lunedì 19 luglio 2010

Vivere in piedi


Ora, leggendo il titolo del post (corredato dall'illustrazione dell'imperatore Ottaviano Augusto), penserete magari di accingervi a leggere una cosa importante, una dignitosissima (e assai pallosa) tiratona da blogger, un'affermazione d'immortali princìpi. Invece, la cosa è terribilmente terra-terra e dev'essere presa nel senso letterale del termine. Da tre giorni ho una crisi terrificante di dolori cervicali che mi impedisce di coricarmi e mi crea difficoltà estreme anche nello stare seduto. Senza un minutino di tregua che sia uno. Praticamente non dormo da tre giorni, a parte qualche pausa da sfinimento. L'unico sollievo consiste nel restare in piedi.

La scorsa notte, spinto dal dovere e anche dal fatto che, tanto, non avrei dormito, mi sono recato al turno notturno. Il problema è che, generalmente, non si può guidare da ritti; e allora, come il protagonista del Corvo di Edgar Allan Poe, ho assaporato il dolore quasi fosse un vino buono (mettiamo una botte di Amontillado, tanto per restare su Poe e anche su un vecchio fumetto dello Zio Tibia). Poco dopo l'arrivo in centrale, ci hanno chiamati per un classico dell'estate: la vecchietta che non respira. Le vecchiette non respirano mai di notte, e ci credo: anche con quaranta gradi tengono tutto tangato perché hanno freddo, e si entra in certe case le cui finestre non sono state più aperte dai tempi della guerra franco-prussiana. Ovviamente la vecchietta è arzillissima, respira assai meglio dei disgraziati soccorritori asfissiati, satura a 99 e ha soltanto voglia di rompere i coglioni; ma ha novant'anni e bisogna, visto che lo desidera fortemente, portarla all'ospedale. Ché di morire non ce ne ha la benché mimima voglia.

All'ospedale di Ponte a Niccheri, ieri notte, hanno visto una scena che si ricorderanno a lungo. La vecchietta in barella, quella che non respirava, che berciava non si sa cosa con una riserva di fiato quasi inesauribile; ed un soccorritore inteccherito, sofferente, sul punto di dare forfait. Risultato: la soccorsa dimessa all'istante dopo una visitina, e il soccorritore in sala triage a codice verde. Ero io. Mi hanno dato una prognosi di sette giorni, ordinandomi di tornare e casa e di non provare a guidare nemmeno un monopattino. Una brutta infiammazione non muscolare, ma nervosa: si chiama radicolopatia cervicale, ma con un elementare cambio di lettera l'ho subito ribattezzata ridicolopatia. E, in effetti, mi sta costringendo a vivere in modo piuttosto ridicolo.

Innanzitutto, una barcata di soldi spesi in medicinali, dal Lixidol al Sirdalud Tizanidina (31 euro!) passando per un fantasmagorico Olio di Foucaud, detto anche Olio del Legionario. Qua e là anche il classico nimesulide e la pomata Muscoril per traumi, che è più forte. Ma sarebbe nulla, questo; il fatto è che stare a sedere mi fa male, stare sdraiato mi fa peggio, e oramai sono arrivato alla decisione (questa sì, mehercle, da antico romano!) di andare avanti fin quando non cascherò per terra vinto dalla stanchezza. Altro non c'è da fare. Bisogna che campi in piedi, perché in piedi è l'unica posizione in cui sto meglio; e mi sono dovuto attrezzare.

