di Valerio Evangelisti e di alcune sue confutazioni.
Un incerto come me parte sempre in tromba, quando si presentano degli eventi. Sembra essere un elementare bisogno di mostrare fin dall'inizio che si è capito tutto e di porsi in modo chiaro; ad un certo punto, però, è gioco forza che si scontri con il dubbio. Il dubbio proviene ovviamente da letture contrapposte, e può essere soltanto così a meno di non prendere armi e bagagli e andare a cercar di capire in loco; il che può essere abbastanza pericoloso, come dimostra il caso di Enzo Baldoni. Bisognerebbe sí fare come lui, e andare a ficcare il naso, a parlare con tutti quanti, a presentare le cose coi propri occhi, senza mediazioni; ma non ce ne abbiamo né la capacità, né i mezzi, né la voglia. Ci abbiamo chi la famigliuola, chi l'Isola d'Elba, chi i romanzi noir o gialli, chi le rivoluzioni di settant'anni fa; e allora si disquisisce, cosa che senz'altro ha il vantaggio di non comportare il pericolo di essere decapitati.
Sicuramente, in tutto questo entrano quelle che sono le mie convinzioni sociopolitiche; convinzioni che, senz'altro, sono sempre state sottoposte a incoerenze, a balzelloni, a viavai tra il mainstream e l'outstream (non so se tale termine esiste, ma mi suona bene); non sono e non potrò mai essere un granitico, è fuori dalla mia natura. Ogni qual volta ho inteso esserlo, ho mentito agli altri e a me stesso. Ciononostante, quando ci sono delle persone che si ribellano io non posso né ignorarle, e né liquidarle. Le conclusioni, ad esempio, di Valerio Evangelisti possono essere benissimo errate, ma a mio parere si basano su un fatto su un fatto assai semplice: in Libia non si sono ribellati due gatti, ma migliaia di persone. Non trovo giusto, anzi mi ripugna nel profondo, negare loro il diritto a parlare, ad esprimersi, a fornire motivazioni; così come non trovo giusto ridurre il tutto a degli anti- che non sono meno "teologici" di ciò che si confuta.
Se, ad esempio, gli insorti libici sono comandati militarmente da tale Khalifa Hiftar, che era stato al servizio di Gheddafi, che aveva diretto le campagne militari libiche nel Ciad e che poi si era trasferito negli Stati Uniti, non è una cosa che mi significa molto; mi interessano, invece, coloro che scendono a combattere. E mi interessano non per la ricerca di un "rivoluzionarismo" a tutti i costi, ma perché esprimono un bisogno di cambiamento talmente forte da far considerare loro l'idea di morire (a meno che non si ritenga che muoiano per finta). In questo, ritengo giuste le considerazioni di chi ha fatto notare che non siamo né io, né nessuno, a decidere se a un sommovimento, a una rivolta, a una ribellione o qualsiasi altra cosa del genere debbano o non debbano essere date patenti e imprimatur. Potrebbe anche essere che gli shebab libici siano convinti di prendere in giro (e di sconfiggere) Barack Obama, Sárközy Miklós, David Cameron, i potentati economici, i servizi segreti, James Bond, la Spectre, Rockerduck e tutti coloro che hanno preparato sicuramente l'esplosione della Libia nel 2011 fin dal 1951 o giù di lì; potrebbe anche essere che abbiano un barlume di utopia, oppure -più probabilmente- che siano stufi di Gheddafi.
Sembra però che ciò non possa esistere, che sia vietato essere stufi del Colonnello; del resto, i libici sono tutti ricchi, vivono bene, non hanno motivi di cui lamentarsi, nulla. Quindi, forzatamente, se si incazzano ci dev'essere dietro tutta una serie di longæ manus, di manovratori, di sobillatori. A questo punto verrebbe da pensare, che so io, che Ronald Reagan abbia preso, verso il 1982, dei bambini tunisini, e che li abbia tirati su da poliziotti con un ordine ben preciso: "Ragazzi, nel gennaio 2011 dovrete vessare un venditore ambulante, così si dà fuoco, scoppia la rivoluzione e noi ci prendiamo il...ah, mi dicono che in Tunisia il petrolio non c'è, geez! Very cool! E vabbè, ce lo pigliamo da un'altra parte!" In Libia non esistono classi (che sono, come è noto, tutta un'invenzione dell'интеллигенция di sinistra), in Libia c'è il Grande Capo Anticolonialista col Libretto Verde pubblicato da Libero; e se proprio si vuole trovare qualcosa di comico in gran parte della sinistra (italiana), è proprio la riconversione repentina dal Gheddafi da sputi perché Berlusconi gli baciava la mano al Gheddafi eroe perché ora si oppone al complotto imperialista occidentale. Sono bastati un paio di aerei francesi perché il tiranno che bombardava le manifestazioni diventasse l'apostolo dell'antimperialismo, e perché gli insorti diventassero delle marionette nelle mani delle "Potenze".
