1. RISTORANTE “AL TERMINE DELL'UNIVERSO”
Via degli Asili, 26 – Livorno. Tel. 0586/7729034
Orario: Tutti i giorni dalle ore 23,00 alle 05,00 - Chiuso il martedì
Era stata, finora, questione di romanzi o film di fantascienza, più o meno riusciti; e da un noto romanzo del genere questo fantasmagorico locale riprende il nome, superando però di gran lunga ogni possibile & futuribile immaginazione. Rinunciando per ora ad ambientazioni intergalattiche, ché in fondo a noi delle galassie non ce ne importa praticamente una sega e l'universo può terminare dove si vuole (per quanti non va più in la del proprio naso?), diciamo immediatamente che il ristorante, situato in una via della città vecchia che già, da decenni, ospita la storica sede della Federazione Anarchica Livornese, ha già attirato, nei suoi scarsi sei mesi vita, l'attenzione dei media e dei fautori di un rinnovo della cucina pur nel rigoroso rispetto della tradizione. Una via labronica alla nouvelle cuisine? Non ci poniamo neppure il problema, così come non se lo è posto Rolando Razzaguti, proprietario e mèntore del Termine dell'Universo, assieme al suo chef, Ugo Van Vreeswijk, scarno superstite della nazione olandese che già diede nome agli Scali, e che a tutti quanti dice di chiamarsi Bianchi perché tanto nessuno saprebbe pronunciare il suo cognome senza prima annodarsi la lingua, e poi prorompere in colorite bestemmie all'indirizzo di tutti gli dèi e i santi possibili e immaginabili.
Un'insegna tracciata con un pennarello carioca su di una lastra di latta smaltata, una porta che sbatte di continuo e che nelle serate di vento forte dev'essere rinforzata con una robusta sèggiola, facendo peraltro battere delle dentate sul nudo pavimento agli avventori che ancora non sono a conoscenza delle particolari condizioni del locale; l'orario assolutamente improponibile per le normali famigliuole, gli onesti lavoratori che devono rizzassi alle sei di mattina per andare ad essere vessati e financo schiavizzati dal sor padrone e, in generale, coloro che sono fautori di una vita sana e regolata; l'atmosfera stessa del locale, assolutamente e fieramente menèfrego di ogni divieto di fumo e per questo regolarmente gravato di multe atroci da parte del Comune di Livorno -fogliacci che vengono utilizzati come carta da culo nelle orrende e malsane latrine attigue alla cucina e che, comunque, prima o poi faranno chiudere il ristorante con relativa demolizione, spargimento di sale sulle sue rovine e doveroso esorcismo per cacciare diavoli, dimonij e soprattutto un deciso puzzo di piscio misto a blinis Strogonoff, afrore da cignale, paillarde à la bourguignonne e merda secca stratificata che proviene dall'interno1.
Non sarebbe già questo sufficiente per una visita? Ma si dà il caso che, anche tenendo conto ditutte le particolari caratteristiche del Termine dell'Universo, ad un ristorante ci si vada essenzialmente per mangiare. E qui sta la vera e propria rivoluzione operata da Razzaguti e Van Vreeswijk, sin dal primo giorno di apertura (fissato simbolicamente al 7 novembre). Alla peraltro non numerosa clientela accorsa (dato che nessuna forma di réclame era stata operata sui media locali, sebbene alcune scritte con lo spray fosse apparse sui muri della città fin dalla fine di agosto), fu proposta una “serata inaugurale a tema” che ha fatto epoca: la Serata dei Piatti Vuoti. Il trionfo dell'Immaginazione in cucina spinto alle estreme conseguenze: fatti accomodare gli avventori a dodici tavolacci zoppi, dopo una breve presentazione e un brindisi a base d'acqua del rubinetto (a temperatura