sabato 1 gennaio 2011

Brasile e altri Brasili


Centro Popolare Autogestito Firenze Sud, 31 dicembre 2010.

Galere e fughe....

La prima volta che Andrea Parodi ha suonato e cantato la canzone che segue davanti a me, circa un paio di anni fa se ben mi ricordo, ha detto che, “almeno in parte”, sarebbe “ispirata” al sottoscritto. Naturalmente mi fa piacere, anche se non so esattamente che parte io abbia in questo testo ancora “inedito” (nel senso non pubblicato in album; ma, come è noto, gli album di Andrea si fanno attendere svariati anni). Poco importa; essere anche parte ignota in una canzone come questa, che ha del meraviglioso, è per me una sorta di titolo, seppur pienamente immeritato. Chissà, forse la mia parte è quella del...porto di Livorno. Interpretare un porto intero, ed un porto sul quale certe notti “che tagliano più del vetro” le ho passate davvero, mi starebbe più che bene. C'è un altro porto, quello di Rio; sarà sicuramente quello de Janeiro, in Brasile. Per mio conto, di Rio ho soltanto Rio Marina, all'Elba.

Ma è una canzone di galera, questa. Una canzone di cella, anzi. Forse non si ha ben presente che quel che va sotto il nome di “galera” (“prigione”, “carcere”, “penitenziario”, “gattabuia”...) è in realtà un alveare chiuso; non per niente, di “celle” si parla proprio anche per gli alveari, per le arnie delle api. Un insieme di celle, di stanze chiuse ermeticamente nelle quali degli esseri umani vivono una vita sospesa da ogni cosa. Sopravvivono sognando, forse. Sognando la fuga. Per sognare la fuga ci vogliono dei ricordi precisi, oltre che le condizioni materiali per tentarla; ci vogliono immagini, rumori, odori.

Nelle celle delle galere, dicono, ci stanno gli “assassini”; e, in questa canzone, gli assassini sono in ogni riga. A partire dalla prima, dove l'assassino è l'ombra del vento, fino all'ultima dove l'assassina (a lama di coltello) è la notte. Il vento e la notte racchiudono gli assassini rinchiusi tra delle mura invalicabili, quasi fossero anche loro delle muraglie seppure impalpabili; chi è già fuggito, in un Brasile che è terra di fughe per eccellenza, e chi sogna di fuggire. Ci sono racconti di profumi, piano di azione, i pacchi e le lettere dall'esterno, e le speranze; c'è, soprattutto, una galleria. Il piano è messo in atto, il buco nella terra, l'avanzare lento. Qualcuno non ce la fa ed è ripreso “a metà galleria”; qualcun altro non può fare altro che uscire e tornare al porto di Livorno. Sembra quasi che il...seguito di questa canzone sia, poi, ”Dolce Luna” di Fabrizio de André, col suo porto paralizzato, con un altro omicidio, con la sua balena. E dal porto di Livorno, di navi per il Brasile ne partono, eccome se ne partono.

Un grande giorno per tutti, sì, quando si riesce a fuggire da una galera qualsiasi. Anche da quella del vento e della notte. Anche da quella che tutti noi ci costruiamo addosso giorno per giorno; finché, per dei casi fortuiti, a volte non ci ritroviamo in quelle edilizie, più o meno bene costruite, con le sbarre, il mangiare di casanza e l'imperativo di scavare una galleria pur non sapendo se a metà ci sarà a riprenderti l'autorità. Andrea Parodi, tutte queste cose ce le ha raccontate bene, in questa canzone di poveri, sgangherati Corti Maltesi alla deriva. Dei Corti Maltesi ai quali, a suo modo, ha scritto una ballata d'un mare amaro, onda dei fuggiaschi, abisso di noi stessi.


Il Brasile nel "Covo".


L'ombra del vento è un assassino
che ha ceduto al suo dolore,
Si è sdraiata dove passa il treno
a pochi passi dal tuo cuore.

Luigi parla poco, e quando parla
non ti dice cosa fare
Ti è rimasta soltanto quella pipa
e una casa da pagare.

Miralo bene,
colpisci da lontano
Respira, trattieni il fiato,
tieni ferma la tua mano.

