Occupati da ragazze e ragazzi che conosco. Anarchici, ma probabilmente anche questa definizione sta stretta. Persone che, ancora in quest'anno 2009, non desiderano vivere immerse nella maggioranza. Ne parlo in tutta onestà e senza avere mai avuto, francamente, il coraggio (perché anche di coraggio si tratta) di vivere la loro scelta. Io sto scrivendo da un buco, ma un buco di mia proprietà, acquistato coi miei quattrini. Loro i quattrini non li riconoscono neppure. Per questo, ultimamente, faccio bene attenzione a usare le parole. Parole o non parole, questi ragazzi adesso non hanno un posto dove andare a dormire perché la sora ASL e il sor “Demanio” hanno deciso di “riappropriarsi” di quei due edifici che, come in decine di altri casi del genere, in realtà non servono loro a niente. Che hanno sgomberato, come l'Asilo di via Bolognese, perché potessero finalmente tornar parte della “legittima proprietà” da fare andare legittimamente allo sfacelo, vuota, spettrale, senza più vita. Persone come queste non sono semplicemente tollerate. Non devono esistere. Non è neppure questione di “occupare”, oramai, e neppure di non condividere o di criticare la loro scelta di vita: è questione di eliminare qualsiasi molecola di opposizione, e di sua testimonianza sulla propria pelle.
Ho frequentato quei due luoghi, seppure saltuariamente, seppure -lo riconosco in tutta onestà- come estraneo, come condivisore di princìpi senza però avere le palle per piantare ogni cosa e fare come loro. Se qualcuno di loro per caso leggesse questa cosa, è giusto che lo sappia. Al Panico ho messo piede fin da quando era ancora davvero in vicolo del Panico, in pieno centro, in un posto che -ovviamente- nella Disneyland di Lorsignori non poteva starci. Un bubbone da rimuovere, nello stesso quartiere (anzi, a due passi di numero) dal “Full Up” e dal “Colle Bereto”; sapete, quei due bei localini “trendy” recentemente chiusi perché trendyissimi centri di smistamento cocaina per ragazzotti coi SUV, calciatori ed altri signorini e signorine che per fare un solo cervello dal QdI di Forrest Gump ce ne vorrebbero almeno una quarantina. Quelli sono i posti che vanno bene nei “centri storici”, però. Al posto del Panico, che stava in un antico palazzo del mille e cazzocento, ci hanno sicuramente fatto “prestigiosi appartamenti”. Prima se ne sono andati a occupare una casa in piazza Ghiberti, proprio davanti alla “Nazione”, vuota da anni e rigorosamente sulla strada del crollo; sgomberata. Con la loro presenza, naturalmente, piazza Ghiberti era diventata una “polveriera”. Un vaffanculo e uno strattone dati a una guardia giurata si trasformavano, nelle pagine di quel giornale, in tentativi di omicidio. Il quartiere, va da sé, era “esasperato”. Falsità quotidiane, menzogne, bugie, frottole, disinformazione assurta a prassi obbligatoria. Sgombero. Naturalmente. Sgombero in nome, come dubitarne, del “degrado” e della “sicurezza”. Andate un po' a vederla ora, piazza Ghiberti. Cos'è diventata? Un parcheggio. Tutto diventa un parcheggio.
Vanno nell'area di San Salvi, occupano e una mattina d'inverno li sgomberano come se fossero i peggiori delinquenti di questo mondo. Inventano persino che “hanno armi e proiettili”: erano dei chiodi. Li sgomberano per far vedere al mondo che c'è la “tolleranza zero”; fatta l'operazioncina ben coperta dei “media”, i ragazzi aspettano due giorni e ci ritornano. Attività: sopravvivere senza cedere. Vivere nel modo che vogliono ed in cui credono. Una cosa, va da sé, pienamente sovversiva. Illegale. Ora bisogna vivere nella “legalità”, bisogna uniformarsi, bisogna andare al Colle Bereto; bisogna, per andarci mezza serata, indebitarsi fino al collo. Bisogna delegare. Bisogna vivere una vita da precari. Bisogna apparire quel che non si è. Stamani, sgomberati. Non so cosa accadrà, se torneranno, se andranno da qualche altra parte. “Non ci avrete mai”, gridavano. Ma a Lorsignori non interessa affatto di “avervi”: interessa che non abbiate modo alcun modo di essere insieme, di svolgere ed esprimere un'attività. Così come non interessa loro affatto la “destinazione” di quei luoghi da cui vi scacciano. L'importante è che non ci siate, che siate fantasmi. E' questo che non dovrete mai permettere, a costo di occupare una piazza. Ma sono del tutto certo che lo farete, quindi le mie sono parole ovvie.
