Per il resto, l'immediatezza ha riservato il solito, schifoso copione. Si sono stupiti di un annuncio di morte in diretta TV, ma ora come ora è una cosa del tutto normale. Non è neppure sciacallaggio, come lo chiama qualcuno; è quel che tutti, e ribadisco tutti, ci siamo preparati. Ci siamo scientificamente preparati l'ammasso del nostro cervello e ci siamo anche fabbricati le giustificazioni, sovente indignate. Tutti a dire, ad esempio, che la TV non ha colpe in sé, e che dipende dall'uso che se ne fa; nel frattempo era la TV a fare uso di noi, tranquilla, implacabile, accattivante. Quindi nessuna finta indignazione: la faccia impietrita della madre di Sarah ha sortito perfettamente l'effetto che si voleva.
Creare forche. Creare l'orco. L'orco, diciamocelo francamente, fa un comodo terribile. È nato, l'orco, riciclando quello che fu l'inferno pagano. L'inferno pagano perse la partita assieme a tutti i suoi dèi e i suoi demoni, sostituito dall'inferno tribunalizio del monodìo palestinese; perdendo la partita, retrocesse. Come in un campionato. Fu retrocesso a mostro delle fiabe, a mangiabambini. In questo si è assicurato un continuum, nella sua eterna serie B. L'inferno ha Dante Alighieri, l'orco ha un qualsiasi contadino pugliese che strangola la nipote quindicenne e ne violenta il cadavere. Lo zio orco, o l'orco zio.
Nessuno a parte poche, naturalmente, che faccia presente brutalmente un paio di cose. La prima è che la qualifica di orco bisogna guadagnarsela, per lorsignori. Sono loro, dalle loro tv e dai loro giornali di merda, a attribuirla. Lo zio che, come chissà quanti altri zii, ammazza la nipote; anzi, meglio, lo zio brutto e vecchio che ammazza la nipote giovanissima e bellissima. In questo si ripetono perfettamente gli archetipi della fiaba, come sa chiunque abbia letto il caro vecchio Propp. Si consideri bene come, nelle fiabe autenticamente popolari, il "cattivo" sia sovente proprio uno zio. Le fiabe non sono storie per bambini; dietro qualsiasi fiaba con l'orco ci sono generazioni intere, e da secoli e secoli, di zii pugliesi e di Sarah senza nome. In questo caso ci si guadagna la qualifica di orco.
Puntare invece un fucile alla tempia della figlia di 3 anni, sterminare la famiglia intera nel sonno, inseguire la moglie per le scale con un revolver carico (e scaricarlo), mettersi all'agguato della fidanzatina sedicenne che passa in bici e abbatterla, prendere la prima donna che passa e massacrarla a calci e pugni, ecctera, non dà diritto ad essere orchi. Tutt'altro. La cosa fa piuttosto passare nel novero dei santi. Affari che vanno male, depressione, solitudine ("lo hanno lasciato solo!"), separazioni, l'immancabile gelosia, l'angoscia, le disperazioni, aggiungere tre gocce di Tabasco e mescolare bene; e allora si vola in cielo. Ecco, contro questi quotidiani voli in cielo sarebbe ora di usare un po' la contraerea. Dicendo ad esempio che tutti questi paparini, maritini, fidanzatini depressi e soli non sono affatto meno orchi dello zio di Sarah. E lo restano anche se poi si ammazzano. Sarebbe una contraerea efficacissima, questa.
Per essere orchi, poi, la componente etnico-religiosa è necessaria. Non può esistere un orco pakistano o un orco rumeno. Un pakistano che ammazza la moglie a sassate o la figlia è un patriarca, oppure schiavo di tradizioni. Un rumeno che stupra una dodicenne è portatore di una cultura violenta. In questi casi si scomodano i ministri. Un orco vero, invece, deve avere il cappellino da pescatore, parlare un dialetto italiano, avere una Panda rossa, andare in televisione; capace fosse anche devoto 'e pPadre pPìe, questo simpaticone! E deve anche provocare applausi alla bara della sua vittima. Diceva bene il commissario Montalbano:"Si vede che sono contenti. Gli applausi si fanno quando si è contenti, vuol dire che sono felici che sia morta."
Il femminicida pakistano suscita riflessioni sull'integrazione e sulla cultura e serve perfettamente a scatenare gli istinti razzisti della gente. L'orco italiano, invece, serve per scatenare gli istinti forcaioli. Pene di morte a gogò; ergastoli con chiavi buttate via; galere su galere. Oggi, in una galera italiana, è morta la cinquantatreesima persona dall'inizio dell'anno. In Italia la pena di morte c'è già. Inutile che la invochino tanto, gli editorialisti e la gente. C'è la pena di morte e ci sono i lager, noti sotto varie sigle; e poiché la cosa è chiarissima, appare altrettanto chiaro che gli appelli alle esecuzioni capitali servono unicamente ad eccitare ancora di più i più bassi istinti della folla.
In mezzo a tutto questo, le donne. Di qualsiasi età. Di qualsiasi aspetto. Bellissime adolescenti come Sarah e povere ottantenni. Madri di famiglia e prostitute. Donne ricche e donne che non hanno nulla. Italiane e straniere. Perché le donne, in realtà, non hanno nessuna etnia: sono soltanto fiche con qualche chilo di carne attorno. Contenitori di figli e forza lavoro low cost. Incocciano nel marito violento come nello zio col cappellino da pescatore. Nel padre-padrone come nel datore di lavoro rispettabile. Nella violenza della casa e in quella dello Stato. Nella famiglia-focolare come nel branco di lupi con le Hogan. Nel silenzio del mondo che le circonda e nelle morali di dèi e chiese. E non c'è proprio nessunissima differenza: tutti orchi. Ma non si può dirlo, perché dirlo significherebbe attentare a tante, troppe cose. Dirlo significherebbe spegnere la trasmissione nel momento di massima audience. Dirlo significherebbe non avere più una coscienza manipolata. Dirlo equivarrebbe a individuare il vero orco, che è un sistema socioeconomico intero. E allora non restano che gli applausi alla bara, gli striscioni forcaioli e il sor vescovo che, fra un'omelia e un invito al perdono, salmodia e santifica l'orco Dio.