A Livorno mi venne incontro un uomo
vestito da serpente,
Occhi rossi, grossi anelli, poca barba
e nemmeno un dente

Mi offrì da bere e un lavoro
sulla nave "Grazia di Dio",
Dopo tre mesi arrivammo in Brasile,
sul porto di Rio.

E i bambini ci venivano incontro
come si va incontro alla vita
E le madri sulle porte, le caviglie
gonfie e i rosari fra le dita.

Dopo tre anni mi consegnarono una lettera
che arrivava da Verona,
Dovevo costituirmi
per omicidio di persona.

È febbraio ed è l'ultima volta
che vedo questo mare,
Non è mai il momento giusto
per fermarsi a ricordare.

Non conosco mio padre
e non l'ho mai cercato,
Ma conservo ancora lo sguardo
e la voce che mi ha dato.

Non importa più chi sono,
se sia marzo oppure aprile
I compagni di cella
mi chiamano Brasile.

Gli racconto del profumo
del cacao e del caffè
e di questa strana nostalgia
che non sanno cos'è

Il tetto del cielo
infinito di questo viaggio,
la tristezza finirà domattina
dentro un altro tatuaggio.

Ettore ha ammazzato sua sorella
o l'ha aiutata a dormire,
Sono mesi che studia un piano
infallibile per farci uscire.

Proprio oggi ho ricevuto un'altra lettera
e la mia vecchia pipa,
Non mi sento di aprirla, fumavo sì,
ma in un'altra vita.

E domani riusciremo a fuggire
e sarà un grande giorno,
E chissà se mi aspetta un'altra nave
al porto di Livorno.

I miei compagni li hanno presi
a metà galleria,
E ora mi restano la mia ombra e una faina
a farmi compagnia.

Guarda avanti, non puoi
più tornare indietro,
Striscia nudo in mezzo al fieno, ché questa notte
taglia più del vetro.


BRASIL
de Andrea Parodi
Tradução de Riccardo Venturi.

A sombra do vento é um assassino
que cedeu a seu sofrimento,
Ela se deitou onde passa o trem,
a poucos passos do teu coração.

Luis fala pouco, e quando fala
não te diz o que fazer,
Ficou-te só aquele cachimbo
e uma casa ainda a pagar.

Aponta bem para ele,
Acerta de longe,
Respira, sustem o sopro,
aguenta a mão.


Em Livorno foi-me ao encontro um homem
vestido de serpente,
Olhos vermelhos, grossos anéis, a barba rala
e nem sequer um dente

Deu-me para beber e um trabalho
no barco “Graça de Deus”,
Três meses depois chegámos ao Brasil
no porto do Rio.

As crianças iam-nos ao encontro
como se vai ao encontro da vida,
E as mães, nas portas, com os tornozelos
inchados e os terços entre os dedos.


Três anos depois me entragaram uma carta
chegando de Verona,
Eu tinha que me entregar
por homicídio de pessoa.

É fevereiro e é a última vez
que eu vejo este mar,
Não é nunca o momento justo
de parar para lembrar.

Não conheço meu pai
e nunca o busquei,
Mas ainda tenho o olhar
e a voz que ele me deu.


Já não importa quem sou,
se é março ou abril,
Meus camaradas de cela
chamam-me Brasil.

Eu lhes conto do perfume
do cacau e do café
e desta saudade estranha
que não sabem o que é.

O telhado do céu
infinito daquesta viagem,
a tristeza vai acabar amanhã
em outra tatuagem.


Héctor matou sua irmã
ou ajudou-a a dormir,
Desde meses vai preparando um plano
infalível prá nos fazer sair.

Hoje mesmo recebei outra carta
e o meu velho cachimbo,
Mas não tenho coragem de a abrir,
eu fumava, sim, mas em outra vida.

E amanhã vamos conseguir sair,
e vai ser um grande dia,
E quem sabe se me esperar outro barco
no porto de Livorno.

Meus camaradas, os tomaram
a meio do túnel que cavaram,
E agora me ficam minha sombra e uma fuinha
que me fazem companhia.

Olha para a frente,
já não podes voltar para trás,
Rasteja no feno, esta noite
corta mais que o vidro.



Olhos de céu e sombra para a liberdade.