In fondo, ogni cosa -anche la più sgradevole- può essere resa interessante e nuova. Oh, in fin dei conti per giornate intere in piedi non ci ero mai campato e, credetemi, cambiano le prospettive se si vuole andare avanti in mezzo al dolore che non passa. C'è pur sempre una vita quotidiana. Questo post, ad esempio. Per scriverlo, bisogna che batta sulla tastiera del computer. Ho preso quindi il portatile e lo ho sistemato in cima ad una pila di dizionari formati dai ponderosi quattro volumi dello Olasz-Magyar és Magyar-Olasz Szótár (Vocabolario italiano-ungherese e ungherese-italiano) di Eugenio Koltay-Kastner e Gyula Herczeg. In questo modo posso scrivere in piedi, proprio come Fernando Pessoa nella sua giornata trionfale in cui scrisse tutto il canzoniere di Alberto Caeiro. Giro di continuo per la casa facendoci quasi il solco e fumando come una ciminiera; bevo acqua minerale perché, con la robina che mi tocca prendere, non potrei permettermi nemmeno un rosolio. Intanto quella maledetta cervicale si espande, è in corso una specie di battaglia della Marna all'altezza dell'avambraccio sinistro e non è escluso di vederci prima o poi pure qualche tassì (e se non cogliete il riferimento, studiate la storia, cialtroni). Vivo in piedi, in questo 19 luglio in cui si commemorano bombardamenti e attentati; speriamo che 'sto Lixidol funzioni, e nel frattempo ho assunto una quantità tale di Olio del Legionario da farmi considerare l'idea di arruolarmi.

Ma poi, in fondo, la cosa che funzionerà di più sarà del tutto a gratis. Non ha bisogno di nessuna farmacia. Si chiama non pigliare il dolore sul serio, e anzi prenderlo discretamente per i fondelli. Oltretutto, 'sta ridicolopatia potrà servire da utile allenamento se e quando avrò da affrontare cose ben più gravi. Ci sarà, magari, da vivere in piedi per davvero, un giorno; e mi preparo a modo mio.


domenica 18 luglio 2010

Per chi parte e per chi resta



La canzone dice così:

Felice chi, come Ulisse
ha fatto un bel viaggio.
Felice chi, come Ulisse
ha visto cento paesaggi
e poi ha ritrovato
dopo tante traversate
il paese degli anni verdi.

Una mattina presto d'estate
quando il sole vi canta nel cuore,
quant'è bella la libertà!
La libertà.
Quando si sta meglio qui che altrove
quando un amico rende felici
quant'è bella la libertà!
La libertà.

Con il sole e con il vento,
con la pioggia e col bel tempo
si viveva proprio contenti
il mio cavallo, la mia Provenza e me,
il mio cavallo, la mia Provenza e me.

Felice chi, come Ulisse
ha fatto un bel viaggio.
Felice chi, come Ulisse
ha visto cento paesaggi
e poi ha ritrovato
dopo tante traversate
il paese degli anni verdi.

Una mattina presto d'estate
quando il sole vi canta nel cuore,
quant'è bella la libertà!
La libertà.
Quando son finite le sventure,
quando un amico vi asciuga il pianto
quant'è bella la libertà!
La libertà.

Battuti dal sole e dal vento,
perduti in mezzo agli stagni
si vivrà proprio contenti
il mio cavallo, la mia Camargue e me,
il mio cavallo, la mia Camargue e me.

Sebbene sia cantata da Georges Brassens, non la ha scritta lui. Un po' è un'antica poesia di Joachim Du Bellay, che la scrisse nel 1510. Un po' è il testo che un regista cinematografico, Pierre Colpi, scrisse per la colonna sonora di un suo film del 1969, che si intitola come la canzone: Heureux qui comme Ulysse. L'antico poeta pensava all'Ulisse dell'Odissea, Pierre Colpi ad un vecchio cavallo di nome Ulisse. Il suo film è la storia di due vecchi amici: un uomo e un cavallo. Fu l'ultimo film interpretato da Fernandel prima di morire.

La vorrei dedicare a una persona che sta partendo, forse per sempre. E gli vorrei dire che non è una dedica che significa particolarmente "buona fortuna", "buon viaggio", "vivi felice" e "mi mancherai"; al tempo stesso, però, significa anche tutte queste cose assieme, ed altre ancora che lascio, se vorrà, alla sua immaginazione. Non è neppure un volergli dare un arrivederci, quel posto che De André voleva raggiungere in una sua canzone: il fatto si stia parlando di un ritorno dev'essere inteso nel senso meno appariscente e più profondo. Può essere che il luogo verso il quale si sta partendo sia in realtà un ritorno, ai propri sogni e alle proprie speranze. Il "paese dei verdi anni" può essere stato quello di un sogno, e partire può voler dire finalmente tornarci. Tutte le strade sono aperte.

