Partiamo subito coi simboli. Il simbolo del 2008 è nella foto che vedete sopra; una cucina. Cliccateci sopra per vederla meglio. Una normalissima cucina che si può osservare in tutta la sua palese cucinità (Küchenheit). L'acquaio (per i non toscani: il lavello) coi piatti dentro ancora da lavare, i bussolotti dello sgrassatore Chanteclair e del liquido per piatti Esselunga, l'Alicia De Longhi, lo scottex e il surreale menù della pizzeria “Al Dees Matt” di Piacenza (pizza “idem con patate”, solo per dirne una) coi disegnini che illustrano la filastrocca del “decino falso” che, gira che la rigira, va a finire sempre nella cassetta delle offerte e che fa arrabbiare il parroco.
Per motivi che non sto a dire, e che tanto non interessano a nessuno, a lungo sono stato senza cucina a casa mia; è il cosiddetto stato di acucinità (Unküchenheit). Tale bizzarra condizione mi ha provocato làzzi e frìzzi a non finire, tanto che la “cucina del Venturi” è assurta oramai a modo di dire; “come la cucina del Venturi” è un po' come l'Araba Fenice, che ci sia ciascun lo dice eccetera eccetera. Condizione venuta a cessare un giorno all'inizio dello scorso novembre, come dovrebbe essere testimoniato dalla fotografia. Ma so bene che una fotografia è una ben labile prova; si potrebbe dire che è un fotomontaggio, che è stata disegnata con qualche marchingegno informatico, qualsiasi cosa. Affrancarsi dalla Unküchenheit non è facile; pazienza. Lo dicevo giusto giusto un par di giorni fa a quel dilettante di Giobbe, mentre gli cucinavo una frugale cena a base di lenticchie con l'olio e l'aglio.
Per il resto, ecco che finisce un altr'anno. Su un blog di una persona che conosco, uno dei pochi che continuo a leggere molto volentieri, ci sono gli “editoriali”: mensili, annuali. Non so e non voglio sapere se il suo autore li intende come una specie di bilanci, ché sono affari suoi e negli affari degli altri proprio non voglio metterci più bocca (né tastiera); però, per quel che mi riguarda, coi bilanci io ci vo pochissimo d'accordo, per non dire punto. Però stanotte ci avevo voglia di scrivere l'ultimo post dell'anno, e pigramente mi sono accomodato a vergare 'ste righe sansilvestramente banalotte. Ho d'altronde poco da dire sulle situazioni. Di guerre e affini mi occupo altrove. Degli squallidi personaggi che ci governano me ne importa ancor meno che dei governi, il che è tutto dire. Ogni tanto ho avuto da dire qualcosa su una cosa che mi sta a cuore, lo stupido razzismo di questi tempi; a un certo punto sono passato all'Asocial Network. In tutta sincerità credevo di avere inventato io questa locuzione, e me ne sono pure beato per una decina di minuti. Poi mi è presa la curiosità di andare a smanettare su Google e ho visto che dà 1780 risultati. Insomma, non ho inventato proprio una beata sega. Pazienza anche qui. A non “interagire” più ci sto benissimo. In un periodo di sovraesposizione mediatica in cui tutti danno in pasto la propria vita, io mi sono rinchiuso qui dentro senza dare più la possibilità di “dire la propria”. O meglio: ditevela pure, ma non mi rompete più il cazzo con le vostre magagne, i vostri “musi duri”, e nemmeno con i vostri grandi affetti, le acrobazie verbali e le tragicommedie fatte di pixel. Chi ancora pensa di volermi bene, sa dove sto. La porta è sempre aperta, e se anche è chiusa possiede un campanello. E se non sono in casa, sul campanello c'è un numero di telefono. Se non sento suonare quel campanello o squillare quel telefono vuol dire che non vi interesso, ed è una cosa oltremodo legittima. E anche questo è l'anno che sta per essere passato.
E' cominciato assieme a delle persone, e finirà con altre. Domani c'è il rito della “festa di capodanno”, e confesso che mi piace. Ricordo quasi tutti i capodanni che ho passato. Tra il 1978 e il 1979 lo passai da solo a ascoltare Radio Bucarest che trasmetteva in rumeno. Tra il 1979 e il 1980 invece ero a giro per Firenze con una tizia truccata “dark” e che si era fatta coscienziosamente baciare in mia presenza da un tipo da spiaggia di nome Brunero; funzionava così, sembra. Tra il 1992 e il 1993 vagavo di notte fra via delle Cinque Vie e via Benedetto Fortini. L'anno dopo ho imparato, e non lo direste mai, a pattinare sul ghiaccio sul lago di Lavarone, sotto una nevicata mai vista prima. Tra il 2005 e il 2006 ero a vedere i fuochi d'artificio sul lago di Vevey, in Svizzera, inzuppato d'acqua perché io l'ombrello non lo porto per davvero. Tra il 2007 e il 2008 ero assieme a delle persone, molte delle quali non rivedrò mai più; ed è una cosa oltremodo normale, e che finalmente riesce a non farmi più né caldo e né freddo.
Anche questo è l'anno che sta per essere passato; domani sarò con altri che mi entrano nella testa per non uscirne mai più. Poi si avvierà un altr'anno che, come tutti gli altri, sarà fatto di tutto e di niente. Che sarà, al tempo stesso, inutile e fondamentale. Che sarà un'altra parte della propria vita. Altre persone verranno, ed altre se ne andranno; verranno scritti ed espressi altri modi per affermare una presenza che, come da sua natura, sempre sfuma nel gocciolìo del tempo; finché qualcuno o qualcosa non si deciderà a chiudere quel dannato rubinetto. Ma per ora continua a gocciolare, e quel tìc tòc sono io, e siete voi, e siamo noi.