mercoledì 24 dicembre 2008

Auguri


Domani sarebbe natale, e fra qualche giorno c'è anche un nuovo anno. In altri tempi, magari, avrei sproloquiato sul mio solito odio per le “feste”, mi sarei fatto il consueto “sfogo” (che peraltro mi sono comunque, e buffamente, concesso in un posto dove si parla della Fiorentina, con il pretesto della malaugurata interruzione del campionato), e altre cose. Quest'anno sono arrivato quasi all'atarassia, all'indifferenza totale. L'anno passato? Sono successe, come è logico che sia, tante e differenti cose. Sono accaduti degli inizi, e sono accadute delle fini. Ci sono stati dei cambiamenti e dei proseguimenti. E me ne sto qui nel mio parallelepipedo ipogeo, rigorosamente da solo ché ci sto alla perfezione, vestito da 118 perché mi faceva fatica spogliarmi e cambiarmi (e poi il “pile” verde da autista di ambulanze è bello caldo e permette di rimandare tranquillamente l'accensione del riscaldamento, ché c'è la crisi e si risparmia un po'). Poco fa mi sono fatto una bellissima cacata, che di per sé sarebbe la migliore consolazione degli afflitti; figurarsi quando non si è per nulla afflitti, come nel mio caso attuale. Domani? Un giovedì. Destino pure ha voluto che avessi la macchina dal meccanico, grazie ad un braccetto dell'avantreno spezzato a causa di buche nell'asfalto, dossi rallentatori e altre nequizie stradali; me la renderanno il 29 perché il pezzo ha dovuto essere ordinato. Quindi, a casina. Niente famiglie, niente strippate, con la mia squisita coerenza mi sono comprato “Sky TV” e magari riesco a beccare una partita del campionato coreano, o equadoregno, o di chissenefrega dove. Nel frattempo soneranno le campane, din don dan, e può essere che riuscirò a farmi una bella dormita, e magari anche un bel sogno.

Vada come vada, magari mi piglierà la voglia di andare fino a Ugnano a piedi, alla casa del popolo. A scambiare tre parole, a pigliare un caffè e un grappino. E poi, scrivere qualcosa, come questa. Fondamentalmente senza né capo, né coda. Magari, sì, potrei fare degli “auguri” a chi se li vuole prendere; a quelle persone che più o meno gradiscono ancora la mia esistenza, o perlomeno cui non dà eccessivo fastidio. Ad un amore discreto e di non moltissime parole, ma di tante cose belle e finalmente vere fino all'ultima. All'ottobrino sciroccato, torinista e cantautore, e da ieri persino terremotato. Al compagno sassarese che ogni tanto mi riprende le cose che scrivo, ché magari non ci vedremo mai ma che mi va di buttargli un pensiero. A quella specie di complice del “Va”, ai suoi casini e al suo amore per la pioggia e il brutto tempo. Ai “minimi termini” di chiunque, ma particolarmente di un tizio in riva a un lago. Alla bandana e alla rosa di un altro tipo che chiede ai passanti se hanno incontrato un elfo. A chi stasera si troverà, per l'appunto, a sonare le campane davanti a un défilé di vestiti della festa. Ad uno tornato senza clamori e senza fretta, trasferitosi lontano, forse finalmente in pace. A un paio di donne, madre e figlia. A mia madre, a mia zia e a mio fratello. E ad altri ed altre ancora, cui li faccio, questi “auguri”, senza ulteriori cose, senza né pretendere né desiderare risposte, nudi e crudi. Li prendano se gli va; e se non gli va, li buttino pure nella spazzatura o li riciclino, e sia detto da uno troppo pigro per fare la raccolta differenziata.

Li faccio anche a chi sicuramente non gliene frega un cazzo, agli andati, ai passati, agli amori terminati, ai diciotti ottobri interrotti (ché, tanto, il diciotto ottobre in realtà non era accaduto nulla di trascendentale), ad ognuno e a nessuno al tempo stesso. In realtà, non so neppure che cosa “augurare”. Vorrei augurare a tutti di restare vivi, ma sicuramente se lo augureranno in modo assai più gradito ed efficace da soli. La finisco qui sennò va troppo per le lunghe e bisogna essere concisi, in queste cose. Li faccio, gli auguri, anche a me stesso. Stavolta nessun “meno che a uno”. Divertitevi, state bene, e se per caso vi passo nella testa state tranquilli ché me ne vado subito. Puff.