La vorrei dedicare anche a chi resta. Non c'è, e non ci deve essere, nessuna vergogna nel decidere di restare, che si sia o meno legati a qualcuno o a qualcosa. I cento paesaggi sono anche fuori appena l'uscio di casa. La storia passa con le sue figure, sovente squallide. I paesaggi, e anche più di cento, ce li abbiamo dentro di noi; e si vive cercando di coglierli. Tutti. E così si parte continuamente, e si torna, e si riparte, e si ritorna fino all'ultimo. In qualsiasi parte di questo mondo, che non è necessariamente migliore o peggiore. Ma sono tutte questioni a cui ognuno ha la sua risposta; e allora, un leb' wohl a chi parte, un mazal tov a chi resta, e i ricordi, quelli, sono sempre lì.

martedì 13 luglio 2010

Asfalto


Oggi ho asfaltato, da solo, una strada.

Sono arrivato a casa, verso le cinque del pomeriggio, sfinito. Il brutto è che, a volte, verso le tre quando c'è da ripartire per il giro pomeridiano, mi tocca andarmi a bere una Red Bull. La Red Bull è una delle cose più schifose che si possano immaginare; sa di bubble gum andato a male con le bollicine, e perdipiù mi fanno ribrezzo i sapori esageratamente dolciastri. Però, se c'è da stare svegli per forza, accidenti a lei se funziona. Mi accompagna un ragazzo taciturno e timido, che però è un asso nell'agganciare le carrozzine dei disabili ai supporti. Crederete magari che sia facile; se lo credete, un giorno o l'altro ve lo faccio fare. Se ne riparla alla quindicesima bestemmia che sparate con quegli arnesi che non si agganciano nemmeno a pigiarli.

Poi, terminato tutto, via verso gli antipodi. Brucia l'asfalto, fa la fata morgana; e hai voglia a fare i percorsi alternativi. La zona a traffico limitato del centro è invasa dai turisti, mentre ti comincia a far male il piede destro dopo tutta una giornata di guida. Come se non bastasse, in via dei Bardi ecco il quotidiano incontro col Florence Open Tour, il mastodontico autobus turistico di linea urbana. Procede, forzatamente, a dieci all'ora. Sul tetto aperto, giapponesi stravolti, australiani vestiti da tennis, tedeschi con la birra, famigliuole incazzate di Cesano Maderno. Non si ferma, stavolta, nemmeno in piazza del Carmine, l'unico punto dove è possibile superare quel maledetto bestione; la piazza è un parcheggio davanti a Masaccio. Il piede destro fa sempre più male e sta addivenendo al crampo; una volta mi è toccato fermarmi per fare stretching, con un vigile urbano che, gentilissimo, si informava se stavo bene e se avevo bisogno del 118. Mi prese una convulsione di risate con le lacrime agli occhi per il dolore.

A casa, finalmente. Mi tolgo di dosso la divisa intrisa di sudore. Nudo, mi butto sul letto; e mi addormento in cinque secondi. La scena è chiarissima, una strada non battuta di periferia; non c'è nessuno e la sto asfaltando.

Mi metto prima, cantando qualcosa, a manovrare l'enorme mecchinario che asporta la pavimentazione precedente. Sulla fiancata ha una scritta, Gestirn; una volta sveglio, mi ricordo o rendo conto che, in tedesco, significa "Costellazione". Dal retro del macchinario viene sputato il vecchio asfalto, quasi liquefatto; rumore infernale nel deserto del sogno. Sole implacabile, e scendo per montare su un vecchio camion rosso. Tre secondi dopo, ma i secondi dei sogni sono universi, sono su un rullo compressore, sempre cantando a squarciagola No More Songs di Phil Ochs.


Fumo e odore. Allucinazioni mentre il rullo procede e compatta. A metà del lavoro scendo per fumarmi una sigaretta, cercando un filo di vento che non c'è. Attorno a me, macchine ferme. È tutto fermo. Poi rimonto sul rullo in un baccano assordante; e mi sveglio sudato e non pronto a riconoscere immediatamente che sono sul letto di casa mia. Intontito guardo l'orologio; sono le sei e mezzo. Dov'ero? E cos'è un sogno? C'è un altro me stesso, da qualche parte del nonfinito, che sta lavorando? Sfinito, a sera, si sarà buttato sul letto da solo sognandomi, estraneo e fratello? Ché siamo, tutti quanti, una Costellazione. Gestirn. E un rullo compressore, e una strada sotto il sole, e asfalto rovente.


domenica 11 luglio 2010

Ragazzina, non hai scampo. O forse sì.



