lunedì 11 gennaio 2010

Dell'inutilità dello schifo


Parto da un presupposto, già enunciato del resto nel titolo del post. Lo schifo è diventato del tutto inutile. Può darsi che ci siano state epoche, periodi, frangenti in cui manifestarlo, esprimerlo, dichiararlo più o meno a gran voce abbia rivestito una qualche utilità; ora non serve più a niente di concreto. Serve, al massimo, a dire "io non ci sto" o "io non sono come quelli"; ma, a pensarci bene, gliene importa qualcosa a qualcuno? Nella pratica, serve a mobilitare? Serve a smuovere? Serve a far cessare gli schifi, o quantomeno a moderarli? No.

Spiace dirlo, senz'altro; ma tutto questo grand'ischifo che si legge e si "percepisce" ovunque, puzza sempre più di vuoto. Gli schifi, che sono giornalieri, vengono attraversati e dimenticati con la massima facilità. Da Stefano Cucchi si passa alle mostresse di Pistoia; dalle mostresse di Pistoia al "paese dell'amore"; dal "paese dell'amore" a Rosarno. Da Rosarno si passerà, domani, a qualcos'altro. Sempre con il suo codazzo di dichiarazioni schifate, indignate, rassegnate, eccetera. Lo schifo non sedimenta più in ribellione, in rivolta; e, allora, diviene un semplice esercizio di stile.

Fa schifo "essere italiani"? Ci sono caterve di francesi cui fa schifo essere francesi. Plètore di americani cui fa schifo essere americani. Ho abitato in Svizzera per alcuni anni e ho conosciuto persino degli svizzeri cui faceva un immenso schifo essere svizzeri. Il cosiddetto schifo nazionale, nelle modalità in cui viene ora generalmente espresso, comincia a non attenermi più. Non mi fa più schifo "essere italiano" di quanto non me ne faccia appartenere alla razza umana. Allora, forse, sarebbe meglio (ri)cominciare a cambiare registro.

Ad esempio, com'è possibile esprimere roboanti schifi per la classe politica italiana, e poi continuare a andare a votare? Si ha presente il famoso detto argentino, Que se vayan todos!? Eppure mi sembra di notare, e anche fortemente, un desiderio del genere; salvo poi, ad ogni "elezione", mettersi in fila diligenti al seggetto e andare ad avallare quella stessa "classe politica" che fa tanto schifo. Bene, allora basterebbe starsene a casa, o andare da qualche altra parte. L'espressione autentica della sfiducia dei cittadini in una "classe politica" non può essere altro che non stare al suo gioco. E non sto invitando tutti a una vaga "anarchia" o roba del genere; sto invitando ad esprimersi seriamente affinché il non-voto abbia una precisa valenza politica. Inequivocabile. Andatevene tutti affanculo.

E lo stesso vale per gli schifi ondivaghi che seguono gli eventi quotidiani. Lamentazioni e basta. Che cosa si fa, nella merdosa pratica delle cose? Ci si mette a una bella tastiera, si pigia e si pigia e vengono fuori, ogni giorno, delle belle cose che ci leggiamo a vicenda. A che servono, se non accendono micce? A proposito di Rosarno, ho dei forti dubbi che gli immigrati che si sono ribellati tenessero dei blogghini o delle paginette Facebook. Così come non credo che li tenessero i ragazzi delle banlieues francesi. Ci vogliono far credere che le rivolte "viaggiano per la Rete", ma quando scoppiano sul serio, scoppiano nel caro vecchio modo. Fucili, spranghe, fuoco, coltelli. Per la Rete non viaggia proprio un cazzo, a parte i commenti e i commentini di chi se ne sta generalmente col culo bello al caldo, me compreso.

Credo che siamo oramai arrivati ad un punto in cui, in condizioni normali d'altre epoche (e nemmeno poi lontane) i germi di una rivolta generalizzata dovrebbero esserci tutti. Mi guardo attorno, e niente riesce a convincermi che il '68 è scoppiato per molto meno. Giro per città militarizzate, impaurite, ridotte a falsi decori uniti ai degradi. Con il pretesto della sicurezza trasformano una società in una galera. Le scuole ridotte a "regolamenti" un decimo dei quali avrebbero, verso il '69 o il '70, dato luogo non alle okkupazioni, ma a un trattamento di sani calci nel culo ai signori présidi-sceriffi; scuole che avviano al precariato, alla vuotezza di un "lavoro" che da schiavitù perlomeno stipendiata è passato ad essere schiavitù dell'incertezza sottopagata. Ci hanno fatto credere che l'ideologia è male, che la coscienza di classe è male, che lo scontro sociale è male, che tutto deve essere improntato alla legalità; ed eccoci qua. Ad esprimere il nostro "schifo" sui blogghi. A bearci e a pascerci di Internet come "ultimo baluardo" (ma de che?!?) e a credere di "poter fare". Beh, guardate che anche Internet ce la stanno puppando.

Ogni tanto, scoppia una rivolta. Disperata o meno, scoppia. Ed è sempre lontanissima da noi. Le banlieues sono lontane. Anche Rosarno è lontana. Gli Zapatisti del Chiapas? Ma ve ne rendete conto dov'è il Chiapas? E, oltretutto, siamo anche noi sempre più lontani da noi stessi. Ci rinchiudiamo invece di uscire. Chi nelle proprie malinconie, chi nelle storie passate, chi nelle musiche, chi in mille e mille altre cose. Abdicando così al nostro essere vivi. Siamo morti. Scoppiasse domani una rivolta accanto a noi, ce ne staremmo probabilmente a guardarla come uno spettacolo. Non sapremmo prendere posizione. Non sapremmo dove stare. Altro che "barricate". Figurarci poi se la rivolta fossimo noi a doverla far scoppiare, nonostante tutti i nostri begli schifi. Preferiamo "far viaggiare le idee", ma il viaggio si conclude presto e sempre allo stesso modo.

E, allora, smettiamola anche di provare così tanto "schifo", perché ci siamo nel mezzo anche noi. Affogati fino al collo. Mai disposti a rischiare. Mai disposti a metterci o rimetterci in gioco. Abbiamo le nostre formulette buone per ogni uso, i nostri pretesti, le nostre ragioni sempre valide. Comunque vada, un piatto di minestra ce lo abbiamo, al pari di un letto, di una televisione e di uno stadio. Poi ci diciamo invariabilmente, e con il massimo schifo, che quei poveri immigrati sfruttati "hanno fatto bene" a ribellarsi; ma dovremmo un po' provare a vivere come loro. A non aver più nulla. Eppure c'è stato un tempo in cui tutto questo non era necessario. In cui la ribellione era una rigenerazione. In cui la confusione era, in realtà, una trasfusione. In cui si era vivi. Anche in questo paese. E se prendessimo di nuovo questa idea in considerazione, invece di sdilinquirci in schifi, schifetti e schifoni?