giovedì 17 marzo 2011

Lubriano (Viterbo), 16 marzo 1978.


Dobbiamo imitare i saggi della tribù,
gli anziani che impartiscono il segreto secolare;
e i saggi della folla non hanno alcun segreto
né da impartire né da occultare. Eppure:

ciascuno cerchi il suo modello
quelli che non ne hanno sono schiavi
come quelli che scelgono per un modello uno schiavo.

L'uomo libero insegna libertà,
il veritiero insegna verità,
il nobile insegna nobiltà.

La terra è piena di figli di nessuno;
eppure là, sulle vette dei secoli
si ergono come statue i grandi antenati
che a tanti morti diedero volto e voce.

Non troverete nel baratro un padre
ma in ciò che ancora non è stato travolto,
cospicua eredità rimasta senza eredi.

Juan Rodolfo Wilcock.

Juan Rodolfo Wilcock, mezzo argentino e mezzo inglese, poi sotterratosi a Roma con un repentino cambio di pelle e di lingua, e infine nella provincia dell'Italia centrale. Ha insegnato, a chi lo conosce, proprio questo: osservare il mondo da una posizione sotterranea, passarvi ai quattro lati con acutezza e ironia, e non scappare mai davanti ai significati più reconditi della parola -i quali fanno, sovente, più paura di un baratro buio e profondo. Volle concedersi un ultimo scherzo del destino; perlopiù ignorato in vita, morì la mattina del 16 marzo 1978 nella sua casa di Lubriano, in provincia di Viterbo, proprio mentre si compiva il rapimento di Aldo Moro e la strage della sua scorta. Non che se ne sarebbero accorti in molti anche senza questo episodio; ma, il giorno dopo, alla notizia furono riservate tre righe sul "Messaggero" di Roma, e poche di più in una pagina interna di un piccolo quotidiano locale viterbese. Era stato, fra le altre cose, un garbato ma terrificante cronista di costume nella Roma democristiana della dolce vita. Nel 1975 aveva richiesto la cittadinanza italiana, che gli fu concessa, in modo perfettamente wilcocchiano, un anno dopo che era morto. È sepolto al cimitero protestante di Roma, vicino alla Piramide Cestia.

Nello stesso anno 1978, poco dopo la sua morte, alla vecchia libreria Marzocco -dove passavo ore-, mi capitò per puro caso di sfogliare alcuni suoi volumetti (di poesie, di aforismi, di racconti) pubblicati dalla Adelphi; avevo quindici anni, e da allora non ho smesso di viaggiarci assieme, a Juan Rodolfo Wilcock. Di viaggiarci e di traslocarci; anche quando mi sono trasferito dove abito adesso, i tre libriccini di Wilcock che ho (gli altri non si trovano più e non bazzico eBay per scelta) vi sono arrivati subito, quando ancora c'erano soltanto il letto e un tavolino ("nella mia stanza non c'è nulla, tranne il fonografo e il letto"). Nella foto, Juan Rodolfo Wilcock sbadiglia coi suoi occhi chiarissimi, vivendo forse come parti imprescindibili di una vita l'ozio e persino la noia.