Ragazzina, non hai scampo. Specialmente se il destino ti ha fatta nascere in un paese chiamato "Italia"; non che altrove te la passi meglio, però qui, per te, sta cominciando ad essere qualcosa di molto simile all'inferno.

Hai sedici anni. Da quando sei una bambina piccola, addirittura una neonata, non sei un essere umano ma un target da una parte, e un oggetto dall'altra. Ti sbattono sui manifesti, sui giornali e in tv per far vendere. Poi ti obbligano a comprare. Compravendita. L'anno prima ti dicono che a otto anni e mezzo devi portare per forza i jeans a vita bassa; quello dopo li devi portare a vita alta. Ti scelgono i colori. Scelgono per te tutto quanto, come se non bastasse la tua famiglia.

Ma cosa importa: arriva, prima o poi, il tempo dell'amore. Ah, l'amore. Nel Paese dell'Amore, poi, è ancora più amore. I sogni, la luna, i primi baci, le prime coltellate. Ti innamori del coetaneo e subito, zac, ti allucchetta. Sei sua, ovviamente per sempre. E se non ti va più di essere sua per sempre? Eh, ti tocca rassegnarti. O tenta di ammazzarti, riuscendoci non di rado; oppure il mondo gli crolla addosso e si ammazza per sé, lasciandoti con la convinzione di essere brutta, sporca, cattiva, assassina. Perché hai osato rifiutare il suo amore puro e eterno. Quello dei filmoni e dei librini. Quello di Twilight e di Moccia.

Ma, magari, dei coetanei non te ne importa. Decidi, giunta la cosiddetta età del consenso, di provare con uno più grande, magari uno di trent'anni e rotti, di buona famiglia, bravo ragazzo, persino appena laureato. E lui che fa? Prova a indovinare: zac, ti allucchetta. Sei sua, e per sempre. Va da sé. Lui è grande, è un uomo. Ti deve difendere e si è ben attrezzato per la bisogna: pistole e fucili a pompa. Ti deve difendere dai rumeni, come diceva appunto un trentunenne di Mestre. I rumeni sono dei mostri e stuprano, e allora è necessario armarsi per difendere la povera, indifesa sedicenne tanto amata. La quale, un bel giorno, si stufa; ma non c'è nessuno, allora, che la difende dal difensore. Lui prende la sua pistola antirumeni e, una torrida domenica di luglio, la scarica su di te mentre sei in bicicletta. Poi, si ammazza. Titoloni. "Omicidio passionale", "Ex fidanzati". Lenzuoli bianchi dai quali spuntano, ragazzina, i tuoi piedini con le scarpine alla moda. Poco dopo la fine della scuola, quando avevi voglia di mandare affanculo quel demente di bravo giovane che, nella sua mente, ti vedeva già in forma di cagafigli dell'operoso Nordest. Vacanze in vista. E invece, all'improvviso, il buio. Dal Liceo Scientifico alla Polizia Scientifica. A te faranno l'applauso quando la tua bara uscirà dalla chiesetta, mentre in un'altra chiesetta un altro prete invocherà il perdono per il tuo assassino.

Allora scendono in campo gli esperti, visto che oramai del genocidio quotidiano delle donne se ne sono accorti tutti. Sul Quotidiano Nazionale, ad esempio, ci hanno gli esperti fissi: se c'è da sparare cazzate sulla politica internazionale c'è tale Luttwak, mentre al costume e dintorni (perché, si sa, il femminicidio è un fatto di costume) ci pensa sempre una tale Vera Slepoj (cognome che in russo vuol dire "cieco") la quale, proprio oggi, prendendo spunto dal fatto di Mestre (come se non ne accadessero tutti i giorni!) non perde occasione, tra le altre cose, per dire che il femminismo ha fallito perché voleva ribaltare i ruoli, ed anche che un bel po' di colpa è delle ragazzine che prendono, usano e mollano il povero maschietto spaesato. Il quale spara alle figlie, massacra le mamme, accoltella le nonne in una escalation di spaesamento e di crisi di ruolo.

