Ci disse, sottovoce, d'essere l'eco d'un ideale e la visione di cose future. Già pronti a rimontare sulla R4 targata Smirne, ed a passare il vicino confine turco pur consci degli incerti eventi che ci avrebbero atteso, fummo trattenuti da una mano grossa, possente, di montanaro. “Forse non avete bevuto abbastanza”, ci disse; Markos Oualdos M.Y. scosse il capo con un sorriso beffardo, aprì il portabagagli dell'autovettura e mostrò allo sconosciuto le dodici bottiglie di raki che ci eravamo scolate, vuote come lo spazio intersiderale. “Forse mi sbagliavo”, disse con voce cavernosa lo sconosciuto. “Venite con me.”
E ci addentrammo lievi, allontanandoci dal porto, per la città. Blaterava, in un dialetto che comprendevamo solo parzialmente, delle cose su Procopio di Cesarea. Si fermò a una fontanella che buttava acqua freschissima. “Conoscete....”
Si ardì a parlare una delle donne, quasi trasecolata. “Conosciamo...?”; ne seguì un breve silenzio assoluto, che a tutti parve durare secoli.
“Conoscete...l'Anarchein?” Usava quell'antico infinito del verbo anarchô. Nato prima del sostantivo. Prima l'azione; il vivere senza governo e senza regole, sicuramente, ma anche l'etimologico non-inizio. An-archô. Vivere senza regole è non avere alcun inizio. Qualcuno, timidamente, pensò al romanzo che Pasolini stava scrivendo quando fu ucciso, “Petrolio”, che non comincia. “Questo romanzo non comincia”, sta scritto esattamente sulla prima pagina del manoscritto. E la regola, il reggimento, la parata, la schiera devono per forza di cose avere un inizio e una fine. Anarchein significa invece prescindere dalle estremità borghesi. Significa non avere né inizio e né fine; e, di conseguenza, anarchein è l'unico vero e valido sistema per sconfiggere la morte.
Senza dèi, senza paradisi, senza trascendenze. Con quella semplice domanda, il gigantesco sconosciuto dalla voce di macigno bleso aveva già dato la risposta. Conosciamo? La conoscenza, per i vicoli di Bisanzio dai mille nomi, appariva chiara negli sguardi e nelle facce di milioni di vite che solo possedevano se stesse, e che negli sguardi e nelle facce trovavano l'unica e vera ragione di esistere. Aveva, lo sconosciuto, nelle tasche tre bombe accese.
Tre palle scure, tre micce che ardevano, lentamente, inesorabilmente. “Salteremo tutti quanti in aria”, disse dolcemente l'altra delle donne. “Mai”, rispose. “Noi non moriremo. Siamo morti mille volte e rinati altrettante. Bevete, bevete ancora”, e tirò fuori da un'altra tasca una bottiglietta d'un liquido scuro e fortissimo, distillato dal sangue di re.
In quel preciso momento, il mago traeva oroscopi di salute e prosperità per il potente. Giustiniano e Teodora, con le loro leggi, con il loro Autocratore ad uso e consumo dell'oppressione delle plebi. Aleksandr Nevackij, variago del regno di Kiev, non faceva festa. Lui aveva capito; e il mago Masetathios, manipolatore di atomi, continuava e continuava. La R4 stava avvicinandosi, percorrendo oscuri angiporti, al palazzo dell'Imperatore.
Lo scoppio fu udito da entrambi i continenti. Una chitarra di luce descrisse una giravolta indicibile sopra lo stretto del Bosforo. Markos Oualdos M.Y., che era alla guida, ingranò la seconda per partire come si fa sul ghiaccio; la macchina si sollevò piano, sopra Bisanzio che forse non è mai esistita, carburata a dure razioni d'alcool al tempo stesso nobile e proletario. “Avete visto.” Avevamo visto e fatto. Accorrevano le plebi smisurate, gli alamanni e i goti, accorrevano le empietà. Il palazzo non esisteva più.
Su una spiaggia. Al sole. Ci amavamo tutti disperatamente. Ci cercavano. Forse ci avrebbero trovati. Forse non ci avrebbero mai trovati. Forse siamo tutti. Forse siamo niente. Lo sconosciuto, malgrado il sole terrificante, non si toglieva il pastrano e il cappello. Ci trovassero pure. Avevamo sconfitto la morte, avevamo sbeffeggiato Dio.
Ché siamo nati per marciare sulla testa dei re; e ai re, qualche volta, la testa scoppia.
Cosa scritta il 4 giugno 2009 a commento di una canzone che parecchi conosceranno. Poiché stasera è proprio una di quelle sere, di ritorno da un ospedale, credo che un mestesso abbia detto ad un altro mestesso di metterla anche qui. Segue la traduzione della canzone in greco bizantino, perché non appartengo a coloro che amano cianciare di Ellade in lingua italiana.
