lunedì 18 ottobre 2010

Bandiere, ispettori, rulli di Tamburini e un'antica Internazionale


Poiché Livorno la conosco bene, anzi molto bene, capisco che sia tuttora non facile, in quella città, essere un centrodestro. Attenzione: un centrodestro, non un fascista. Contrariamente a quello che si crede generalmente, a Livorno di fascisti ce ne sono parecchi, e pure qualche fascistone bello e buono. E non hanno mai avuto eccessivi problemi. Abitavo, a Livorno, all'inizio di via Garibaldi (all'angolo con via della Campana); via San Marco, dove si trovano i resti dell'omonimo teatro nel quale ebbe fondazione, nel 1921, il Partito Comunista d'Italia, si trova nemmeno a cinquecento metri da lì. Basta farsi gli Scali delle Cantine, passare il Pontino e s'è bell'e arrivati. Un quartiere dove, quando ci abitavo, Rifondazione Comunista pigliava quasi il 40% dei voti. C'era una sezione del medesimo partito in via del Leone, intitolata a Ilio Barontini. In via delle Lastre, a pochi metri di distanza, c'era invece la sede livornese della Fiamma Tricolore. Tanto per dire, insomma. Non che la cosa mi sia mai interessata granché, ma il fascismo, a Livorno, è sempre allignato e senza la benché minima remora; e forse sarà anche bene ricordare che una delle principali attrattive di Livorno, la splendida terrazza sul mare che ora va sotto il nome di Terrazza Mascagni, fu fatta costruire dal gerarca fascista livornese Costanzo Ciano, il padre di Galeazzo. E fino alla caduta del regime si chiamò, di conseguenza, Terrazza Ciano.

Sì, d'accordo; ma qui si sta parlando di centrodestri. Quelli del duemiladieci. Quelli del Giornale. Quelli là, e non solo loro. In questo caso non si può parlare nemmeno di fascisti, perché questi non sono realmente niente. Più vo avanti, e più mi appaiono totalmente slegati dalla realtà, svaniti, con la mente a battere la campagna. Ora, ad esempio, ce l'hanno con delle bandiere rosse che, secondo loro, "sventolerebbero su una scuola"; naturalmente, un'idiozia del genere altro non poteva che provenire dal Giornale, e non poteva che essere raccolta dalla Gelmini. La quale si è immediatamente attivata per mandare degli ispettori a verificare. Ora, dovete sapere che a Livorno, in quel luogo storico, di bandiere rosse ce ne sono sempre state. Ogni anno. Non sventolano su una scuola, ma su quel che resta di un teatro il quale, come tutta Livorno, fu pressoché polverizzato dai bombardamenti della II guerra mondiale. Livorno ha subito 91 bombardamenti aerei a partire dal primo, quello rovinoso del 28 maggio 1943. Del suo centro storico di impianto mediceo non è rimasto quasi niente, a parte quel po' di Venezia che comincia proprio alla fine di via San Marco. Se uno si premura di fare ancora qualche passo e raggiungere il viale Caprera e il Logo Pio, le rovine della guerra le vede ancora. In Piazza dei Legnami, sempre a pochi metri da via San Marco, uno stabile ancora in rovine dalla guerra è stato rimesso in sesto (e trasformato in residence) soltanto pochi anni fa, proprio quando stavo a Livorno. La scuola, in via San Marco, ce l'hanno messa dopo. È sulle rovine del teatro San Marco, mai ricostruito, che sventolano le bandiere rosse. Se ne sono accorti ora, però, perché hanno avuto da trovare qualcosa a cui attaccarsi dopo che una scuola, e stavolta una autentica e costruita ex novo, è stata riempita in ogni centimetro quadrato dei simboli di un partito xenofobo, razzista, nazista. Verrebbe da dire: naturalmente. Il giornaletto dell'inventore di "attentati" (visto come non se ne sta parlando assolutamente più?) scova e Attila Gelmini esegue. Quella che ben presto riuscirà ad affiancare altre rovine a quelle del teatro San Marco, così non ci saranno più problemi. Le rovine della Scuola Pubblica. Quella che pompa soldi pubblici nelle scuole private, che di simboli, croci, santi e madonne ne ostentano a loro piacimento.