Eh sì, i media hanno scoperto il femminicidio. Roba da prima pagina. Infatti, rimanendo sempre nel Quotidiano Nazionale, di cui fa parte anche la Nazione di Firenze (e sul quale scrive, toh, Massimo Fini!), si noti il grazïoso contrastino tra la notizia sulla violenza sulle donne e le fotine a destra (cliccare sull'immagine per ingrandire):


Violenza a sinistra, e tette a destra. Coltellate del marito a sinistra, e culi a destra. Prognosi riservate a sinistra, e corpo femminile mercificato a destra. Salvo poi dare la parola all'esperto. Intanto, ragazzina, continuano ad ammazzarti, e questa è l'unica vera passione che hanno. Ammazzano te e tua madre. A volte vi ammazzano insieme. No, non hai proprio scampo in questo paese. O forse sì.

Magari, vicino a te, ci sono altre ragazze della tua età. Oppure anche di età differente. Magari se ne fregano del giudizio dell'esperto che decreta il "fallimento del femminismo". Magari lottano, in ogni modo che possono. Magari se la devono vedere quotidianamente con una massa di stronzi; ma non mollano. E non molleranno. Magari hanno vissuto sulla loro pelle violenze, soprusi e passioni calibro 9 o ben affilate. Magari ti basta fare poca strada. Magari c'è pure Internet, che non è soltanto la merda di Facebook o roba del genere. Prendi in considerazione di rivolgerti a queste compagne, a queste amiche, a queste sorelle. E divertiti quanto ti pare. Se uno ti propone il lucchetto, munisciti di tronchesi. Se scopri che ti vuole difendere dai rumeni, digli che ora come ora bisogna difendersi dagli italiani. Perché sono loro che ti ammazzano.

mercoledì 7 luglio 2010

Per i morti di Reggio Emilia, e non solo.


Compagno cittadino,
fratello Aquilano
prendiamoci per mano
in questi giorni tristi
e come a Reggio Emilia
e ad Avola in Sicilia
bastonano gli sbirri,
quei porci di fascisti.
E oggi come un tempo
sopra l'Italia intera
i manganelli e clima da galera.

A diciannove anni
è morto Ovidio Franchi
e avevano vent'anni
anche quegli studenti
che in mezzo al loro sonno
son morti come topi
per i palazzinari
schifosi delinquenti.
Tutti morti a vent'anni
e senza più un domani,
morti per il denaro dei caimani.

Lauro Farioli è morto
come Carlo Giuliani
e in mezzo a loro il vuoto,
e in mezzo il terremoto.
E mandan questurini
di corsa a massacrare
chi vuole protestare
perché lo han preso in giro.
Sangue sopra altro sangue
per mano di quei servi,
sono gli stessi dei fratelli Cervi.

E sono cinquant'anni
da Genova e da Reggio
e ancora ben di peggio
abbiamo visto dopo:
sempre col solo scopo
di opprimere la gente
che oggi non ha più niente
tranne la propria rabbia.
Uguali gli Aquilani
ai sinistrati Irpini,
merce di carne in mano agli assassini.

Compagni, è il sette luglio,
che bell'anniversario:
non è cambiato niente,
massacrano la gente.
Dovremmo tutti quanti
aver d'ora in avanti
il fine di cacciarli
ma di cacciarli tutti.
Morti del terremoto,
datela voi la scossa,
fuori con noi a cacciarli in una fossa!



martedì 6 luglio 2010

Drappelloni, Vaccini, Piattaforme


Il signore che si vede nella foto è una persona molto famosa: è il dottor Albert Bruce Sabin, lo scopritore del vaccino antipolio. Assai più prosaicamente, mi tocca qui occuparmi invece di un tizio che, ultimamente, si è fatto nominare da qualche gazzetta per aver fatto l'antipalio. Si chiama, con un nome pittoresco assai, Luciano Silighini Garagnani.