Poi, va da sé, si presentano altri dubbi; ad esempio, la questione della Siria; nuove incertezze, nuove questioni aperte, nuovi tentennamenti. Il fatto è che abbiamo deciso noi in quali paesi arabi si sta bene e in quali no. Ad esempio, in Siria i cristiani godono di libertà di culto e di protezione da parte del regime, e quindi troviamo bizzarro che i siriani si rivoltino contro una dinastia socialista familiare al potere da millant'anni, la stessa che nel 1982 stroncò nel sangue la rivolta dei Fratelli Musulmani e rase al suolo la città di Hama (25.000 morti). E il petrolio siriano? Un po ce n'è, ma copre a malapena il fabbisogno interno; però in Siria si produce il famoso tabacco Latakia, e la lobby dei fumatori di pipa inglesi è potentissima (il Latakia puro è infumabile, ma entra in molte tra le English Mixtures più apprezzate).
Il tabacco siriano Latakia. È talmente oleoso, che forse
potrebbe essere utilizzato come petrolio; da qui
il complotto americanista-occidentalista volto a rovesciare Assad
e a impadronirsi delle ricche piantagioni. Tra parentesi:
una volta ho provato a fumarlo puro, e oltre a beccarmi
un inizio di tubercolosi, ho constatato che sa davvero di gasolio.
Sicuramente, prima o poi, tutti i nostri dubbi e le nostre incertezze verranno fugate. Trionferà la rivolta di classe libica, mettendo al potere Valerio Evangelisti; oppure verrà accertato che tutto è stato preparato a tavolino presso la trattoria San Calogero di Vigàta (anche ai potenti della Terra piace il commissario Montalbano). Ora come ora, però, il sottoscritto -e, ripeto, il sottoscritto- può avere al massimo delle tendenze. Le quali, comunque sia, non contano e non conteranno mai un cazzo di niente. Continuiamo a trastullarci sui blogghi mentre la gente e gli animali crepano; come se non ci bastasse, continuiamo ad avere la pretesa di saper meglio di loro perché crepano. Allora che aspettiamo a formare delle كتائب الدولية (secondo il traduttore di Google, dovrebbe essere Brigate Internazionali in arabo), da una parte e dall'altra? Forza, blogghisti! Da una parte con gl'insorti, dall'altra con Gheddafi, e partiamo tutti a combattere in Libia; tanto, come ben si sa, Internet ce l'hanno anche là. Una spippolatina fra una battaglia e l'altra ce la potremo ben concedere; e vuoi mettere scrivere un post con un Kalashnikov in mano, mentre spari al blogghista della controparte (e mentre ti spara lui, ça va de soi)!
Nell'attesa frenetica della partenza, forse dovremmo avere il coraggio e l'onestà di dire che tutte le nostre Libie sono immaginarie. Non solo quella di Valerio Evangelisti, ma anche la mia e tutte le altre. Non parliamo quasi mai di come sono le cose, ma di come vorremmo che fossero. Ed è una cosa che, a mio parere, dev'essere sempre tenuta presente, ben presente, straordinariamente presente. Detto tutto questo, e non per cortesia ma perché è una cosa che merita d'essere fatta, invito anch'io a leggere La Libia immaginaria di Valerio Evangelisti dal blog Kelebekler di Miguel Guillermo Martínez Ball. Probabilmente sono anche d'accordo con molte delle sue argomentazioni, così come lo sono con molte di Valerio Evangelisti; il mio problema, come sempre, è casomai essere d'accordo con il signor Mai Self; e ne avrò da scrivere, di operette morali!