sabato 10 maggio 2008

Tutto normale


Trent’anni fa, il 9 maggio 1978, su un binario della ferrovia a Cinisi venivano ritrovati i pezzi, le briciole di Peppino Impastato.

Lo stesso giorno, in via Michelangelo Caetani a Roma, veniva ritrovato il cadavere di un presidente.

E’ naturalmente il presidente che, oggi, viene ricordato. E non solo ricordato. La “fiction” televisiva dove quel presidente viene interpretato da un attore che non gli somiglia nemmeno un po’. Le pompe magne istituzionali. E il discorso, il “commovente discorso”, di un altro presidente.

Questo presidente è uno che sa dove tira il vento. E’ il suo mestiere. Oggi ci è venuto a parlare, piangendo calde lacrime, delle vittime del terrorismo. Di “tribune” riservate a “figuri”. Addirittura di “rozze ideologie comuniste”. Lui. Non è necessario aggiungere altro. Parliamo lingue troppo diverse. Lingue che non sono né l’italiano, né l’ungherese. Non intendo parlare la lingua di quell’uomo. Non intendo rapportarmi né a lui né a figure come lui. Non intendo neppure “vilipenderlo”, e non per paura di commettere un reato. Non c’è nulla da “vilipendere”, c’è soltanto da allontanarsi. Da dire: Tu non mi attieni.

Sembra che soltanto i reparti della Celere abbiano ucciso circa 150 persone nel dopoguerra repubblicano e democratico.

E non vi sono soltanto i reparti della Celere.

Sembra che a queste vittime non sia dovuto nulla. Né “giornate del ricordo”, né un semplice ricordo. Perché le vittime dello Stato non possono essere neppure ricordate. Vietato persino nominarle.

Nessuna giornata e nessuna “fiction” per Giannino Zibecchi. Per Francesco Lorusso. Per Giorgiana Masi. Per altre decine e decine di ragazzi ammazzati dai “fedeli servitori”.

Peppino Impastato, almeno, ha avuto un coraggioso film.

Ma chissà se qualcuno si ricorda sia pure il nome di Giancarlo del Padrone. O di Adelchi Argada. Di Piero Bruno. Di Roberto Franceschi. Di Franco Serantini. Di Claudio Miccoli.

Queste sono vittime che non esistono. Sono vittime che non possono esistere. Sono vittime che non hanno e non avranno mai nessun “presidente”. Perché sono vittime del vero terrorismo, quello di stato.

Quindi, in fondo, che cosa c’è da stupirsi.

Tutto normale.

Tutto tremendamente normale.

Tutto orrendamente normale.

Tutto normale come un presidente.

1 commento:

Riccardo Venturi ha detto...

La generazione di Impastato, una generazione-mondo.

di Erri De Luca.
(da "Liberazione", 8 maggio 2008)

Ricorre in queste pagine l'aggettivo: rivoluzionario. L'Italia degli anni Settanta sfornò una quantità di tali militanti. Oggi questo attributo è vago e subordinato a quello di terrorista. Oggi siamo nell'epoca di chi chiama terrorista pure una banda di tifosi che si scontra con la polizia. Delirio, o farsa, è che lo fa un magistrato.

Allora bisogna occuparsi di aggettivi. Terrorista è il bombardamento aereo di una città. Non ha altro scopo fuori di quello di procurare strage a casaccio e seminare terrore tra indifesi e inermi. Il terrorismo comincia a Guernica nel 1937, sotto le bombe sganciate dalle ondate di attacchi della divisione Condor della Luftwaffe sopra un obiettivo civile che non aveva nulla di strategico, in giorno di mercato. Rispetto a questo terrorismo, tutto quello che va sotto questo nome è sfumatura.

In Italia c'è stato il terrorismo ed è stato di stato. È stato di

stato: uno stato al quadrato. Alimentato da apparati interni alle pubbliche istituzioni, con esplosivo scoppiato su treni, in piazze, dentro banche: è rimasto impunito. Consiglio perciò questa facile

distinzione: considerate terroristi gli impuniti di stragi. La loro impunità garantisce l'aggettivo.

Secondo termine da definire: rivoluzionario. Non ha niente da spartire con lo scalmanato, il ribelle, l'attaccabrighe, il clandestino. È stata una lunga specializzazione pubblica, dal basso, che si è urtata contro tutti i poteri costituiti, senza mediazione.

