venerdì 4 settembre 2009

Settembre andiamo


Settembre andiamo, è tempo di migrare. Settembre poi verrà, ma senza sole. September morn. Settembre nero. Settembre è il mese dei ripensamenti. Settembre di qui e settembre di là; che mese, madonna. Arrivati a settembre, tutti ci hanno da andare, da rimpiangere, da annerire e da ripensare; devo dire che, in passato, anche il sottoscritto ci si è volentieri lasciato andare, alle settembràggini. Coadiuvato dal non indifferente fatto di esserci pure nato, in settembre; ed anche, why not, dall'ennesimo “must” telematico rappresentato da questo mese. Un po' come il “congedo estivo”, un po' come l' “anniversario del blog”, un po' come tutti questi appuntamenti fissi che, mentre li si scrive, si scuote il capo con una specie di sorriso. Una specie, chiaramente.

Oggi mi sono accorto che è tornato il traffico, in città. Si fa alla svelta, a disabituarcisi; si rivedono gli ingorghi celermente dimenticati, i tappi ai semafori cruciali, le battaglie per il parcheggio davanti al Penny Market. Vado, da un po', a questo discount che vide, qualche anno fa, un efferato fatto di sangue (colonnello Kurtz, ebbene sì, fu efferato!). Un bischero di dipendente, padre di famiglia con la passione del videopoker e altri giochini del genere, essendosi del tutto rovinato pensò bene di vuotare la cassa, alle sette di mattina. Fu beccato in pieno dalla direttrice, la quale si ritrovò intrasatt' spedita all'altro mondo, poveraccia. E il padre di famiglia all'ergastolo, per la somma di euro quattromila. Famiglie, soldacci miseri, periferie. Ma accadde, se ben mi ricordo, in dicembre. Non c'entra con settembre, ma m'era venuto a mente; oggi, mentre facevo una copiosa spesa (ivi compresa la vodka Janoka, purissima vodka piemontese), guardavo leggermente trasognato. È un'espressione che, almeno mi hanno detto, ho abbastanza spesso. Non lo so nemmeno io, poi, cosa trasogno.

Però è un settembre a modo suo, questo. Prima di tutto non ho da fare nessun ripensamento; oramai ho ripensato ad ogni cosa o quasi, e mi sono, come dire, fracassato gli scroti. Sembra che quando arriva 'sto settembre del cavolo, il mio aumenta-anni, occorra per forza dedicare mezza giornata ai bilanci. Mi ha fatto piacere invece, oggi, proprio quando 'sto pensierino stava per comparire classicamente, dedicarlo alla bilancia. Quella per pesare le banane, che mi fanno tanto bene ai crampi. E i pomodori. E cosa vuoi ripensare, benedetto figliuolo; oramai la tua vita te la sei scelta, hai seminato il tuo bene e il tuo male, ci son persone che ti vogliono bene e altre che non te ne vogliono, e festa finita. Si tira avanti a pesare banane, che è decisamente meglio; fallere nostra vetant et falli pondera, mecque pondero cum ponderat ipse Deus. Curioso che una delle "frasi della mia vita" sia un invito fatto a dei mercanti a pesare bene la merce. La lessi, tanti anni fa, sulla facciata del palazzo Sponsa, a Ragusa. Ma non quella siciliana; la Ragusa dalmata, Dubrovnik. Non me la sono più scordata. Non ho pesato quasi mai bene. Ora, forse, un po' ho imparato.

Mi spiace che sia settembre, perché in fondo sa essere un bel mese. Per ventuno giorni è ancora estate. Però si comincia a pensare che sta per finire, e io detesto che finisca l'estate. Più passa il tempo, e più divento metereopatico; sarà un segno di vecchiaia, chissà. Non me ne frega praticamente più niente di niente, a parte quattro o cinque cose di cui mi frega sempre di più. Sul tavolino d'un bar ci sono i giornali; tiene banco una buffa vicenda di giornalisti, di veline, di chiese. Una ragazza non c'è più per colpa d'un tizio che andava, in moto, a cinquemila all'ora; avverto il vuoto che ha lasciato in tante persone. O, forse, sono i vuoti che domandano, che esigono di essere colmati. In qualche modo. Altro che dieci domande; questa è una sola, fondamentale, carogna. Il mio problema è che, in faccia e in culo a tutto e a tutti, non mi avverto dentro nessun vuoto. Mi accontento di poco, ma quel poco è tutto. Senza tirare in ballo né la “felicità”, né l' “infelicità”. Ogni giorno, ultimamente, mi viene un gatto in casa. Non è mio, ma di una vicina; però casa mia è aperta, anzi spalancata. Arriva, si fa i suoi disastri (quando lo trovo dentro il cestello della lavatrice, quando addirittura dentro il forno a microonde), due coccole e poi mi si mette a dormire sul letto.

Che vada il mondo e che vadano i suoi andatori. Vadano le loro storie, le loro illusioni e delusioni, le loro rabbie. Vadano anche le loro musiche e tutto il resto. I loro mestieri, i loro amori, le loro facce. Io me ne resto qui a settembrare di settembre, e penso anche che ottobrerò d'ottobre. Scoppierà un giorno la famosa rivoluzione, ma nel frattempo devo far bene attenzione a non scoppiare io. Sennò che cazzo aspetto a fare. Condurrò, allora, un gigantesco corteo che percorrerà ben tutta via dell'Argingrosso, ma credo che mi fermerò all'angolo con via dell'Isolotto. Lo so che la rivoluzione non è un pranzo di gala, ma ho conosciuto troppe persone che me l'hanno servita in insipidi crackers, o in merendine preconfezionate.

Ora fo di testa mia, e basta. Rivoluziono un cortile, con un gatto e una porta sempre aperta, anche di notte. Intanto cammino senza paure. Intanto ho tirato un calcio in culo alle sicurezze, e di quelli tirati bene. E può pure venire settembre, andandosi però a farsi ripensare altrove. Oggi è venerdì; ho altro cui pensare. Gira la pala del ventilatore. Le diciannove e ventiquattro. La birra in frigo, ma bisogna aspettare che diacci un po'. La vodka Janoka. E qualcosa di sospeso cui non è bene dare eccessiva importanza. Tanto, prima o poi, cade giù. Tanto, prima o poi, con tutto e con tutti si fanno i conti. Cum ponderat ipse Deus.