martedì 26 ottobre 2010

La bolletta della luce


C'era un ragazzo, stasera tardi quando sono tornato a casa, appoggiato a una macchina nel parcheggio buio. Non sono più le chiare notti d'estate, queste; l'autunno avanza a gran passi, e l'inverno è appena là oltre la soglia. Nel cielo, una luna che si perde tra le agitate danze delle nuvole; e le ultime zanzare a ronzarsi la loro ora estrema. Stava là, appoggiato a una vettura che poteva o non poteva essere la sua; in silenzio, a fumare una sigaretta, quieto, con la testa bassa.

Quando rientro, a ore talvolta non ordinarie, non c'è mai nessuno. La pizzeria è già chiusa da un pezzo, e non c'è nemmeno un lampione; rare anche le finestre ancora illuminate che si scorgono. Di fronte, il campo sportivo è spettrale; come se vi si stesse svolgendo una partita d'un'altra e sconosciuta dimensione. Mi accade sovente di dover parcheggiare proprio nella zona più lontana dall'ingresso di casa, e di aver da attraversare tutto quel piccolo mare oscuro; ma, forse stranamente, non mi incute nessuna paura. Non vedo briganti pronti ad assalirmi, e coi fantasmi ho una certa qual consuetudine come tutti quanti. Assieme ai fantasmi passiamo la vita intera, e si arriva ad un punto in cui ritrovarsene uno davanti in un parcheggio buio, ad un'ora pur che sia autunnale e tetra, non farebbe nessuna impressione neppure se sciorinasse tutti gli ammennicoli del visionario di Providence. Lo si potrebbe quasi invitare a scendere, aprire la porta e offrirgli un bicchierino di sambuca.

Ma quel ragazzo non era un fantasma. Era là, appoggiato alla macchina, e fumava come se quella sigaretta non dovesse finire mai. Come fosse l'ultima di un condannato a morte. Ho provato un imbarazzo terribile, inconsueto; come se stessi, seppur involontariamente, violentando qualcosa. Di solito, quando arrivo, sbatto la portiera della macchina con un moto quasi di rabbia; e bravi voi, a dormirvela alla grossa mentre a me è toccato tornare a quest'ora perché, oltre al lavoro, mi sono dovuto sorbire una riunione sui consorzi per le emergenze sanitarie. E allora tiè, beccatevi 'sta sportellata, ché magari vi sveglia. Stavolta no. Ho chiuso delicatamente lo sportello, cercando di fare il meno rumore possibile. In mano, le chiavi sembrava quasi ballassero; mi sono cadute per terra.

Potevo, chissà, essere l'ultima persona che quel ragazzo avrebbe vista. E mi sono sentito maledettamente fuori luogo, sbagliato nel posto sbagliato. E capivo anche fin troppo bene, ricordandomi in una frazione di secondo di quante volte ho ricercato un posto scuro e fuori da ogni cosa, cacciando fuori il pacchetto di sigarette. Si diventa, in quei casi, una specie di mimo. Si ha da dire ogni cosa al niente e al silenzio, perché il niente e il silenzio possono essere i soli cui aver da dire davvero qualcosa. Si trasfigura in impercettibili gesti e si scompare nel nulla e nella finta del coraggio. E tutto ha una sua scansione millimetrica. Niente e nessuno dovrebbe comparire a disturbare quei momenti, perché potrebbero portare a tutto. Alla morte come a una nuova vita. Potevo, chissà, essere la prima persona che quel ragazzo avrebbe vista dopo essersi trasformato. Le trasformazioni sono questione di un secondo. L'istante prima si è da una parte, l'istante dopo da un'altra. La sigaretta viene accesa in un mondo, e spenta in uno differente.

Non si è mosso, mentre io, volendo fare in fretta, declinavo scrupolosamente ogni goffaggine che mi si stava scatenando. Lo zaino scivolato dalla spalla, il colpo di tosse convulsa, i passi che si allontanavano. E non ho osato voltarmi indietro mentre mi dirigevo verso il cancello dello scivolo, nemmeno quando ho visto sporgere una busta dalla cassetta della posta. Velocemente l'ho presa senza aprire la buca; non ho nemmeno guardato che cosa fosse.

Una volta entrato in casa, mentre il ragazzo forse era ancora là nel suo buio e possibilmente nel suo volo verso un oltre, mi sono accorto che era la bolletta della luce. Me l'aveva combinata bella, l'Enel: non si sa come, mi aveva modificato il contratto in utenza non residente. Dopo la terza o quarta fattura mostruosa, roba da 250 euro a botta, mi sono accorto della minuscola dicitura che specificava il tipo di utenza. E mi sono incazzato come una jena, attaccandomi ai numeri verdi, gialli e rossi del fornitore. Mi è toccato autocertificarmi, mandare fax, spedire il certificato storico di residenza; e alla fine quella bolletta che avevo in mano era a zero. Non solo: mi prennunciava pure un rimborso per tutto quel che avevo pagato ingiustamente per un loro ghiribizzo. O forse no, magari avevo sbagliato qualcosa io, forse non avevo spedito qualche documento. O chissà. Mi è venuta voglia, con in mano quel foglio di non pagamento, di accendere ogni cosa in casa; luci, lampadine, faretti, plafoniere, persino il forno. Un visibilio di luce. Un accecamento di fotoni. È andata a finire, poi, che ho acceso soltanto la lampadina economica del tavolino da lavoro, che son quasi tre anni che funziona senza essersi mai fulminata.

E così, due minuti fa, son tornato su nel parcheggio, facendo piano piano e camminando rasente al muro come un ladro di solitudini. Non sapevo perché; o, forse, volevo per una volta provare ad essere invisibile. C'era il gatto che passava, e quando passa un gatto nella notte sembra sempre che sia lui a trascinare le nuvole che giocano a rimpiattino con la luna e con ottobre, come fossero il suo aquilone. Il ragazzo non c'era più. La macchina c'era, invece, ancora. Per terra, il mozzicone di una sigaretta. E allora me ne sono accesa una anch'io, sperando che anche a lui fosse mandata un po' di luce senza doverla sempre pagare.