Non soltanto le bandiere. A Livorno, tra i centrodestri, c'è anche tale signor Bruno Tamburini. Dicevo prima: slegati dalla realtà, svaniti. Ora mi chiedo anche dove sia vissuto finora questo Tamburini, che fa persino il consigliere comunale; stava forse nelle campagne di Cenaia, dallo zio Gosto? Oppure ancora non ha trovato il senso giusto per scendere giù da via di Popogna? Non si è mai mosso da Quercianella? Sì, perché il signor Tamburini ha scoperto soltanto nell'ottobre del 2010 che in via San Marco, sulle rovine del teatro eccetera, c'è una lapide che ricorda la fondazione del PCdI. La quale sta lì esattamente da 61 anni (fu apposta nel 1949) ed è, probabilmente, la lapide più famosa di tutta Livorno. Contiene, tra gli altri, il nome di Stalin. "Quando il consigliere comunale Bruno Tamburini (PdL) se n'è accorto, ha subito gridato allo scandalo". Lo scandalo mi sembra invece che un livornese che è stato messo lì, non si sa per quali eccelsi meriti, a fare il consigliere comunale, sia totalmente ignorante della sua città e della sua storia. A Livorno, quella lapide la conoscono pure i bambini, i gatti, i cani e i pisani; solo il signor Tamburini Bruno se n'è accorto da un paio di giorni.

Si dice a volte, di qualcuno un po' tonto o distratto, che non riuscirebbe nemmeno a trovare l'acqua in mare. A Livorno, che è città di mare, questo mi sembra ancora più grave; anche perché suona falso lontano un miglio. In realtà, il Tamburini la lapide la conosce benissimo. In via San Marco ci sarà stato e ristato. Con la sua uscita, appaiata a quella del Giornale e di monna Gelmini, ha soltato inteso ribadire il nulla di cui il "PdL", livornese, toscano e nazionale, è fatto. Essendo il nulla, si attacca al nulla. C'è Stalin sulla lapide? Beh, al Tamburini livornese si potrebbero ricordare ben altre vestigia che Livorno presenta. Presenta, soprattutto, la sua totale distruzione grazie a una guerra scatenata dal nazifascismo.


E tanto che ci sono, vorrei far anche leggere al Tamburini, ai tamburini tutti produttori di rulli che fanno tanto rumore e poi si perdono nel silenzio, ai Giornali e ai poveri centrodestri che ora come ora verrebbero schifati persino dai pochi fascisti autentici rimasti, che cosa si cantava a Livorno negli anni in cui si apponevano certe lapidi sulle sue macerie. Si cantava una versione dell'Internazionale che mi fu insegnata quand'ero là, da un anziano comunista che ancora se la ricordava. Faceva così, e sono certo che il signor Tamburini non ne sospetta nemmeno l'esistenza. Scriva un po' al suo Giornale per cancellarmela, e vediamo un po'.

L'INTERNAZIONALE DEI PORTUALI LIVORNESI

Compagni! Avanti, al porto, al mare
si va da tutta la città!
Il popol vuole lavorare,
e non esser mai più sfruttà.
Noi marciamo qui sulle rovine
d’una guerra che ci schiantò,
ma ora sorgon le mattine
di nuova forza che ci animò!

E’ la lotta finale,
dei compagni sul mar!
L’Internazionale
andiamo a realizzar.
Lottiam per l’ideale
che vogliamo istigar,
L’Internazionale
il mondo cambierà!

Dal mare s’alzan grida forti,
di marinar, di pescator;
sono i compagni che son morti
per combattere l’oppressor.
Non c’è posto qui, vile fascista
che dal mondo si scaccerà,
perché Livorno comunista
dalla miseria risorgerà!

E’ la lotta finale,
dei compagni sul mar!
L’Internazionale
andiamo a realizzar.
Lottiam per l’ideale
che vogliamo istigar,
L’Internazionale
il mondo cambierà!

Sarà la lotta d’ogni giorno,
sarà la lotta del portual;
noi volgerem lo sguardo attorno
riprendendoci l’ideal!
Nasce già da rovine e macerie
l’alba nuova dell’avvenir;
rinasce ognor dall’intemperie
una speranza e non vuol morir.

E’ la lotta finale,
dei compagni sul mar!
L’Internazionale
andiamo a realizzar.
Lottiam per l’ideale
che vogliamo istigar,
L’Internazionale
il mondo cambierà!

E il popolo di tutto il mondo
s’unisce a noi per terra e mar;
non più schiacciato e moribondo
presto si andrà a ribellar!
Forza, unione e organizzazione
e lo sciopero general;
avanti alla Rivoluzione,
lottiamo pel nostro Germinal!

E’ la lotta finale,
dei compagni sul mar!
L’Internazionale
andiamo a realizzar.
Lottiam per l’ideale
che vogliamo istigar,
L’Internazionale
il mondo cambierà!