Il tizio con il nome pittoresco assai, nei giorni scorsi, ha deciso di uscire da un decoroso ed intangibile anonimato andando a rimestare, lui ligure, nientepopodimeno che nel Palio di Siena. Magari, poi, avesse fatto l'Antipalio sul serio: tanto per chiarire la cosa, il qui presente considera il Palio di Siena una ignobile stronzata degna di abolizione senza appello, vuoi per questioni prettamente animaliste, vuoi perché -da fiorentino- qualsiasi cosa che puzzi di senese gli fa venire il varicocele. E come potrebbe essere altrimenti, fra battesimi contradaioli, drappelloni tutti a base di madonne e fantini superstar che, come il famoso "Aceto", si fanno notare per il loro malcelato fascismo? Ma vaffanculo Siena, il Palio, i drappelloni, le madonne, la battaglia di Montaperti, il Monte dei Paschi e il Terzo della Robur. Ottemperato come di dovere al trucidissimo campanilismo toscano, torniamo a bomba.

Il Silighini Luciano ne' Garagnani, come si può leggere ancora qua, ce l'ha con le madonne dipinte sul drappellone da pittori 'slamici. E fin qui, il tutto potrebbe essere ancora risolto con un meraviglioso e chi se ne frega. Tipi come questi, oramai, trovano la loro più giusta collocazione nella rubrica Strano ma vero della "Settimana Enigmistica", in mezzo al Quesito con la Susi e all'ispettore Varga; puro folklore. Il Garagnini Siligani, o come si chiama, non deve aver trovato evidentemente altro modo per far parlare un po' di sé; un misto di Forza Nuova e Forza Italia, magari sarà di Forza Nuova Italia e così lo si potrebbe anche scambiare per un fan di una nota e benemerita casa editrice di testi scolastici.

Nell'attesa, magari neanche eccessivamente lunga, di ritrovarcelo a fare comizi dal balconcino, il Siligara Ghinignani, non pago della più totale indifferenza dei senesi (peraltro fave a prescindere), se la prende con chi ha osato meleggiarlo a non finire per la sua impareggiabile "presa di posizione" sul drappellone "islamico" dipinto da un pittore libanese per la Carriera di Provenzano (così, mi dicono, si chiama il Palio del 2 luglio; un nome neanche vagamente inquietante, sembra il cursus honorum di un capomafia). L'articolo linkato poco sopra era stato originariamente scritto e postato da Kelebek, ed il fatto che il link in questione rimandi ad un altro blog fa già intuire che cosa sia avvenuto. Ce lo spiega direttamente e particolareggiatamente lo stesso blogger di Kelebek, Miguel Guillermo Martínez Ball (colui che, nel 2002, prese un appartamento a Firenze appena arrivato da Marsiglia, con l'intento di distruggere la città in occasione del Social Forum), in questo articolo.

Insomma, il Silighino Garagnino non è riuscito a censurare il drappellone talebano (detto familiarmente drappellano) con la madonnazza contradajola (che fa rima con?); per rifarsi, però, fa censurare la piattaforma Splinder. All'anima! O non sono, questi qui, per la libertà di espressione? A questo punto, oserei suggerire a Garagnani Silighini Luciano di dedicarsi ad attività più fruttuose, vista la sua indubbia propensione ed abilità con nel bloccare le piattaforme. Vada nel Golfo del Messico e censuri immediatamente quella maledetta piattaforma che sta impestando di petrolio oramai mezzo mondo, senza che nessuno riesca a fermarla. Qualcuno gli dica che il petrolio è di per sé islamico, che la falla è a forma di mezzaluna, che è in atto uno scontro di civiltà tra gli idrocarburi infedeli e la Corrente del Golfo giudaicocristiana, e vedrete che riuscirà ad arrivare dove né la BP e né Obama sono arrivati. E il mondo gliene sarebbe grato.

Dopodiché, potrebbe sempre andarsi a riposare sempre in Toscana, ma non a Siena. Potrebbe andare a Viareggio, al beach club "Twiga" (che fa rima con?), i cui soci sono addirittura Marcello Lippi, Daniela Santanché* e Paolo Brosio (quello fulminato sulla via di Medjugorje). Un terzetto del genere ha bisogno di un Silighini Garagnani. La civiltà occidentale lo esige.

