Quando arriva la telefonata da Prato, accendo la macchina, parto e mi metto a sognare qualcosa. I sogni ad occhi aperti mentre guido sono tra i miei passatempi preferiti, da sempre; la fantasia e il desiderio, evidentemente, mi si coniugano bene con l'andare in macchina. Il rumore del motore, i gesti del cambio di marcia, il pigiare dei pedali scatenano il subliminale. Così, all'improvviso, fatti pochi metri per via dell'Argingrosso, mi sono messo a fucilare leghisti; ed ho provato una celestiale serenità nella sera d'aprile, per tutto quel percorso che mi è più che consueto.
All'incrocio tra via dell'Argingrosso e via Torcicoda, ho cominciato con Castelli. Avete presente l'ex ministro della giustizia, quello con quella faccetta da professorino di applicazioni tecniche nella scuola media unificata? L'immagine mi è venuta all'improvviso. Un'ordinaria fucilazione in un posto qualsiasi, come più si confà ad un anonimo personaggio del genere. Una breve scarica nella schiena, senza nemmeno aspettare che il prete si scansi; tanto, un prete che va a confessare un Castelli magari assolvendolo pure, non merita così tante premure. E quell'immagine mi è garbata così tanto, mi è parsa talmente consolatoria, che ho voluto continuare, assaporandomi la Diana Blé con un sorriso stampato sul viso.
All'incrocio tra via Torcicoda e il viale delle Magnolie, la cosa si è fatta ancor più interessante. Ho fucilato Maroni davanti al quartier generale di via Bellerio, a Milano, servendomi di un plotone di extracomunitari misti e facendo comandare l'esecuzione a un Rom, nella sua antichissima lingua. Ho capito soltanto jag! (che penso significhi fuoco!), mentre vedevo afflosciarsi quei baffettini brizzolati e quei labbruzzi ministeriali. A mo' di scherno, mentre il palazzo di via Bellerio ardeva in un rogo purificatore, dei giovani sventolavano in faccia al fucilando gli emblemi di Democrazia Proletaria, formazione politica di cui il Maroni aveva fatto parte in gioventù.
Mi aspettava il complicato attraversamento della tramvia in piazza Pompeo Batoni. Un doppio semaforo che, a certe ore, è un'apocalisse. A quell'ora serale va certamente un po' meglio, però se si becca il rosso c'è da aspettare comunque un bel po'; e si dà il caso che abbia incocciato proprio un rosso. Quale migliore occasione per fucilare Calderoli? Mi son visto la scena nei minimi particolari: gli viene fatta indossare prima la famosa maglietta con le vignette danesi anti-Maometto, e poi viene legato a un palo davanti a un plotone formato da integerrimi fedeli musulmani. Costoro, naturalmente, non sparerebbero mai ad un'immagine del Profeta, seppure addosso ad uno spregevole personaggio come colui che la indossa; i fucili sono quindi caricati a salve. Ma basta il rumore. Calderoli, tremante, si affloscia colpito da un attacco cardiaco, come il cavallo in Animal House. Nel contempo, si diffonde un cospicuo puzzo di merda; a questa immagine è scattato finalmente il verde, e il mio animo sfiorava oramai l'esaltazione.
Sono arrivato in piazza Pier Vettori, dove casualmente si trova la sede fiorentina della Lega Nord. Lì, come sempre, ho sbagliato strada. Siccome, per andare a lavorare, tiro a destra e poi proseguo per il primissimo tratto di via Pisana fino a Porta San Frediano, mi son ritrovato a dover fare mente locale e girare invece a sinistra per via del Ponte Sospeso e il Ponte alla Vittoria. In vista del ponte, approfittando di un breve rallentamento, ho fucilato Borghezio. In un tripudio di bandiere rosse, dentro un campo sportivo, con il debordante e flaccido condannato trascinato da una serie di ragazzotte di qualche centro sociale che gli urlavano ma quanto sei brutto, dé! Poi la scarica che mette fine alla sciagurata esistenza di quel nazista, e un camion che ne porta via il cadavere per darlo in pasto a un paio di leoni di bocca buona dello zoo di Pistoia.
Al semaforo tra il viale Fratelli Rosselli e via Alamanni, anch'esso costantemente rosso, c'è stato un intoppo. Mi è venuto da fucilare Magdi Cristiano Allam. Mi son detto: Ma cavolo, quello mica è leghista! Però, oramai, la frittata era fatta. Il plotone, formato da Miguel Martínez, Io Non Sto Con Oriana ed altri tipacci del genere, era stato già approntato. Con occhi luciferini, i fucilieri inquadravano l'orante ex-vicedirettore del Curierul Serii, che si apprestava finalmente a dover fare i conti con quei suoi due dèi del cazzo che peraltro aveva fino ad allora preso entrambi per i fondelli a suo tornaconto. Un'espressione comunque abilmente studiata, in modo che il prossimo papa Giampaolo Benedetto I lo inserisse celermente nel novero de' martiri e de' beati. Un santino già pronto. Un instant book già scritto sul suo sacrifizio. Bang! E il Martínez che, con fare discretto, si avvicina sorridente a pisciare sul suo cadavere.
Alla fine, eccomi alla svolta per via Valfonda. È una svolta che non tutti possono compiere, essendo una corsia preferenziale; ma con lo scassato automezzo che mi è dato in dotazione, posso farlo. Tale privilegio dev'essere in qualche modo sottolineato: ed in quel momento, ho preso la grave decisione di fucilare il Gran Capo in persona. Quello che ce l'ha duro (splòp, splòp). Fucilato rigorosamente con pallottole provenienti dalle riserve della Val Brembana, e con in mano il diploma della Scuola Radio Elettra. Senza grandi preamboli. Da spedire immediatamente nell'eternità. Perché gli è inutile fare: attualmente siamo in mano a queste persone. Sono questi qui che decidono. Sono questi qui che hanno il popolo dalla loro parte. E allora sono, finalmente, arrivato alla stazione centrale.
Sono sceso davanti al giornalaio, ancora aperto, dove è possibile oramai acquistare La Padania. A Firenze. E magari c'è persino chi la compra. Guardavo l'orrenda pensilina di Toraldo Di Francia. Avevo, anche, negli occhi le file di disgraziati, di derelitti, di homeless che fino a qualche mese prima dormivano tutte le notti, coperti di cartone, fuori dall'ingresso della stazione: sloggiati da una giunta di sinistra. Disturbavano. Degradavano. Avevo negli occhi tutto lo sfacelo che mi è stato dato di vedere negli ultimi trent'anni. E avrei voluto continuare a fucilare.
"Tagatroum" è parola decrepita. Proviene dall'idioma alto tedesco antico, che ha dato il termine moderno "Tagtraum". Corrisponde perfettamente all'inglese "Daydream". L'ho tirata fuori da un mio passato, oramai lontano, oramai finito. Il Longobardo, con tutta probabilità, era un dialetto di quella lingua. In irlandese si dice "Aisling". In bretone, "Marsoñj".