venerdì 3 luglio 2009

Dio e il Culo


Una barcata d'anni fa, che forse sarebbe stato meglio non fossero mai arrivati, de' missionari nel nome d'un monodìo mediorientale sbarcarono agli antipodi. Ora, ci sarebbe da discutere sugli antipodi; sono sempre i nostri. Mai quelli loro. Noi non siamo mai gli antipodi di nessuno. Ci provò anni fa una casa editrice cartografica neozelandese a fare una mappa arrovesciata, con l'Antartide in cima e l'Artide in fondo. La misero pure in regalo sulla rivista “Internazionale” e me la ritrovai appiccicata in bagno a Friburgo. Strano destino.

Ora, questi missionari (quelli della famosa posizione, per intenderci) dovettero ritrovarsi a contatto con quelli che noi chiamiamo “Aborigeni”. Vuol dire “ab origine”, dall'origine: quelli che abitavano là fin dall'inizio dei tempi. Avevano colori strani, parlavano lingue che secoli dopo sarebbero state buone per le grammatiche descrittive della Mouton & Co. basate sui principi generativo-trasformazionali di Noam Chomsky -come quella della lingua Maung, ce l'ho- e, non essendo esseri umani, dovevano essere giustappunto umanizzati. Per umanizzare, in primis bisogna affibbiare l'iddìo giusto. Sonasega in quali soprannaturalaggini credessero, il dio sole, il dio canguro, il dio bruscolino nell'occhio, il dio pompino; affari loro. In ci si crede o non si crede è sempre affar nostro e basta. Portavano, probabilmente, orgogliosi astucci penici. Gli uomini. Le donne, boh, giravano gnude. O forse no. Magari ci faceva anche freddo. Magari si coprivano con pelli di skrungambongang, che non so cos'è ma suona bene. Oppure, ancor magari, resistevano al diaccio. Oppure sto, com'è assai più probabile, sparando un'enorme quantità di cazzate. Ci sta.

Si trovarono, que' volonterosi missionari inventori della posizione, di fronte ad un problema insormontabile. A parte la lingua. Ma vabbè, dai picchi'e mena la lingua la si impara; sennò come si fa a tradurci la Bibbia. Io ho inventato una lingua, fin da quand'ero bambino; si chiama kelartico. La so soltanto io, e per forza. Eppure sono convinto che, prima o poi, mi troverò la Bibbia tradotta anche in kelartico. E se non l'ho fatta io (Dio me ne guardi!), l'avrà fatta Iddio. Eh, lui non ci ha mica bisogno del Trados.

Ma dicevo del problema insormontabile. Davanti a degli esseri che per ogni cacata ci avevano un dio, bisognava instillare il principio -assai discutibile, invero, ma tant'è- che, invece, di dio ce ne fosse uno soltanto. Massiccio. Onnipresente. Giusto. Infallibile. Soprattutto paterno: tutti siamo suoi figli. Quei poveracci, anche di fronte al missionario viterbese che aveva imparato il Maung alla perfezione, cominciarono un po' a andare nei pazzi e un po', chissà, a pigliarlo per le mele. Figli di chi? È possibile che in quelle società primitive & comunitarie le donne avessero figli da chi cazzaccio pareva loro, c'era lo sciamano che sciamannava ogni cosa, l'unica istituzione era la caccia e tuttora, in alcune di quelle lingue, il conteggio arriva solo fino a cinque (però, in compenso, oltre al plurale e al duale c'è persino il triale). E che importa contare di più? Dieci sono due mani. Basta dire “due mani”. Volendo si può usare anche le dita dei piedi fino ad arrivare a venti, ma venti non serve. I soldi non c'erano.

Il missionario viterbese ci pensò un po'. Come spiegare che Dio era il “principio” di ogni cosa, il Creatore, l'Autore, il Titolare del Copyright, e ch'eravamo tutti fratelli (in quanto figli dello stesso padre) in attesa che i fratelli slavati estinguessero quelli più scuri? Insomma, come spiegare che Dio era il “fondamento” d'ogni cosa? Ebbe forse voglia di spiegarglielo in viterbese dalle parti di Vetralla, di dir loro ma vattel'a pijà...ecco! Il fondamento! Dio manda sempre l'idea giusta. Però non bisogna dirla in viterbese, ma in inglese. Cos'è la cosa concreta più vicina al fondamento? Il culo! Arse, in grafia propria, e ass in quella colloquiale. Antica parola germanica, come si evince dal tedesco Arsch. Vocabolario essenziale e popolare non toccato dall'élite normanna infranciosata.

Sembra che la cosa, come racconta Alessandro Bausani nel suo seminale volume Le lingue inventate, edizioni Ubaldini-Astrolabio, 1974, abbia funzionato. L'abborìggeno comprese in modo inequivocabile: Dio era il culo, e il culo era Dio. Tutto promana dal Culo. Siamo tutti figli del Culo. Essendo un concetto nuovo, fu naturale che il termine usato dal missionario fosse adottato di sana pianta per esprimerlo: noi abbiamo preso loro il canguro (che vorrebbe dire, più o meno, “so una sega io”) e loro ci hanno preso il culo. “Dio”, in Maung, o in chissà quale altra lingua di quelle parti, si dice Ass. E le vie del Signore sono davvero infinite. Non c'è scampo. O forse sì, perché a quel punto -fatto il più- il missionario avrà dovuto spiegare a quella gente che c'era una tizia che era rimasta vergine pur essendo incinta; e siccome suo figlio era Dio, era incinta del Culo. Mi fermo qui. Ho una certa qual tendenza al grand-guignol, ma ho pur sempre dei limiti. Ad esagerare, poi, si finisce sempre per pigliarlo nel Dio.