lunedì 12 aprile 2010

Gasolio


Non si può dire che la notizia non sia stata data; anzi, la hanno riportata, più o meno, tutti i giornali. Al tempo stesso, è una non-notizia. È qualcosa che, oramai, viaggia sulla linea di confine, o sul baratro, della banale normalità. Non serve a niente. Non suscita. Non provoca interrogazioni né a un parlamento, né alla propria coscienza. È un fatto. Cose che accadono.

In provincia di Frosinone c'è un uomo che lavora, al nero, in un'autorimessa. Si chiama Ivan Misu. È un uomo, un essere umano, che il destino ha fatto nascere in un dato paese; il paese si chiama "Romania". Si può prendersela forse con la sorte, che ti fa nascere in un posto invece che in un altro? Dev'essere, peraltro, la stessa sorte che, un dato giorno di una data vita, fa scappare via dal paese dove si è nati. La stessa sorte che ti fa approdare in un posto chiamato Piedimonte San Germano, e che ti ci fa approdare per morire.

Lo so che sbaglio a chiamare troppo in causa la sorte, perché in realtà -in questa storia come in parecchie altre- al destino non possono essere affibbiate gratuitamente troppe colpe. Quello che nei resoconti giornalistici viene chiamato titolare, tale Vincenzo Nappi, e che io invece chiamerò padrone, ad un certo punto crede di accorgersi che colui che gli stessi resoconti giornalistici chiamano lavoratore al nero, e che io invece chiamerò schiavo, gli ha rubato due litri di gasolio, prendendoli dal camion della ditta.

Le parole sono, a mio parere, importanti. Importanti, e che chiedono di essere liberate da ogni sorta di eufemismo, di squallido understatement. Padrone e schiavo. Il padrone ha diritto di vita e di morte sullo schiavo: ce lo dicono, fin dalle scuole elementari, quando ci spiegano quanto sono lontane l'antica Roma e gli stati del Sud. La schiavitù, ci dicono, non esiste più. È stata abolita. La sua eliminazione è stata, continuano a dirci, un frutto del progresso e della civiltà. Bisognerebbe però, ora, andare a raccontare tutto questo ai parenti di Ivan Misu.

Poiché lo schiavo Ivan Misu ha rubato due litri di gasolio del padrone, merita la morte. Anzi, no: merita la morte dopo essere stato torturato. Il padrone lo fa sequestrare da alcune persone che i resoconti giornalistici chiamano complici, e che io invece chiamerò scagnozzi, picciotti o come vi pare, i quali lo seviziano tagliandogli un orecchio. Lo portano poi nelle campagne di Avellino e lo ammazzano. Poi sciolgono il suo cadavere nell'acido. Tutto questo accade nel 2007. Lo schiavo, che è una cosa nelle mani del padrone, non esiste più.

La sorella dello schiavo vuole sapere che fine ha fatto il fratello. Insiste, non molla. Alla fine, certo, il padrone viene arrestato e messo in galera: che gran trionfo della giustizia. Ma chissà se alle orecchie della sorella di Ivan Misu arrivano i commenti della gente; quella nei bar, nei negozi, per la strada. Quella che, in fondo in fondo, il Nappi padrone mica ha fatto male. Un maledetto ladro in meno, e così impara a rubare. I caldi deschi della sera, le cene familiari, la pastasciutta col sugo fatto dalla mamma e la tivvù che gracchia, per quindici secondi, la notizia. Il capofamiglia che sentenzia, con la forchetta in mano, che ce n'è uno in meno.

Non vorrei nemmeno più mettere la questione su immigrazioni, italiani, rumeni o quant'altro. Non ne vale nemmeno più la pena. La questione è che oramai si vede come perfettamente normale che il lavoro sia tornato all'elementare e primitiva sua natura di schiavitù, di tripalium. Normale e perfettamente comprensibile. Si dà la notizia perché è una specie di obbligo cronachistico, ma anche se non la si desse sarebbe lo stesso. Le coscienze, anch'esse, sono entrate in regime di servaggio. Sembra che l'unico protagonista degno di nota di questa vicenda sia il gasolio, l'unica cosa che la farà ricordare per cinque minuti, ciò il cui furto può far decretare giusta ed approvata morte anche dal consiglio del barbiere e della famiglia a cena. Si ripristini a questo punto, ufficialmente, la schiavitù. Si faccia piazza pulita dei Lincoln e di tutti quanti.

Gasolio. Mi viene a mente il Petrolio di uno che aveva previsto con esattezza in quale direzione saremmo andati. Ci son passati sopra, una notte di novembre, sul suo cadavere, con le ruote di una macchina.