Καὶ αὐτὸ τὸ βράδυ ἀνέτειλε ἡ σηλήνη
ἐν χρώματι πνιγμένη πάρα πολύ ἐρυθρῷ και ἀορίστῳ,
ὁ Ἑσπῆρ οὐχ ὁρᾶται, ἐσκοτεινιάσθη,
ἡ τοῦ στύλου αἰχμὴ ἐσπάσθη,
τί ὡροσκόπιον δύνασαι νὰ βάλεις, Μάγε ;
Ἐγώ ὁ Φιλεμάθιος, πρωτοιατρὸς μαθηματικὸς ἀστρονόμος καὶ τοῖνυν σώφρων
καταντημένος νὰ προχωρῶ γύρῳ, ψηλαφῶν εἰς τὰ τυφλά
οὐκ ἔχω τὴν γνῶσιν, ἢ μᾶλλον τὸν θάρρον
νὰ βάλω τὸ ὡροσκόπιον αὐτὸ, νὰ μαντεύσω
καὶ ἕστηκα ἐδῶ περιμένων νέαν ἡμέραν
Καὶ δὴ λέγω, καὶ δὴ λέγω ἐμὲ πάρα πολὺ εἶναι γέρον νὰ καταλάβω,
τὸν νοῦν ἐμοῦ τὸν ἔχασα τίς οἷδε εἰς ποιόν ἐλάττωμα ἢ ἀπραξίαν,
ἀλλ'ἀλλάζονται οἱ ἁστέρες ἐν ταῖς νυξὶ ταῖς ἰσημερικαῖς,
ἐγὼ ἵσως, ἐγὼ ἵσως τοῦτον τὸν νέον θεὸν ὑπετίμησα,
ἐν εμοὶ μὲν ἀναγινώσκω καὶ ἐν τοῖς σήμασι ὅτι ὑπάρχει ἀλλαγή,
ἀλλὰ δ'εἶναι ἀδύνατον προαίσθημα οὐ λέγον πῶς καὶ πότε...
Τὰς προνύκτες ὑπῆγον σχεδὸν ἀσυνείδητος
εἰς τὸν λιμένα τὸν Βωσφορεῖον, ἐκεῖ ὅπου χάνεται
ἡ γῆ μέν ἐν τῇ θαλάσσᾳ ἐὰν καί ἐν τῷ μηδενί
καὶ δ'ἡ γῆ ἐξαναγίνεται οὐκ οὖσα μᾶλλον δύσις
τί ἐνδιαφέρει τὴν θάλασσαν νἆναι γαλάζιαν ἢ πράσινην ;
Ἤκουον τὰ ᾅσματα τὰ αἰσχρὰ τῶν μεθυσμένων,
ἀνθρώπων βαμμένους καὶ κενοὺς ὀφθαλμοὐς ἐχόντων...
ἱπποδρόμον, πορνεῖα καὶ βορείους στρατιώτας,
φωνάξετε Ῥωμαῖοι καὶ Ἕλληνες, ποὺ ὑπήγατε ;
Ἤκουον βλασφημίας ἀλλημαννιστὶ καὶ γοτθιστί...
Παράλογος πόλις, παράξενη πόλις αὐτοῦ τοῦ πορνογάμου αὐτοκράτορος,
ἀπείρων ὀχλῶν, λαβυρίνθων καὶ ἐκλύσεως,
βαρβάρων ὅπου ἵσως ἥδη ἐξῆυρον τὴν ἀλήθειαν,
φιλοσόφων καὶ ἑταιρῶν, κρεμασμένη μεταξύ δυονῶν κόσμων καὶ δυονῶν ἐποχῶν,
ἡ τύχη ἢ ὁ χρόνος μὴ μακρυνὴν ἡμέραν ἀπεφάσισαν,
ἢ θὰ ᾐθεῖτο ἡ μοῖρα νὰ ἐκλέξει τὴν χεῖρα ἐμοῦ, ἀλλά...
Βυζάνθιον ἵσως εἶναι σύμβολον ἀόρατον,
μυστικὸν καὶ διφορούμενον ὥσπερ ὁ βίος,
Βυζάνθιον εἶναι μύθος ἐμοί οὐκ ὢν συνήθης,
Βυζάνθιον εἶναι ὄναρ γινόμενον ἀτελές,
Βυζάνθιον ἵσως οὐχ ὑπῆρξε οὔθ' ὑπάρχει
καῖτοι οὐχ οἷδα, καὶ ἄλλη νύξ ἐπέρασε,
ὁ Φωσφόρος ἥδ' ἀνέτειλε, ἢ εἶναι ἡ ἡλικὶα ἐμοῦ ἡ ἄρρωστη,
βίον ἐπαίρω διὰ θάνατον, οὐχ οἷδα πώτερον ἐπέρασε,
τὴν κεφαλὴν τῷ ὑποδήματι καλύπτω οὐκ ἀκούων,
μὲ λαμβάνει ὁ ὕπνος,
μὲ λαμβάνει ὁ ὕπνος,
μὲ λαμβάνει ὁ ὕπνος.