ambiente) in bicchieri di risulta, furono soffuse le luci e presentati dei piatti completamente vuoti con l'invito a concentrarsi, meditare, e riempirli coi propri desideri più reconditi. Con le specialità che non venivano più gustate dall'infanzia, con i più immondi troiai proibiti dal dottore, con le leccornie che la moglie non sa preparare manco se la pigli a legnate ner groppone, con le mescolanze più ardite e indicibili. Chi vide nel suo piatto una montagna di croste di parmigiano fritte nell'olio, chi una quiche di ranocchi sbucciati al sugo di pavoncella in agrodolce, chi un blocco di sugna di majale da mangiarsi a cucchiaiate fino all'irreversibile coma da grassi polinsaturi, chi una delicata pastina glutinata col formaggino Mio sciolta dalla cuginetta che nel frattempo praticava le prime, timide ditate sull'implume membro, chi una monumentale frittura di cèe condite col burro. Un giovane assai impegnato sul fronte di una corretta e sana alimentazione, che era intervenuto sia per personale curiosità che come inviato dell'autorevole rivista Mangia Sano e Caca Bene, s'era occhieggiato nel piatto un letale, quintuplo deathburger del McDonald's, con strati di ketchup al peperoncino armato del Chiapas, pancetta assatanata del Vermont, strutto di Perignano e formaggio pressurizzato dei macelli di Chicago; casualmente udito dalla fidanzata (che lo attendeva preoccupata fuori dal locale) mentre declamava berciando gli ingredienti del panino, uno ad uno, era stato crudelmente abbandonato con lancio dell'anello e grida del tipo: brutto merdaiolo, vigliacco e assassino, ieri tu m'ha' fatto 'ondì l'inzalata 'or gomasio e coll'olio di 'oriandolo! Te lo do io ir checiap!
Così era andata; dopo circa un'ora di fantasia al potere nel piatto, le luci erano state riaccese e gli intervenuti si presentavano in posture del tutto degne di un apocalittico quadro di Bruegel il Vecchio, una Narrenschiff di giacche strappate, addentature di malleoli, visioni mistiche, diti in culo, lividi sugli zìgomi, sputacchi ne' polsini, mòccoli a Sant'Ignazio di Loyola, ovazioni al chef e fugaci amplessi con la dott.sa Grazia Maria Licciardi, segreta degustatrice della Gault & Millau, la quale s'era lasciata andare al sesso promiscuo dopo aver immaginato nel suo piatto vuoto una cospicua île flottante in forma vagamente fallica. Soltanto una voce dissonante si era levata, quella di un minuto e tranquillo signore che cercava urbanamente di dire: - Ma ora 'sta caata occorre pure pagàlla? Il disgraziato fu immediatamente fatto oggetto della più acuta riprovazione, riempito di picchi ne' denti e sbattuto fuori dal Ristorante a ombrellate nella nuca, ché si trattava d'una novembrina ed uggiosa serata di pioggerella salmastra.
Consegnato agli avventori un conto di circa duecentocinquanta euri a persona, prezzo invero assai mite per quell'esperienza mai vissuta prima, la fama del Termine dell'Universo ebbe un immediato e grande balzo in avanti; invero, però, la Serata dei Piatti Vuoti non è stata più ripetuta, vuoi per gli elevati costi, vuoi per la sua unicità che tale deve restare, e vuoi anche per le accorate seppur civili proteste del consorte della dott.sa Licciardi, che s'è ritrovato la moglie trasformata in una ninfomane culinar-declamante e che ultimamente l'ha data pure a un tizio che era venuto a vendere surgelati porta a porta col furgone della Bofrost. Altre serate “a tema” sono però state escogitate, alternate ad una cucina la cui filosofia “oltre” pone continue sfide all'appassionato che desidera addentrarsi nei meandri più inesplorati del gusto.
