domenica 23 ottobre 2011

Alle nove e trentacinque circa


Alle nove della sera, ogni venerdì o quasi, mi metto in macchina e mi guardo le mani prima di mettere in moto. Quello di guardarmi le mani è un gesto che devo avere, forse, da prima che nascessi; assieme a pochi altri, mi ha accompagnato per tutta la vita senza una ragione che non sfuggisse alla comprensione, senza una conclusione che non fosse quella di ribadirmi che ero vivo. Nel cuore dell'estate, c'è ancora il sole oppure è tramontato da poco; d'inverno il buio e il freddo si scapestrano a fabbricare il sogno di un dopo lontanissimo, da anelarsi a occhi semichiusi. E quali arditezze in quei pochi minuti per le solite strade, quali pensieri abbaruffati, quali e quante canzoni a mezza voce. È la mia vita che va incontro ad un'altra, all'inizio di un binario al quale arriva alle nove e trentacinque circa.

Entro dentro e passo, sempre, davanti a una specie di vetrina dove si trovano raffazzonate cianfrusaglie che nessuno ha mai comprate: mi fanno una tristezza che non so dire. Soffermandomici, vedo riflesso nel vetro un curioso personaggio. Vestito come un ragazzino oramai fuori moda, con una specie di stile grunge che non va più da anni, e una faccia che di moda non è mai andata. Sta cominciando, quel ragazzino, a mostrare i segni del tempo; ed è bizzarra la memoria che si sovrappone, mentre un treno sta per arrivare e, assieme a lui, desideri e sogni che debbono combattere battaglie senza fine contro il passatutto della realtà. È la memoria di altre immagini riflesse, che si sporgono con lo stesso passo sgraziato, ma con una diversa percezione della rimanenza che, piano, si consuma.

Finché non arriva il momento in cui i conti occorre farli. Ci si avvia a testa bassa verso il binario, dando un'occhiata al tabellone perché, nove volte su dieci, il treno è in ritardo. C'è ancora tempo per pensare a quanti ne sono arrivati, in ritardo; e anche a quelli che sono arrivati in anticipo, che è un ritardo alla rovescia. A tempo debito è arrivato soltanto un treno, una mattina di gennaio, ad un'altra stazione; e, allora, la testa si rialza. Per un momento torna leggero il passo ed assume persino, ogni tanto, una movenza elegante nel mare della malagrazia; ed incontriamoci, se ti va, in riva al mare, sotto il ponte in costruzione su qualche fiume infinito.