La Riottosa. Era una costruzione che se ne stava lì da sessanta o settant'anni a marcire. Nessuno sapeva nemmeno cosa fosse o fosse stata, fino al giorno in cui è diventata uno squat. E uno squat che, con grandissima rabbia, gli abitanti della zona hanno mostrato in gran parte di accettare e di considerare come parte del proprio quartiere. Grazie alle iniziative, grazie al non rinchiudersi, grazie a decine di iniziative non fini a se stesse. Non solo l'edificio: anche i terreni circostanti un po' coltivati per procurarsi da mangiare (alla Riottosa sono rigorosamente “vegan”) in modo autosufficiente. L'edificio ristrutturato e consolidato con le proprie mani. La famosa “bruca” organizzata periodicamente per autofinanziarsi. Apriti cielo. All'improvviso, dopo decenni, il “Demanio” scopre di avere quella costruzione (persino di un qualche pregio architettonico) che stava tranquillamente lasciando andare in macerie. Qualche genio propone di installarvi la “biblioteca della Certosa”: i ragazzi rispondono sghignazzando che, trovandosi l'edificio in riva all'Ema e in una piana tra le più umide della città, tanto varrebbe, i preziosi libri dei fratacchioni, buttarli direttamente nel fiume. Costruiscono forni a legna per fare le pizze, non rompono le scatole a nessuno però, al tempo stesso, le rompono tanto. Perché legano con la gente, la quale vede che ci sono dei giovani che lo sono veramente, non come quei morti viventi dell' “Azione” che, beninteso, sono tra i più cagneschi fautori degli sgomberi e che non perdono occasione per farsi ridere addosso e, in qualche caso, anche di buscarne un sacco e una sporta da dei lavoratori di un negozio che se li vedono piombare a far le concioni in nome della “droga” proprio il giorno dopo la chiusura dei localini trendy dove si erano guardati bene dall'andare a pontificare (forse, chissà, perché li frequentano in gran copia).
Sgomberati. Anche la “Riottosa” cessa di esistere. Per quanto mi ricordo, una giovane coppia che ci viveva aveva avuto, poco tempo fa, un bambino. Ma vi rendete conto? Mettere al mondo un figlio alla Riottosa, a giocare con i gatti e i cani (ce ne erano di bellissimi), a vedere il babbo, la mamma e gli altri ragazzi a coltivare l'orto, e senza televisione. Con una marea di libri dentro. Senza Playstation, senza Facebook a quattro anni e Twitter a sei, senza battesimi in grande stile, senza vestitini alla moda. Assolutamente un delitto. I fantasmi che, addirittura, si riproducono. Fantasmi che non si lamentano che “c'è la crisi e non si va avanti” perché all'improvviso scoprono che non possono più permettersi, nella famigliuola, quattro macchine, due motorini, otto telefonini di dodicesima generazione, la settimanina bianca e il sabato nei locali da 55 euro a coctellino dove, però, si può avere tanta bella polverina bianca e magari si può incrociare il calciatore con la velina.
A tutta questa gente, a tutta questa città, a tutto questo mondo avrebbe fatto un gran bene passare non dico una vita, ma due mesi a Villa Panico o alla Riottosa. Forse magari qualcuno, a San Salvi o al Galluzzo, l'ha pure pensato. Ed è proprio per questo che, oggi, li sgomberano. E' questo il vero pericolo. Lo stesso per cui hanno sgomberato a suo tempo il CPA e l'Emerson. Lo stesso per cui, ognuno dal proprio buco e ognuno coi propri mezzi, è chiamato a non cedere. Sia detto da uno, e voglio ripeterlo, che messa questa cosa sul blog aprirà il proprio frigorifero e ne caverà un pezzo di pane e anche il companatico, e che andrà a dormire nel proprio letto. Da uno che non vuole passare per quello che non è. Da un semplice, saltuario, spesso incoerente compagno di strada. Da uno, però, che non ama il silenzio. Per nulla. Il silenzio che stasera regnerà a Villa Panico e alla Riottosa, a San Salvi e al Galluzzo, esattamente come un tempo regnò l'ordine a Varsavia.