Ho la testa vuota. Sarà per la primavera, sarà per una certa qual implosione, sarà per tanti altri motivi che non occorre mettere in piazza. A un certo punto, qualche giorno fa, ho come staccato la spina; non mi va di vedere nessuno o quasi, appena c'è un filo di sole mi metto quasi a fotosintetizzare, do i croccantini al gatto e la voglia di lavorare, già poca di per sé, è ai minimi termini (e senza reload). Si aggiungano due cose: la prima è che, quest'anno, la primavera è cominciata facendo la primavera sul serio. La seconda è che, come all'inizio di ogni primavera, mia madre e mia zia sono trasmigrate all'Elba; e allora, sfruttando biecamente il padrone, ho prelevato un minibus, ci ho sistemato quel che mi resta della famiglia assieme a valigie, borse, sacchetti in Mater Bi e vasi di piante, e rotta verso l'Isola. Un giorno e mezzo. Nessuna feria, vestito in divisa, lo zaino-svizzero-sempre-quello (e oramai ridotto a un concio), la Settimana Enigmistica, il Solea di Izzo, dei racconti di Wu Ming e la Kodak. Insomma, nessun grande viaggio. Sempre la solita strada. Ormai proprio non me ne frega più un accidente di niente di vedere il mondo, ne ho già visto quanto me ne è bastato; e qui comincia questa storiella che più ordinaria non si può. Di personaggi ce n'è uno solo: io stesso. In perfetta e totale solitudine, una volta depositate mamma e zia, i loro bagagli sotto un sole che cominciava già a picchiare, e dopo essermi impantanato col furgone nel parcheggio di una parente (mi ha tirato fuori un cugino, pensate un po', agganciandomi con un'ambulanza; fa il mio stesso lavoro).
È una storia che ha a che fare con il sole, il mare, una strada e un bambino. I sole, il mare e la strada ce li ha messi l'Elba, il bambino ce l'ho messo io ed ancora una volta era me stesso. Appena finito di mangiare, ho preso il furgone, e via per l'Anello Occidentale, quella strada che a volte chiamo La Signora degli Anelli. Quante volte l'avrò fatta, in vita mia, da Marina di Campo a Marciana Alta? Nell'ordine delle migliaia, credo; e ogni volta che rimetto piede all'Elba bisogna che me la rifaccia, con ogni tempo, d'inverno e d'estate, in tutte le stagioni. Non dico che potrei farla a occhi chiusi, perché è bene anzi tenerli dimolto aperti se non si vuole provare l'ebbrezza di salutare il mondo volando giù in mare da un dirupo di cento metri e passa; e, poi, gli occhi chiusi impedirebbero di vedere in là. La Pianosa. Montecristo. La Corsica. La foschia che ricopre tutto; il mare calmo come un olio o in burrasca; i calanchi brulli spazzati dal vento o calcinati dal sole (nomi tipici della zona: via del Forno, Bollecaldaie, Seccheto). Se voglio mettermi paura da solo, penso alla volta in cui, senza rendermene conto, percorrerò quella strada per l'ultima volta; e siccome ogni volta potrebbe essere l'ultima, guardo e guardo. Perso in qualche ridda di pensieri. Andando a trenta all'ora, ché tanto non c'è nessuno di questa stagione e a quest'ora; e dico che la primavera impazza*.
Cavoli; a Cavoli non ci scendo quasi mai. Eppure, ora, non c'è nessuno. Fetovaia e tutto quel che è, quella dove ci mandai a imbarcarsi Piero Ciampi dopo una strana storia; Pomonte e il suo bar dove mowimy po polsku (c'è scritto su un cartello all'entrata, e immagino le torme di polacchi che vi si recano!); Pomonte con le sue ponentate. Chi non ha mai visto una sventagliata di ponente a Pomonte, non se ne rende nemmeno conto; pigliarsi sul muso gli spruzzi d'acqua salata già sulla provinciale, che corre almeno centocinquanta metri sopra la spiaggia sassosa e la scogliera. L'unico posto dove mi sia capitato di cominciarvi un viaggio assieme al cadavere di un annegato, di doverlo arrèggere e persino di parlargli ("ma che cazzo te l'ha fatto fare di buttarti in mare alle otto la sera col ponente?"; ma tanto non mi capiva, era un cadavere francese).
Poi, Chiessi.
Chiessi, per me, è l'approdo. È il luogo dove vorrei finire i miei giorni. È quel che vorrei avere negli occhi prima di dover percorrere, senza ritorno, un'altra strada appartenente alla provincia di Nowhere (la cui sigla dev'essere NW, perché NO è già Novara). È dove ho portato tutti coloro che, anche solo per un po', sono stati importanti nella mia vita. È dove sono andato a mettermi a sedere per cercare di risolvere i rebus. A Chiessi, stavolta, c'er un cane che se ne andava per i fatti suoi per la provinciale, scondinzolando sulla striscia di mezzeria; c'era, aperto, il bar della birra Domina; c'era una stupenda Mercedes decappottabile, ma questa è materia d'altro blog; c'era la fontana delle due vecchie guardiane; c'era l'inverno spazzato via; e c'era, come ogni volta, la voglia di non ripartire. Di fermarsi. Di pigliare il telefono e di dire a poche persone, che si contano sulle dita delle mani: Oh, se mi volete son qui. Poi, invece, riparto ogni volta. Il momento, ancora, non è arrivato; ma arriverà. E, quando arriverà, so già con che cosa mi metterò in mare:
Finisce qui la prima parte. Più tardi, sempre che qualcuno ne abbia la curiosità, dirò che cosa c'entrano lo Stecco Blocco e l'immagine dei gelati Sammontana che sta sotto il titolo. Arrivederci, come la nave!