A sentirli, son tutti contro le banche cattivone, contro i signori della crisi, contro l'assenza di qualsiasi futuro, contro le politiche di smantellamento totale dello stato sociale, contro il precariato, contro i governatori; se però qualcuno decide, come ieri a Bologna, di passare almeno un pochino all'azione e di parlare un linguaggio meno accomodante, allora scatta immediatamente la fregola della non violenza. Allora, la cosa più importante diventa non disturbare troppo e sfilare ordinati e carini, incazzati o indignati sí, ma nei limiti della famosa civile convivenza. Quel che questo tempo ha di "civile", e quanto la convivenza sia stata oramai ridotta a farsi bastonare, schiantare, spolpare, incarcerare e affamare, dovrebbe essere oramai chiaro a tutti quanti; dovrebbe, dico. In Grecia è stato chiarissimo a tutti, ma là non si sono limitati a accamparsi o a sfilare tranquilli per le strade; e chissà se qualcuno si ricorda dell'Argentina del que se vayan todos. Non si è capito ancora che una vera resistenza e una vera rivolta, se la vogliamo chiamare così, non sono atti tranquilli e passivi. Non si è ancora ben realizzato che il famoso baratro sul quale ci troviamo tutti ha la caratteristica di farci cadere dentro, senza nessuna possibilità di rialzarci. Ma il problema principale è un altro, e consiste in una cosa che invece è stata capita benissimo, ma che si ha una fifa blu ad esprimere e portare ad una qualche conseguenza reale. Si tratta del capitalismo, vale a dire di un sistema intero. Il capitalismo non è gentile e rispettoso, e non ha nessunissima "legalità" tranne quella che impone a pecore obbedienti che belano nella loro servitù volontaria, per dirla con Étienne de la Boétie. Opporsi realmente al capitalismo non è semplice "indignazione", bensì avere ben presenti certe responsabilità, ed essere disposti ad assumersele. Finito il tempo dei giochini e dei tremori; o di là, o di qua. Chi ha ancora voglia di condannare, di stigmatizzare o quant'altro, poi non si lamenti tanto se si ritroverà calpestato. A lorsignori non importa assolutamente nulla delle proteste pacifiche, non ne hanno il benché minimo timore. A questi qui, invece, è necessario tornare a mettere paura, ed impedire loro di fare sempre e comunque ciò che vogliono.
A differenza di tanti sedicenti "resistenti" che hanno un po' troppo in mente pargoletti e famigliuole, io non avrei nessun dubbio e nessuna remora nel partecipare alla manifestazione di sabato prossimo a Roma; e non vi parteciperei affatto tenendomi fuori da forme gentili e anodine di protesta. Purtroppo, e sottolineo purtroppo, le mie attuali condizioni fisiche me lo impediscono. Per quel che può valere, sarò con la mente e con il cuore con chiunque intenderà far capire a certi signori e a certe "istituzioni" che è terminato il tempo della tranquillità, e che "rabbia" non è più una parola vuota o uno sterile esercizio di stile. Non amo smarcarmi, né fare ricorso alle stronzate "nonviolente" e a ciance buone soltanto per far intridere di cacaiola rotoli interi di carta igienica. Noi che volevamo approntare il mondo alla gentilezza, noi non si poté essere gentili: sarà bene, d'ora in poi, ricordarsi di queste parole scritte da Bertolt Brecht in finsteren Zeiten. E questi tempi non hanno nulla di meno cupo.
Nella foto: Mohandas Karamchand Gandhi attorniato da gerarchi fascisti durante la sua visita in Italia, se ben mi ricordo nel 1934. In Sudafrica, mentre lottava contro la discriminazione nei confronti dei "suoi" indiani, ebbe di converso a pronunciare e scrivere parole di autentico disprezzo razzista nei confronti dei nativi africani, da lui chiamati kaffirs esattamente come li chiamavano i boeri: "Sono ignoranti, incivili, animali. La sola ambizione dei kaffirs è raccogliere una certa quantità di bestiame con cui comprare una moglie e poi passare la loro vita nudi, nell'indolenza. Sono degli sfaticati, una specie di umanità quasi sconosciuta tra gli indiani".