Si va dalla “Serata Ad Metalla”, usualmente proposta il giovedì, in cui piatti della più squisita tradizione labronica vengono reinterpretati con sapienti pizzichi (in dosi certificatamente non letali) di metalli comuni e rari (notevolissime le triglie al cromo-vanadio, il lesso di manzo rifatto à la Torricelli con un sorprendente intingolo di mercurio e salsa béarnaise, gli spaghetti al vecchio sugo selenizzato e i fenomenali mostaccioli all'ununnillio, che si trasforma in piombo dopo una spettacolare seppur brevissima reazione termonucleare); la domenica, invece, c'è la gettonatissima “Serata del Pajolo”, durante la quale, in un capiente pajolone empìto d'acqua di mare proveniente dal porto industriale e contenente quindi un vasto campionario di idrocarburi, vengono messe a bollire verdure, pezzettoni di pollo, gli avanzi di carne (grasselli, cartilagini ecc.) che nelle antiche macellerie livornesi venivano dette topa, sassi muschiosi, pesci rimasti intrappolati nelle fognature cittadine ed altri gustosi ma dimenticati ingredienti della più schietta cucina popolare, per offrire una zuppa che viene versata caldissima e scoppiettante in scodelle di legno, accompagnata generalmente da un buon vino rosso di Cenaja servito in prezïose caraffe di cristallo di Collesalvetti. Ma anche nelle serate non a tema, non rinunciate all'avventura di un riso al nero di seppia e catrame dell'Elba (ancor chiamato, come da tradizione, blècche), a un bordatino con cavolo nero e scaglie di cinghie di distribuzione di OM Lupetto del '61, alla francesina con fricassea arricchita con raschiature di calli di Lucarelli (il grande centravanti fornisce personalmente tale rarissimo ingrediente) e la spigola al cartoccio in lamierino ondulato.
Potrà forse stupire che, in tale tripudio, manchi dal menù la gloria della cucina livornese, il cacciucco; ma, come ha dichiarato Rolando Razzaguti in un'intervista alla Gazzetta di Parma, “Qui tutto è un cacciucco, nel senso etimologico del termine. La parola, infatti, deriva dal turco küçlük, che significa guazzabuglio, mescolanza di ogni cosa; così noi facciamo essenzialmente con ogni piatto, mèmori di quando a Livorno c'era una fame da strappàssi ir bùo 'oll'ugne e avèccelo un po' di catrame da mètte' ner piatto pe' condì la magerrima pietanza.” Come dare torto al geniale ristoratore e al suo chef Van Vreeswijk? Nel frattempo, il Termine dell'Universo ha provocato amori e lodi senza fine, come odî feroci e insanabili. Se la Gault & Millau, spinta dall'oramai conquistata dott.sa Licciardi, lo qualifica di “pietra miliare nel rinnovamento della cucina italiana, imprescindibile, sublime tempio dell'anarchico ordine cosmico coalescente nei retrogusti avvitati che esplodono in una weltanschauung, in una strassenbahn, in una bundesliga di sapori primordiali che fanno gridare all'orgasmo, sì, all'orgasmo”, per la paludata e conservatrice Guida Miscelèn il locale è liquidato semplicemente come un “disgustoso merdajo” (un merdier dégoûtant nell'edizione originale francese). Se Gualtiero Marchesi lo ha definito “un'originale forma di suicidio”, Gianfranco Vissani si è dichiarato “stupito, esterrefatto, commosso, adorante”.
Comunque sia, un motivo in più per una visita alla nostra bella Livorno, spinti anche dalla modicità e all'originalità dei prezzi e dei modi di pagamento (150/300 euri a persona, con possibilità di saldo mediante 8 giorni di prestazioni gratuite presso le granducali Saline di Volterra o, a scelta, giorni altrettanti di pulitura stive presso un cargo a scelta alla fonda nel porto labronico) e dalla vasta carta dei vini, che propone tra le sue perle un Catarro Secco di Porto Marghera del '94, un Tenuta S. Polimero del Salento del '90, un Sita Persa Sottoilnaso delle Murge del '91 e, tra i bianchi, un rigoglioso e protuberante Château Bande à Bonnot dell'84. Prenotazione non obbligatoria, ma si consiglia di presentarsi almeno 45 minuti prima dell'apertura muniti di tirapugni e pattada sarda.
1The typical, inimitable “Termine” smell, a very distinctive feature of this unique restaurant – Lloyd Constantine, A Guide to the World's Alternative Cuisine and Restaurants, London, Routledge & Kegan Paul, 2008