* detta "Dany Holy Also Is".




giovedì 1 luglio 2010

'Ello Hitty


Mi piace stare in coda alla cassa dei supermercati. Sostengo che la fila alla cassa è un osservatorio meraviglioso sul proprio quartiere, e quindi sul mondo intero. Poi, non so come dire, alla cassa me ne succede sempre qualcuna; sarà anche per il mio aspetto, per le magliette strane che ho sempre addosso (oggi ne avevo una degli indipendentisti bretoni), per i piedi spropositati, per la coda di cavallo. Chissà.

Poco fa, ad esempio. Ero in coda alla cassa di un discount vicino a casa mia, lo stesso dove qualche tempo fa un dipendente italiano quarantenne & padredifamiglia che si era intelligentemente ridotto sul lastrico per giocare a i' videopòher non aveva trovato di meglio che ammazzare come una bestia la direttrice che lo aveva sorpreso a rubare 4000 euro. Un sistema veramente geniale per spezzare per l'ennesima volta la vita di una donna, e per finire all'ergastolo.

Alla cassa c'erano due donne e una bambina di quattro o cinque anni. Tutte e tre rumene. Tre generazioni: la nonna, la mamma e la bimba. Parlavano fitte nella loro lingua, che capisco piuttosto bene; e parlavano di cose di tutti i giorni, del marito che non era ancora tornato dal lavoro, di quel che c'era stasera alla televisione. Guardavo specialmente la donna anziana, pensando ad una comune vita pazzesca. Settant'anni o giù di lì. Ceausescu, l'emigrazione, il trasferirsi in un paese straniero e anche ostile; e quella parlava di televisione, tranquilla, con in mano un pacco di rotoli di carta igienica. La mamma della bambina un po' parlava con la madre, e un po' teneva a bada la figlia coi capelli nerissimi a caschetto e un broncio da fare paura. Gliene importava una sega a lei del babbo che non era ancora tornato e della televisione. Si sentiva che lo scoppio era nell'aria.

Detto fatto. La bimba comincia a fare un capriccio galattico. Strilli che si sentono nel raggio di cento metri, piedini sbattuti per terra, botte alla mamma fin dove arrivava quel soldino di cacio. L'oggetto del contendere è un pacchetto di caramelle con l'immagine di Hello Kitty. La mamma, eroica, resiste per far valere la sua autorità parentale; mentre la nonna, come tutte le nonne, cerca di convincerla a comprare le caramelle hellokittate alla nipotina. Nulla da fare. Non ha da essere. È in quel momento che la bimba si volta verso uno strano essere subito là dietro, con addosso una maglietta in bretone, in pantaloncini corti e la coda di cavallo. Mi guarda.

A questo punto bisogna che le dica qualcosa. Penso: beh, bisogna che glielo dica in rumeno, sennò magari non capisce bene. Fo una faccia che più a bischero non si può, e le dico: ce vrei sa ti cumpare mama, micuta? Che vuoi che ti compri la mamma, piccolina? Si ferma. Assume una posa da teppistina con uno sguardo determinato, con una manina su un fianco e battendo un piede per terra. E mi risponde, in puro fiorentino con venature dialettali legnaiesi-isolottine: 'E voglio le 'haramelle 'olla 'Ello Hitty, oh, che me le 'hompri teeee....?

Non faccio storie. Esco dalla fila con piglio marziale, vo allo scaffale delle caramelle e prendo un pacchetto di quelle caramelle con la gattina giapponese. Torno alla fila, e pago. Nel frattempo, la mamma e la nonna si stanno sbellicando dalle risate, e assieme a loro tutti gli altri clienti e la cassiera. Mi ringraziano, mezzo in rumeno e mezzo in italiano, mentre la bimba se ne frega di tutto e di tutti e esce dal discount col suo pacchetto di caramelle con la 'Ello Hitty, così duramente guadagnato. Un'altra signora anziana in coda commenta: Certo che coi bimbi non c'è nulla da fare, e sorride.

Ho capito allora, ed è stato un gran bel capire, che non ce la faranno mai. Mi riferisco a: razzisti, identitaristi, propagatori di paura, pennaioli e altri tipi di servi del genere. Tanto varrebbe che si arrendessero senza combattere, poveri piccoli stronzi. Non ce la faranno mai perché hanno dei nemici invincibili: Hello Kitty e i bambini.