco in via Nazionale il 18 aprile 1975 se la sono cavata alla grande. Essendo stato presente ai fatti in giovanissima età, posso pure garantirvi che le panetterie erano tutte chiuse (anche perché Boschi fu ammazzato a tarda sera). Per non parlare della giustizia riservata a Fausto e Iaio, o a Valerio Verbano.
Attualmente, i figli morti non hanno scampo. Dovendo assolvere alla loro unica funzione, quella di Vittime Simboliche, devono morire e stare pure zitti. Cosa che non fanno per niente le loro famiglie; chissà cosa sarebbe costato, al sig. Elvan, tacere. Non dico mica fare solforosi applausi ai sequestratori del magistrato e comparire in tv facendo hip hip hurrà; dico semplicemente tacere. Pratica che sarebbe raccomandabile in moltissimi casi del genere. I figli morti dovrebbero cercare di emanciparsi alla svelta dalle loro famiglie, e decidere da soli, con la loro stessa morte, il tipo di giustizia che desiderano. Con la loro stessa morte e col loro silenzio che urla. Cosa che sembra essere stata colta, in Turchia. Che vi piaccia o meno, un pochino di giustizia, Berkin Elvan la ha avuta, l'altro giorno. Non tutta, certo; ma si dovrà pur (r)incominciare.
[*] Della canzone circolavano, sembra, due versioni. La prima, quella comune, dice: "La violenza, la violenza, la violenza, la rivolta / Chi ha esitato questa volta lotterà con noi domani". Della versione alternativa sembrano non restare tracce; diceva "[...] Chi ha esitato questa volta non sarà con noi domani". (ndr)