Il Partito Comunista italiano non fu mediatore, ma nemico storico e giurato di tutto quello che si muoveva fuori di sé alla sua sinistra.

La Terza Internazionale, apparato sovietico che legava a sé tutti i partiti comunisti, lo aveva dimostrato eliminando fisicamente gli anarchici durante la guerra civile spagnola. Il Pci veniva da quella lezione e la proseguiva. In tutto l'arco parlamentare non c'era un cane che mediasse tra le istituzioni e i rivoluzionari italiani degli anni Settanta.

Ma le lotte sociali dei rivoluzionari non avevano obiettivi estremisti. Si organizzavano autoriduzioni collettive delle bollette, riducendole al calcolo di 8 lire al chilowattora, tariffa pagata dall'industria. Si organizzavano occupazioni di case lasciate vuote da speculatori, per chi non aveva un tetto, si lottava in fabbrica per migliorie di ambiente e sicurezza, nell'esercito contro l'arretrato trattamento del soldato di leva. I rivoluzionari puntavano a obiettivi pratici e moderati. Ma la repressione contro di loro fu massiccia e smisurata, così da trasformarli lentamente in rivoluzionari a tempo pieno. I militanti della sinistra rivoluzionaria italiana sono stati i più incarcerati per motivi politici di tutta la storia d'Italia; molto di più in termini di detenzione dei prigionieri del ventennio fascista.

Questa è solo una premessa per aggiornare un po' di vocabolario ricorrente in questo libro. È un documento di storia. Riporta le questioni di quel periodo e l'intelligenza collettiva che inventava risposte.

La radio, come il teatro, era ed è il mezzo più immediato e democratico per la circolazione del pensiero critico e dell'informazione puntuale. Oggi la supplenza di Internet è solo un archivio di consultazione. La radio libera, il teatro chiamavano invece a voce forte a uscire, a incontrarsi in assemblea, in piazza.

Davano appartenenza al tempo presente.

Da noi le verità non sono uscite dai tribunali, ma dalle radio libere e dal teatro. Morte accidentale di un anarchico , di Dario Fo, è la verità sull'omicidio del ferroviere Pinelli nella questura di Milano.

Vajont è la verità, grazie a Marco Paolini, sulla catastrofe provocata dalla diga. Dai tribunali sono uscite versioni di comodo, carta straccia.

L'opera di Radio Aut qui documentata, merita un libro, è questo. Aut in latino è: oppure. Non è la pronuncia della parola inglese out, fuori, ma l'opposizione dell'oppure, di un'alternativa alla informazione falsa e reticente. Il suo valore aggiunto sta nella notizia data secca, senza enfasi. Il bollettino va al sodo, narra e spiega con frasi brevi. C'era uno strascico verboso nell'eloquenza della sinistra rivoluzionaria, c'era un gergo, qui completamente assente. Qui la passione politica è arrivata allo stile della notizia nuda che da sola produce impatto, mentre dà conto dei fatti. Qui c'è giornalismo vero e già solo per questo rivoluzionario.

I notiziari aprivano con cronache dal mondo. Era questa la formazione sentimentale e politica della generazione rivoluzionaria, proveniva da uno schieramento su scala mondiale. Si apparteneva a un mondo che cambiava i suoi connotati e i rapporti di forza con le lotte armate rivoluzionarie. L'Italia era penisola accerchiata da fascismi, da Portogallo a Turchia, molte forze interne spingevano ad allinearla.

Nel mondo vincevano le lotte rivoluzionarie in Vietnam, Angola, Mozambico. Ovunque nei continenti brulicavano lotte di liberazione. Il mondo era tutto vicino, alzava le medesime bandiere.

Noi rivoluzionari degli anni Settanta siamo stati una generazione mondo. Abbiamo perciò avuto un sentimento di superiorità verso i piccoli feudatari della politica italiana, i satrapi mafiosi. Li abbiamo combattuti e irrisi, perché avevamo un più vasto passaporto.

L'odio politico che ci siamo procurati è oggi incomprensibile se non si pensa a quanto rancore, misto a paura fisica, abbiamo scatenato nei nervetti deboli della classe dirigente. Peppino, militante dell'organizzazione rivoluzionaria Lotta Continua, è stato ammazzato con sapienza. Eliminare lui per mutilare tutti. Ed è andata così.