Mi è stata data, finalmente, una settimana di ferie. E, lunedì mattina, me ne vado all'Elba. È inutile fare: non mi piace veramente andare altro che là. È l'unico posto al mondo per il quale, in procinto di partire, non sto nella pelle. Ci vo in treno; avrei avuto una macchina a disposizione, e persino con la traversata gratis. Ma non me ne importa niente: mi piace troppo ritrovarmi prima delle sei di mattina a prendere la "Freccia" alla stazione, osservarmi partire, giocare a dove incomincia l'isola. Comincia alla stazione di Empoli? O a Pontedera? Chi lo sa. Comincia dove mi va che cominci; quando poi, da Piombino, la nave si stacca dal molo e passa il promontorio di piazza Bovio, appare. Persino nelle giornate di foschia densa, quando la si vede a fatica: appare perché c'è. Ed è sempre la stessa cosa, che non ho mai saputo definire. Nessun altro posto al mondo mi fa provare le stesse cose. Andare sul ponte del traghetto, la sigaretta, e guardare. Guardare finché non senti precisamente che lo sguardo è reciproco: tu guardi l'isola, l'isola guarda te. È questo il momento che aspetto fin da quando parte il treno; un avvicinamento graduale sapendo che, ad un certo punto, sarà così. Fino all'ultima volta. Ci dovrà pur essere, un giorno, un'ultima volta; ma non lo saprò, a meno di non avere la coscienza di andarci a morire, o di partirvi per morire altrove.
In barca, ecco. L'ho sempre detto. Nelle mia vita ho avuto delle vicende, a volte strane. Mi sono ritrovato in dei posti che non avrei mai immaginato, e mi sono ingegnato per mettere in campo la curiosità, la voglia di conoscere e di immedesimarmi: ma stavo in barca. Senza di lei, non avrei mai avuto nessuna curiosità, nessuna voglia; ed è una barca che non potrà avere mai nessuno, nemmeno il più ricco degli sceicchi, nemmeno lo stramiliardario americano, nemmeno il sultano del Brunei. Ho un'isola intera come barca, e con quella barca ho attraversato ogni cosa. Mi ci sono immaginato, in certe situazioni, addirittura a cavalcioni, con due remi. Vogare. Andare. Una notte in cui mi avevano portato, assieme ad altre persone che non conoscevo affatto, in un bosco lontanissimo a camminare e ad ascoltare le civette e gli altri animali, stavo remando sull'Elba; e mi convincevo che in ogni fruscio, in ogni verso, in ogni ululato di quella notte stranamente tiepida e chiara nonostante la stagione e la latitudine, l'isola mi portasse. Così come in un treno, un'altra volta, che correva in direzione contraria. Così come quando mi facevano salire su alte montagne da cui si vedeva un grande lago che mi magnificavano, perché era magnifico davvero; ma pensavo a quando, arrivati su al Monumento per la strada che da Campo va a Lacona, i tre golfi sembrano tre laghi. C'è un punto millimetrico. Se vai appena avanti si vede che sono tre spazi aperti sul mare, ma in quel punto sembrano tre laghi paralleli. E quante volte li avrò visti; ma non li vedrò mai abbastanza.
E arriverò, con la corriera, a Marina di Campo. Mi farò a piedi, con lo zaino e una borsa, la strada di casa. Sulla barca ci sono tutti, specialmente quelli che non ci sono più. Mentre camminerò, penserò a quando li salutavo quasi in sequenza fissa. A T., che di lavoro faceva il mugnaio, che chissà perché mi chiamava Napoletano. Mi vedeva e me lo urlava: Napoletanooooo!....; e io che non gliene ho mai chiesto il perché. Si vede che per lui ero napoletano. A tanti altri, a tante altre. Alla mia età si incomincia a rendersi conto di quante persone ti son passate davanti agli occhi, ed a volerle fermare in qualche modo. Comincia tutto a sfumare. Simpatie, antipatie, bellezze, gioie, rancori, bicchieri di vino, bombole di gas, napoletani. Sfumare sì, ma in un modo contrario alla nebulosità: è uno sfumare che trasforma il ricordo in presenza.
Non sono mai stato un barcaiolo geloso della propria barca. Ci ho fatto salire sopra non so più neanche io quante persone. Chi ha voluto, vuole e vorrà avere a che fare con me, prima o poi ci è salito o ci salirà sopra; poi sbarchi dove e quando vuole. Mi cancelli pure, dica di volermi dimenticare; ma, intanto, un pezzo di mare su quella barca l'ha fatto insieme a me. Si sarà forse, senza dirmi niente, accorto di quel momento in cui io la guardo e lei mi guarda: chissà se un pensiero gli avrà attraversato la mente. Chissà se ha percepito che, qualsiasi cosa mi accada, davanti a Nisportino mi succede qualcosa che non mi riuscirà mai chiamare con un nome. Ma son soltanto dei chissà.
Quel che invece so, è che già scrivendo queste cose il viaggio ha avuto inizio. E che ci sarà, al ritorno, nello stesso identico punto, lo stacco. Non mi volto mai indietro. Se ci dovrà essere un'ultima volta, che sia lì. Che, se ne avrò esatta percezione, io abbia il coraggio -che non avrò mai- di buttarmi in mare. Intanto la barca va, e ci son sempre sopra. Spinta dai quattro venti, che mi piglio tutti addosso, assieme agli spruzzi, ai versi dei gabbiani, alle mostruose paure dell'abisso, alle risate del sole a picco o del fortunale, alle voci ed agli occhi di chiunque mi abbia conosciuto, ed ai sogni che solo là sanno prendere forma.
Inutile cercare di portarmi in altri posti. Invitarmi in remote contrade dai nomi esotici. Al massimo, nella Corsica surella, che è un'Elbona là davanti. Sembra a volte di toccarla, da Pomonte o Chiessi. Si addesa il letto da tutte e due le parti, ed è una parola che mi ricorda il letto col materasso di paglia che c'era nella mia camera, da bambino. Una parola invernale, di stufe, di scaldini, di coperte, di sonni profondi e silenziosi. Deriva dal latino addensare. La mattina, si addensa il letto per la notte dopo, perché dovrà avvolgere te e i tuoi sogni.