martedì 7 giugno 2011

Rostri


Sovente, come sovente volavano
gli albatri di Baudelaire sulle navi,
davanti ad un cancello chiuso
mi capita di desiderare rostri.
Nel senso antico di antichi
oggetti d'offesa
e ancora una volta
il pensiero va alle navi,
alle battaglie ed agli annali;
eppure sono solo davanti
al cancello di una clinica
privata, o privatizzata.
Ci sono con un'ambulanza perlopiù scassata,
grave di chilometri e di scalfitture;
a bordo, una persona perlopiù scassata,
grave di età e di menomazioni.

E quel cancello non si apre
con mille pretesti;
mi tocca fare giri spingendo una barella,
oppure incazzarmi come una iena
con una voce che viene da un citofono;
mi tocca ricordarle che i sacri precetti
fornitile da un padrone che neanche mai vede
non sono niente.

Che apra quel cazzo di cancello
perché sopra ho una persona che sta male.
Che apra quella minchia di cancello
perché bisogna fare quella visita
strapagata
e strapagata perché
nelle strutture pubbliche occorre attendere mesi,
e attendere mesi significa sovente
(sovente come gli albatri di Baudelaire)
dar campo libero alla morte.
E il cancello non si apre;
il cortile è riservato al personale,
oppure il cortile non è riservato a nessuno
ma il cancello quella voce
non te lo apre lo stesso.
Tipo una famosa clinica del centro di Firenze,
proprio quella dove andò a morire la Fallaci,
che ti fa parcheggiare l'ambulanza
a un chilometro di distanza,
e trascinare la barella magari mentre piove,
coprendo una novantacinquenne con l'ombrello
dopo che è stata tirata via dal letto
perché quelle visite non si possono fare a domicilio
(e poi, anche quelle che a domicilio
potrebbero essere fatte
non le fanno.)

E così, qualche giorno fa
vicino a casa mia, all'Isolotto,
viene respinta un'ambulanza ad un cancello.
Una RSA, erre esse a,
che vorrà dire forse
Residenza Sanitaria Assistita,
e si assiste infatti
ad un piccolo e banale episodio che
come tutti gli episodi piccoli e banali
dà la misura esatta
di quel che accade in una società abdicante.

La struttura, un tempo, era pubblica,
di proprietà e gestione comunale;
poi, all'improvviso
viene ceduta, anzi, come si dice, alienata.
Comuni diventati aziende,
investimenti e capitalizzazioni,
servizi primari dati in appalto e in gestione,
lucro con false promesse
di efficienza;
e intanto avanza la disumanità,
intanto cammina a gran passi
la trasformazione dei diritti in costosi optionals.
E la Residenza Assistita
dove vegetano vite umane prossime ad una fine
sconciate da decubiti, da bave,
da demenze e dal trascinarsi fino a una morte
che è stata resa oggetto di guadagno,
viene venduta a una cooperativa di Vercelli;
e la cooperativa di Vercelli,
per tenere una persona che
nella maggior parte dei casi
non sa nemmeno più d'essere tale,
chiede
milleottocento euro al mese.

Milleottocento euro al mese
sono, ora come ora, uno stipendio
ragguardevole;
milleottocento euro
che sono il fallimento di ogni cosa.
Fallimento di una società intera,
fallimento della falsa onnipotenza familista,
fallimento di solidarietà tanto invocate
e mai messe in atto,
fallimento di un sistema,
fallimento delle ciance decisioniste,
fallimento che invocherebbe quotidiana
ribellione senza quartiere.
Lei è una novantenne cui il figlio
non può più pagare la retta mensile;
e il figlio non è certo un nullatenente, un disgraziato,
bensì un medico.
Neppure un professionista riesce più
a svenarsi per tenere la madre
in una residenza assistita privata
dove ha dovuto metterla
perché in quelle pubbliche non c'è più posto.
E così nascono normali contenziosi,
come per una bagnarola lasciata dal meccanico,
come per un oggetto qualsiasi;
perché la madre novantenne è un oggetto qualsiasi,
è oggetto di relazioni monetarie
e non d'altro.

Una mattina, l'anziana donna
viene trasportata a un ospedale
per un codice verde;
al ritorno trova il cancello chiuso.
L'ambulanza non la fanno entrare.
Hanno approfittato, quelli della cooperativa di Vercelli,
per regolare i conti.
Niente retta mensile, e la signora
può benissimo essere lasciata per la strada
a bordo di un'ambulanza davanti a un cancello chiuso.
Oppure, perché no, su un marciapiede.
Se ne occupi il figlio che non può più pagare
perché il mercato funziona così,
senza differenza tra una vita che si spegne
e una batteria scarica.

E non c'è nulla da fare:
non valgono le proteste
né l'intervento dei carabinieri.
E la signora deve essere
riaccompagnata in ospedale;
da dove, a breve, la dimetteranno
perché anche gli ospedali sono aziende,
perché per una vita del genere non c'è posto
da nessuna parte,
perché una vita del genere non serve,
è superflua,
e per le cose superflue bisogna pagare caro.
Tranne quelle
che quotidianamente ti vengono imposte.
E, allora, rostri.

Rostri, speroni, mazze ferrate,
arieti, grimaldelli,
e una piccola bocca di fuoco
da dirigere ad alzo zero sul cancello.
Sia dato tutto questo in dotazione
alle autoambulanze,
e lo sia dato per servirsene.
Davanti al cancello chiuso, poche storie:
non aprite? Ci si pensa noi, ad aprire.
Salta il cancello
e salta anche la voce dal citofono.
E se poi
salta anche qualche libbra di carne
di questi maledetti Shylock,
vorrà a dire che li si trasporterà gratuitamente
davanti a qualche altro cancello chiuso;
e gli albatri soventi di Baudelaire,
magari in forma di comuni
piccioni cittadini,
cachino
loro
addosso.

La notizia relativa si trova qui.